Mi alzo di soprassalto, svegliata dalla concitazione di Helena, rifugiata politica sudamericana con un passato alle spalle da dimenticare e un presente da professoressa di matematica in un liceo artistico, un figlio già grande che si cimenta con la slam poetry, poesia rappettara di moda tra i giovani canadesi, almeno tra quelli cui piace il rap. Non c'è violenza nelle loro parole sparate a ritmo sincopato, più che altro un modo come un altro per raccontare l'esistente, per riconoscersi in una community non troppo virtuale e sentirsi partecipi di questo Nuovo Mondo che stanno contribuendo a creare. In Canada l'immaginario è tessuto da mani femminili più attente all'idea di grande frontiera dei diritti civili piuttosto che a qualche insulso combattimento. Nella mentalità canadese le guerre e le battaglie sono inutili dettagli di poca importanza e scarsa frequenza in confronto alla meraviglia dell'immensità naturale di paesaggi incontaminati o ai sottili brividi elettrici dell'indipendenza, della sperimentazione di nuovi mondi possibili improntati a concetti di profonda libertà civile, sociale e morale. Non capisco il motivo di tanta concitazione, mi preparo velocemente, la radio di là è accesa, sembra sia accaduto qualcosa. In men che non si dica sono pronta. In macchina mi arriverà la spiegazione di tanta agitazione: a Toronto c'è lo sciopero selvaggio del trasporto pubblico, qualcosa di cui non si aveva memoria dalla fondazione della città. Penso allo scioperometro e sorrido.
© 2007.2020
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