mercoledì 30 novembre 2016

Una ballata celtica 4 (bozza)

Una ballata celtica 4 (bozza)

Il Lettore non si faccia trarre in inganno dalla pomposità della denominazione di tale agone, in realtà non è un vero e proprio ‘processo’
“Sì che lo è”
“Zitto tu!”
bensì di qualcosa di molto più simile ad un tribunale d’amore cortese medievale che, come ognun sa, veniva celebrato insieme ad un palio, giochi bellissimi, canti e balli, che ben si sarebbero intonati alle festività di Bealtaine. Raramente accadeva che durante i festeggiamenti per una ricorrenza così importante vi fosse anche un processo, e il divertimento quando c’era un processo alle intenzioni era scontato, ma un processo alle intenzioni presenti, passate e future doveva essere un vero spasso. Beh, almeno per chi era negli spalti, certamente non per quel malcapitato che doveva fare la parte dell’imputato a meno che non fosse furbo come una volpe o come un…
“…Gatto”
“Eh, non ci avevo pensato….”
“Ma io sono un gatto!”
“Un pelosetto vorrai dire”
“Oh oh oh oh apparentemente et ot certamente sembrerebbe un esemplare di ‘felis catus’ secondo la classificazione umana di Linnaeus del 1758 ot anche ‘felis silvestris catus’ se intendessimo, volessimo, cercassimo di seguire la classificazione di Schreberer risalente al 1775. Sarà dunque da valutare se possa effettivamente venir considerato un Felis della sottofamiglia Felinae della famiglia Felidae del sottordine Feliformia dell’ordine Carnivora del superordine Laurasiatheria dell’infraclasse Eutheria della sottoclasse Theria della classe Mammalia della superclasse Tetrapoda dell’infraphylum Gnathostomata del subphylum Vertebrata del phylum Chordata del superphylum Deuterostomia del sottoregno Eumetazoa del regno Animalia del dominio Eukaryota, questo sempre seguendo la classificazione umana, che come è ben noto non prende in considerazione tutto ciò che è ignoto et ot misterioso et ot segreto per essi. Indi vi sarà ben donde di comprendere se effettivamente et indubbiamente Ser Felix il Gatto sia da annoverare infra color che rispondono alla classificazione umana et ot fantastica et ot sia come all’apparenza parrebbe ma l’apparenza sovente inganna un gatto. Nel qual caso”
“Nel qual caso?”
“Ma che ha detto finora?”
“Dice che bisogna stabilire se Felix il Gatto sia un gatto, e se lo sia nella classificazione umana oppure in quella fantastica”
“Ma con tutto il daffare che ho da fare ti pare che debbo star qui a sentire una discussione sulla effettiva gattità di Felix il Gatto? È evidente, è un fatto, non mica bisogno di un patto o di un ratto per capire che Felix il Gatto è un gatto. E con tutto il daffare che ho daffare questo è proprio qualcosa che mi distoglie dal mio daffare e non è proprio un bell’affare, chissà per quanto tempo di distoglierà dal mio daffare”
“Oh oh oh orbene nel qual caso mi pare più che ovvio et più che evidente che se fosse stabilito al di là di ogni ragionevole dubbio che è un esemplare di ‘felis catus’ secondo la classificazione umana di Linnaeus del 1758 ot anche ‘felis silvestris catus’ se intendessimo, volessimo, cercassimo di seguire la classificazione di Schreberer risalente al 1775”
“Sì sì va bene per carità. Ma nel caso fosse stabilito che è un gatto in base alla classificazione umana o alla classificazione fantastica?”
“Oh oh oh certo questo è ben complicato, molto difficile capire et sapere, ordunque et adunque, se ciò fosse stabilito con certezza et aldilà di ogni ragionevole dubbio bisognerebbe accertare, appurare, decifrare, capire se abbia, abbia avuto o avrà intenzione di arrampicarsi su qualche esemplare delle nostre famiglie e dar fastidio agli scoiattoli che custodiamo. Mi par logico e per far ciò mi sembra evidente il bisogno, la necessità di un processo alle intenzioni presenti, passate et ot future”
“Ma ma ma ma ma Messer e Donna Olmo, con tutto il rispetto io so certamente chi sono. O vi par forse che uno arrivi, si guardi allo specchio, si svegli ogni mattina senza saper chi è? Sarebbe questa una abitudine un po’ bislacca, non vi pare? Se io non fossi un gatto, come effettivamente io sono, perché direi di essere un gatto in un villaggio popolato da alberi semoventi e parlanti, da personaggi inusuali nel mondo da cui provengo sapendo che effetto produca su taluni alberi il semplice nominare un animale della mia specie? E vi sembra normale ch’io non sappia chi sono? Certo che lo so, sono Felix il Gatto e dunque sono un Gatto, chiamatelo un felis silvestris catus o un felis catus ma sempre un gatto sono e rimango. O che voi non sapete chi siete?”
“Oh oh oh certo che lo so chi sono”

“E ordunque vedete? Se voi sapete chi siete, perché, nella vostra logica io non lo saprei?”

martedì 29 novembre 2016

Una ballata celtica 3 (bozza)

Una ballata celtica 3 (bozza)

“Sento qualche dissapore in queste lande, cosa accade’”
“Salute a voi Messer e Donna Olmo e salute a tutta la famiglia”
“Messer Leprechaun e Famiglia Abete i miei ossequi, potreste dirmi cos’è questo alieno?”
“Ecco, vedete è…”
“Un pelosetto”
“Non sono un pelosetto sono un gatto!”
“Un gattoooooo???????” Le fronde olmose intrise di giustizia e libertà si scossero come una sol fronda e le radici si aggrovigliarono di colpo intorno ai tronchi forti e agili, quasi a volersi proteggere da una pozzanghera schizzata dalla strada proprio sul marciapiedi.
“Ehm sì, questo”
“Pelosetto”
“FHHHHH”
“è Felix il Gatto”
“Messere non vorrei essere scortese ma per la tranquillità nostra e degli abitanti, tra cui gli Scoiattoli, le Pernici, i Pettirossi e.. beh potreste dirmi, di grazia, per quale motivo il qui presente Ser Felix il Gatto trovasi in cotesto ameno loco?”
“Che ha detto?”
“Vuole sapere perché Felix il Gatto è qui e come c’è arrivato”
“Ah, sì sì, giusto, certo, lo avevo capito è che con tutto il daffare che ho da fare mi era sfuggita l’ultima parola… ecco, veramente”
“Lasciate che sia io a rispondere”
“Su pelosetto parla, parla pure”
“Non sono un pelosetto!”
“Felix il Gatto è qui perché vuole assaggiare lo stufato preparato da Samalaliliath, ecco”
“Oh oh oh oh, certamente una prelibatezza nota in tutte le Contee celtiche la di cui fama dev’essersi spansa per l’aere della Scozia intera et aver financo travalicato li confini de lo spazio et de lo tempo posti a sempiterna protezion de lo villaggio la di cui segretezza è ormai più che arcinota, assurta agli onori non delle vil cronache mondane bensì delle mitologiche leggende che tanta parte hanno nella gloriosa letteratura et produzione artistica più nel generale”
“Io non lo capisco quando parla”
“Sta dicendo che non è strano che un gatto venga attirato dal profumo aromatico dello stufato di Samalaliliath, visto che è ormai noto in tutte le contee, però non capisce come abbia fatto ad arrivare, eludendo i sofisticatissimi sistemi di sicurezza per la protezione della segretezza del villaggio segreto”
“Ah, ecco”
“Ma è semplice Messere, io sono un gatto”
“Già un pelosetto che si arrampica sugli alberi e infastidisce gli scoiattoli”
“Mai infastidito uno scoiattolo in vita mia e poi io non sono un pelosetto!”
“Oh oh oh orbene certo sono evidenze che debbono essere evidentemente considerate nella loro evidente evidenza, seppure potrebbe ancor sorgere negl’animi più pavidi et cauti, se non un sospetto od un dubbio amletico per lo meno, orsù et ordunque si potrebbe anco et financo immaginare che una tale presenza, seppur certo non sia sgradita per le arcinote regole della buona accoglienza et della buona creanza nonché al sentimento di più pura solennitate che è ben donde venga tributato ad un forestiero che si trovi per caso et ot accidente”
“Ma io non voglio prendere nessun accidente, che dice?”
“Non s’è capito, è soltanto la premessa ad una frase”
“Pelosetto ascolta e lasciaci ascoltare”
“dov’ero io giunto ordunque et orsù”
“et ot acci”
“Oh oh oh sì certamente e come potrebbe essere diversamente se la proverbiale, anzi direi financo leggendaria et ot mitologica in quanto è ben cognito che v’è, et ve n’è ben donde, una intera mitologia astrologica che narra di cotesto segreto villaggio le cui genti et ot non genti sono note et arcinote per ser di parecchio anzi di molto et assai bene accoglienti et ot benevolenti ne li confronti de li forestieri”
“Ah dice che il villaggio segreto è noto per essere accogliente nei confronti degli stranieri”
Mentre la famiglia degli Olmo e nello specifico Messer Olmo così parlava si era riunito un folto gruppo di famiglie arboree, lì giunte per la grande festa di Bealtaine.
C’erano gli originali e furbi Cipresso, gli indipendenti e altruisti Acero, gli indistruttibili Carpino, i solidali Castagno, e molti altri stavano arrivando oppure si erano subito messi in moto per preparare un’arena visto che pareva proprio che si presentasse uno spettacolo piuttosto interessante e che si sarebbe aperta una discussione senza ombra di dubbio alquanto memorabile. I Noce, ad esempio, si erano subito industriati a prendere nota di tutto ciò che veniva detto, e i Pino che, con gran senso logico, stavano organizzando gli spalti per la giuria e il pubblico che sicuramente non sarebbe mancato. Certamente i Corniolo e i Betulla sarebbero stati selezionati tra i giurati per cui era bene costruire gli spalti in modo che fossero adatti alla loro conformazione e alle loro esigenze. C’erano anche i Nocciolo che prontamente avevano allestito uno stand con gadget dell’evento.
“Oh oh oh dicevo, ordunque et orbene che potrebbe ritenersi necessaria una accurata disamina delle intenzioni del qui presente Ser Felix il Gatto nelle eventuali vite precedenti et ot postquam”
“Ma io sono qui soltanto per assaggiare lo stufato non ho intenzione, né mai ne ho avuta, né mai ne avrò, di arrampicarmi sugli alberi, tanto meno poi su alberi parlanti e semoventi, per disturbare gli scoiattoli”
“Pelosetto non sei stato interpellato”

“Oh Signur con tutto il daffare che ho da fare proprio un processo alle intenzioni presenti, passate e future doveva venir celebrato, ma questo non è un affare che possa distogliermi da tutto il daffare che ho da fare eppure non posso certo esimermi pur con tutto il daffare che ho da fare”

lunedì 28 novembre 2016

Una ballata celtica 2 (bozza)

Una ballata celtica 2 (bozza)

Insomma, lo stufato di Samalaliliath era proprio squisito e sul grado di cottura si poteva dire con precisione quanto tempo mancava all’inizio della festa.
Se il Lettore fosse passato di là, anche se non avrebbe potuto perché non avrebbe saputo come chiedere informazioni e dove andare, ma se per caso fosse capitato di là senza sapere niente di niente e di niente si fosse accorto avrebbe comunque potuto dire con certezza che mancavano tre ore, diciotto minuti e quarantaquattro secondi all’inizio di Bealtaine e non si sarebbe sbagliato, minuto più o minuto meno.
Forse il Lettore, non avvezzo alla prelibata cucina di Samalaliliath, avrebbe potuto comprendere che la festa stava per cominciare da un particolare che, nell’universo di senso in cui è abituato a vivere, ragionare e ponderare gli accadimenti, forse, e dico forse, gli sarebbe sembrato un po’, beh, ecco, strano.
“Strano?”
“Sì, beh, sai loro, con tutto il rispetto, non sono abituati a guardare troppo oltre le apparenze e quindi magari”
“Pensi che siano stupidi?”
“Nononononono, no. È che, forse, pensano che non esista niente di ciò che non sono abituati a vedere e sai bene del segreto patto”
“Quale patto?”
“Che ci fa l’occhiuto in questa conversazione?”
“Non so che ci faccia il Lettore in questa conversazione, né come ci si sia inserito ma adesso è qua, lo vogliamo invitare alla festa così, magari, vedendo coi suoi propri occhi ci potrà dire se considera ‘strano’ il particolare di cui sopra oppure no”
“Io voglio soltanto assaggiare lo stufato di Samalaliliath”
“Per quello ci vorrà ancora del tempo, adesso lascia che Leprechaun ti accompagni verso il mondo del fantastico, anche se ha il suo bel daffare e così ci saprai dire”
“Oh Signur ma io ho il mio daffare, mi ci manca soltanto questo umano curioso con tutto il dafffare che ho da fare!”
“Su Leprechaun”
“E se poi…”
“E se dovesse trovare tutto troppo strano o volesse raccontare quello che ha visto, lo faremo svegliare nel suo lettino e le fate gli faranno il solito incantesimo così sarà convinto di aver fatto soltanto un bel sogno”
“Uhm”
“Comunque se state parlando di me….”
“Sì?”
“Io non sono un umano, sono un felino”
“Un felino che legge questa è bella, con tutto il daffare che ho proprio questa dovevo sentire”
“Sì, sono un felino e gli umani mi chiamano Felix”
“Beh, vedi Leprechaun, un felino che parla e che legge, il compito ti sarà più facile”
“Basta che prometta solennemente di tenere le sue unghiacce e i suoi denti aguzzi al posto loro”
“Certo, sono un felino, mica un umano, non aggredisco chi mi accoglie”
“Ho sentito racconti da parte di topolini che la pensano diversamente”
“Va bene, prometto solennemente”
“Uhm così va meglio, comunque”
“Sì Leprechaun, informerò la Fata del Bosco della sua presenza e lei gli metterà un folletto nel pelo a controllare che non si faccia venire in testa di rompere la promessa. Vado e torno.”
“Cos’è che dovrei trovare strano, ma soprattutto, quando sarà pronto lo stufato?”
“Per lo stufato c’è ancora tempo, per quello che dovresti o potresti trovare ‘strano’, beh ecco…”
“ohhhhhh”
“Che c’è?”
“Gli alberi!”
“Sì????”
“Si…”
“…si???”
“….si muovono!”
“Già”
“Che vuol dire ‘già’? Gli alberi non si muovono”
“Questo lo pensi tu e quei bellicosi di umani che bruciano intere foreste nonostante gli alberi diano loro l’ossigeno senza il quale quegli umani inquinanti non riuscirebbero a respirare e vivere”
“Che fanno?”
“Si avvicinano alla locanda”
“Ma così finiranno tutto lo stufato”
“Ma ti sembra che gli alberi mangino lo stufato?”
“Non lo mangiano?”
“No”
“Ah, meno male. E di che si nutrono?”
“Come di che si nutrono? Ma non ti hanno insegnato proprio niente?”
“Ehm sai è che quel giorno non mi ero infilato nello zaino del mio amico umano e quindi non ho seguito la lezione perché… ecco perché”
“Lascia stare, gli alberi sono intelligentissimi e mangiano soltanto per ghiottoneria, non hanno bisogno di altro nutrimento che di quello che deriva loro dalla terra, dall’aria, dal sole, dall’acqua e beh, ma questo è un segreto e non te lo svelerò”
“Ah be’ a me basta sapere che non mangeranno tutto lo stufato”
“No, non sono ghiotti di stufato”
“Bene bene, già mi stanno simpatici”
Il primo albero che Felix il Gatto e Leper il Leprechaun videro avvicinarsi con piglio sicuro e battagliero furono gli Abeti, una grande famiglia molto rispettata nel bosco. Appena si accorsero della presenza di Felix il Gatto chiesero informazioni e spiegazioni a Leper il Leprechaun e si incuriosirono molto del modo bizzarro che aveva portato quel peloso intruso nel villaggio segreto.
“I gatti sono molto intelligenti”
“Figurati! La ragione per cui è qui e mi distoglie da tutto il daffare che ho da fare è che vuole assaggiare lo stufato di Samalaliliath”
“Aha è un buongustaio questo Felix e certo Samalaliliath deve aver superato la sua maestria quest’anno se il profumo del suo stufato è giunto fino a questo pelosetto”
“Io non sono un pelosetto, sono un gatto”

“Appunto, ma non perdiamoci in chiacchiere”

lunedì 14 novembre 2016

Una ballata celtica 1. Prologo. (Bozza)

Una ballata celtica 1. Prologo. (Bozza)

C’era una volta, non tanto tempo fa e c’è chi afferma senza tema di smentite che ci sia ancor oggi ma soltanto per chi ha la capacità di vedere e sentire oltre le apparenze, un segreto villaggio celtico in un bosco ai lati della brughiera che affaccia sull’impetuoso oceano andando incontro alle onde d’improvviso, senza dir niente alle colline che guardano sornione il perenne abbraccio di Tir Nam Beo, la terra della vita che, come è ben noto, è situata sotto il mare al largo delle coste irlandesi e scozzesi, e Lochlann, la leggendaria terra abitata dai giganti.
Non si conosce con esattezza il nome di questo villaggio.
“E certo! Vorrei proprio vedere se un segreto villaggio può avere un nome conosciuto, se fosse noto non sarebbe segreto!”
Il Lettore dovrà perdonare questa interruzione da parte del folletto Leprechaun, ha un carattere un po’, come definirlo, tutto suo e guai a contraddirlo o fargli notare che le scarpe si cuciono in paia e non una soltanto.
“Una alla volta!”
Non gli faccia notare il Lettore che poi dimentica di cucire l’altra, altrimenti potrebbe indispettirsi.
“Sempre a criticare ma quando c’è da fare, eh, quando c’è da fare ognuno ha il suo bel daffare eh!”
“Possiamo continuare a raccontare del villaggio segreto?”
“Ma se non abbiamo neanche cominciato?”
“Ecco, appunto….”
“Uhhhh torno al mio daffare che è meglio altrimenti qua non c’è mai nessuno che si dia da fare a fare ciò che c’è da fare”
C’era una volta,
“S’è capito!”
“Ma non eri tornato al tuo daffare?”
“C’era una volta ma se c’era una volta chi sono io e chi siamo noi abitanti del villaggio segreto, une volte?”
“No, certo”
“Allora???”
Nel villaggio segreto il cui nome è conosciuto, forse, soltanto dai suoi abitanti perché altrimenti si violerebbe il vincolo di segretezza che, come ognun sa, è sacro ed è precondizione necessaria per poter accedere ai segreti villaggi sparsi nel meraviglioso multiversale fantastico luogo e tempo di Fate, Elfi, Folletti, Druidi….
“Leprechaun”
….Leprechaun e altri esseri talmente favolosi da essere eterni, fervevano i preparativi per la grande festa di Bealtaine la celebrazione della stagione calda, prima vera festività dopo il Samhain del primo novembre che saluta il nuovo anno.
Nella locanda di Samalaliliath
“Ma chi, quel partholoniano, che ha portato la birra?”
“Sì….”
“Mi è simpatico”
“Già”
“Che vorresti insinuare con quel laconico ‘già’?”
“Niente….”
“Soltanto perché mi piace bere un mezzo bicchierino la sera prima di andare a dormire..”
“Durante Samhain ti hanno ritrovato in una botte, vestito come Diogene, soltanto di doghe….pensavano che fossi affogato nel barile….”
“Uhhhhhh sempre a puntualizzare, si vede che non hai il tuo daffare, io invece ora vado a fare quello che ho da fare, ho il mio bel daffare io, che pensi? Ah”
Nella locanda di Samalaliliath l’odore inconfondibile del luppolo si mescolava con quello di pentoloni di stufato condito con fiori di brugo, patate e castagne che faceva venire l’acquolina in bocca. Chiunque passasse davanti alla porticina di legno verde rallentava il passo ascoltando i brontolii della propria più o meno affamata pancia. Il profumo denso delle pietanze che si insaporivano tra loro durante la lenta cottura nel grande pentolone posto sulla brace nell’enorme camino, tanto grande che il piccolo Samalaliliath doveva salire su uno sgabello costruito appositamente per fargli girare agevolmente lo stufato la cui notorietà aveva travalicato i confini del villaggio segreto fino ad oltrepassare quella sottile eppure solidissima linea di confine tra il mondo del fantastico e quello del reale
“E che io non sarei reale?”
“Che c’entra?”
“Se il mondo del fantastico e quello del reale sono divisi da una solidissima linea o non sono reale io o non lo è quel muso occhiuto che sta leggendo queste parole ora”
“Sottile eppure solidissima”
“Non tergiversare, rispondi”
“Certo che lo sei ma è meglio che al Lettore venga lasciata una via per uscire dal mondo del fantastico e ritrovare la strada del reale, altrimenti sai che noia, con tutti quei rissosi e belligeranti abitanti del mondo reale travasati nel mondo del fantastico?”
“Ah, beh, se la metti così io torno al mio daffare che con tutte le cose che ho da fare mi ci mancano soltanto quegli inquinanti, bellicosi e puzzolenti abitanti del mondo reale”
“Perché puzzolenti?”
“Perché inquinano e sono così stupidi da buttare nei fiumi, nei mari e nelle stelle la loro arrogante boriosa incapacità di vivere bene”
“Uhm”
“Su torna al tuo daffare che io ho da fare il mio daffare e non ho tempo da perdere”
“Nel mondo del reale ci sono i ciambellotti”
“Ah! E nel mondo del fantastico? C’è molto di più di quanto si possa immaginare e molto altro e molto altro”
“Anche nel mondo del reale”
“Sì ma nel mondo del fantastico non siamo così stupidi da distruggere tutto ciò che è bello e meraviglioso”
“Torno al mio daffare”

“Ecco, sì torna al tuo daffare che io ho da fare il mio bel daffare qui eh”

domenica 13 novembre 2016

Zodiaco cinese (bozza)

Zodiaco cinese

Era giorno di festa e nell’aria si respirava una viva sensazione di opportunità da cogliere al volo…

Messer Shǔ il Topo aveva lavorato alacremente con tutta la sua famiglia. È noto che il mattino ha l’oro in bocca per cui s’era alzato prestissimo. Non c’era il tempo di perdersi in chiacchiere, bisognava praticare gli esercizi mattutini, sistemare la tana e prepararsi al meglio per arrivare primi e trovare così il luogo più adatto per posizionare il banchetto con le lanterne colorate e i dolcetti color giada. Parte del successo è saper cogliere le opportunità in anticipo sugli altri per questo Messer Shǔ non aveva detto niente al suo vicino il Gatto che aveva un buon udito ma a quell’ora non si sarebbe accorto di niente almeno fino a quando lui e la sua famiglia avessero venduto tutti i biscottini e le lanterne e si fossero potuti rilassare e godersi la festività. Era ora di uscire, il sole non era ancora sorto e gli uccellini si crogiolavano beati nei loro giacigli prima di cantare la loro melodiosa sveglia. In fretta e furia uscirono facendo attenzione a non dimenticare niente e le loro fatiche vennero premiate. Pian piano sarebbero arrivati anche gli altri ma la famiglia del Messer Shǔ era riuscita ad arrivare prima e questo, come è ben noto, per gli affari è un gran vantaggio.

Il sole stava per sorgere richiamato dal canto degli uccelli che non si stancavano mai di cinguettare. Niente a che vedere con la famiglia Niú, i Bufali. Loro erano, come si suol dire, di poche parole, quando parlavano le ponderavano bene, scegliendole con la cura con cui si decide qualcosa di importante e le loro opinioni erano tenute in gran considerazione, è che non capivano proprio come si potesse chiacchierare così tanto senza prender mai fiato. Non che desse loro noia, anzi, li allietava e avrebbero potuto ascoltarli per ore e ore ma era giunto il momento di andare alla festa, non volevano far troppo tardi e non avevano alcuna intenzione di mettersi a correre anche se sarebbe stato maleducato giungere in ritardo. Si prepararono con tutta calma come si addiceva ad una famiglia di Bufali, mangiarono un po’ di insalata fresca, scelsero gli abiti più belli e sobri, adatti alle grandi occasioni ma non troppo appariscenti. In un cesto misero germogli di bambù freschi da portare ai panda, eventualmente ci fossero stati, e quindi propiziarsi il favore degli animali più popolari dell’intera Cina. Arrivarono per secondi e acquistarono i dolcetti color giada e le lanterne da Messer Shǔ.

Tra le montagne all’orizzonte il luminoso astro stava sorgendo facendo capoccella con movimento lento e lesto tra le rocciose onde ornate da bianchissima neve. Gli uccelli, accertatisi che il Sole si era effettivamente destato, si dedicarono alla routine mattutina, così come Tigre Hǔ e la sua numerosa famiglia. Dopo aver sorbito una tazza di tè verde sul patio lasciando scorrere pensieri sparsi si immerse in un’accuratissima toilette, lavò con dolcezza il suo corpo sinuoso, spazzolò i setosi e lunghi capelli frizionandoli con una lozione di bacche di pino e fiori di albicocco, si guardò intorno, scelse con voluttà un libro da portare con sé, eventualmente avesse avuto un momento di tranquillità durante i festeggiamenti. Anche gli altri componenti della sua famiglia avevano svolto le abituali pratiche mattutine ed erano pronti. Tigre Hǔ appuntò sugli abiti da lavoro la targhetta con i suoi dati di riconoscimento, mentre per gli altri le festività erano una gran divertimento, ella doveva controllare, da una posizione rialzata, che tutto filasse liscio. Era un compito pericoloso ma non le era certamente mai mancato il coraggio. Quando arrivarono trovarono Messer Shǔ e la famiglia Niú.

L’aria frizzantina aveva stimolato la famiglia Tù, le Lepri, a cominciare la giornata con una bella corsa nel parco. Il modo migliore per procacciarsi clienti altolocati, affermava Messer Tù, mentre Donna Tù era convinta che fosse più giusto offrire banchetti e attività ricreative all’ora del tè. Visto che non era ancora pomeriggio, anzi era primo mattino, optarono per il jogging, l’ideale per tonificare muscoli e ritemprare il corpo per quella che sarebbe stata una lunga giornata di pubbliche relazioni. Arrivare troppo presto sarebbe stato poco fruttuoso, nessuno li avrebbe notati, arrivare troppo tardi avrebbe significato non riuscire a studiare nel modo giusto le mosse per poter trarre profitto dalla riunione di tutte le famiglie cittadine. Rientrarono dopo aver scaricato tossine corporee e pensieri negativi, che come è ben noto, sono deleteri per gli affari. Si preparano con solerzia ed uscirono. Giunsero quarti, come speravano. Acquistarono dolcetti e lanterne complimentandosi con Messer Shǔ e la sua famiglia, chiacchierarono brevemente con la famiglia Niú e finalmente ebbero modo di intavolare un’amabile conversazione con Tigre Hǔ prima che iniziasse il suo periglioso lavoro.

Messer Lóng, il Drago, non voleva proprio saperne di uscire, tanto meno per andare in un posto che sarebbe stato pieno di gente che lo avrebbe salutato nell’unico giorno dell’anno in cui gli era venuto il raffreddore. Inutili sarebbero stati gli sforzi di Donna Lóng e i capricci urlanti dei piccoli Lóng. Giammai avrebbe egli dato a vedere che s’era ammalato proprio il giorno delle festività. Era un’onta per la sua proverbiale salute di ferro e chissà cosa avrebbero pensato di lui se lo avessero visto intabarrato con cappello e sciarpetta anziché nella sua usuale tenuta che metteva in risalto il verde dorato del suo sguardo fiammeggiante. Il sole era alto nel cielo limpido e le sue erano le uniche grida in tutto il vicinato. Donna Lóng lo accarezzò, ella aveva deciso di andare e lui, per quanto si fosse impuntato, non l’avrebbe certamente avuta vinta. Senza scendere sul terreno dello scontro diretto, che evidentemente non avrebbe portato i risultati sperati, lo coccolò di fronte agli attoniti pargoli e inferse la stoccata chiedendogli se avesse dovuto chiamare il dottore. A quel punto Messer Lóng andò su tutte le furie, si vestì e uscì insieme alla sua famigliola. Arrivarono quinti.

Donna Shé, il Serpente, e la sua famigliola avevano scelto con molto equilibrio il momento propizio per uscire. Si erano destati senza pensieri particolari, si erano dedicati alle attività mattutine, accurata toilette, esercizi di respirazione e allungamento, mantra e canti per facilitare l’equilibrio psico-fisico. Avevano fatto un’abbondante e sana colazione adatta ai loro bisogni nutrizionali e rispettosa dell’ambiente. I piccoli si erano preparati senza fare capricci, avevano ripassato le lezioni del giorno precedente per non rimanere indietro ad inizio settimana. Donna Shé aveva preparato un cestino colmo di prelibatezze e piccoli doni da regalare ad amici e conoscenti in occasione delle festività. Aveva confezionato piccoli oggetti di foglie di bambù portafortuna, li aveva infiocchettati con fiori di violetta selvatica. Le piaceva preparare doni, la generosità era una sua naturale propensione e non era un problema se gli altri non avevano la sua stessa delicatezza d’animo, ognuno aveva un lato positivo e un suo modo per dichiarare il proprio affetto agli altri, bastava non essere impazienti. Quando tutto fu pronto uscirono e arrivarono, sesti, né troppo presto né troppo tardi. 

Donna Mǎ e Messer Mǎ, i Cavalli, non stavano più nella pelle, da settimane fremevano per andare a far festa, si erano preparati per tempo e avevano estesamente parlato con tutto il vicinato, parenti e amici di come adornare i lunghi capelli, quale colore fosse più propizio e ovviamente si erano ampiamente informati su tutte le novità di relazioni, parentele, liti ma soprattutto su matrimoni e bimbi in arrivo e tutti quegli aspetti della quotidianità che rendono interessante fare una bella chiacchierata. Non che a loro mancassero mai gli argomenti, tanto che la famiglia Niú aveva sovente pensato che i Mǎ fossero imparentati segretamente con gli uccelli mattutini, anche loro non prendevano mai fiato quando c’era da parlare di qualche argomento e se non c’era niente di cui parlare, riuscivano a trovare qualunque spunto per intavolare una gaia e felice discussione. Chiacchierando chiacchierando, erano usciti di casa quando il sole era già piuttosto alto, nell’ora in cui pensavano che avrebbero trovato più interlocutori per la loro allegria ciarliera. Uscirono non senza aver fatto capire a tutto il vicinato dove si stavano recando quindi si avviarono di buon passo ed arrivarono settimi.

Messer e Donna Yáng, Capra e Pecora, si erano svegliati con comodo, dopo aver trascorso una piacevole serata tra amici. Avevano l’abitudine di organizzare una cena della vigilia e si divertivano molto a stupire i loro ospiti con preparazioni elaborate presentate sempre in modo particolarmente scenografico. Amavano distinguersi sempre per qualcosa di speciale e c’era in tutto ciò che facevano un’allure unica. Indossò una stola di lana dipinta da lei stessa con fiori di elicriso, mentre lui aveva sfoggiato una capigliatura a palco decisamente elaborata. I pargoli erano stati impeccabili nel recitare le poesie e tutto si era svolto nel modo sperato. Destarsi troppo presto non sarebbe proprio rientrato nel loro carattere, preferirono infatti crogiolarsi nel tepore soporifero dell’alcova per poi alzarsi e sistemare le decorazioni in modo da suscitare meraviglia e apprezzamento da parte di tutto il vicinato. Uscirono senza fretta, camminando con incedere elegante e pacato, si concessero un brunch nel locale più alla moda, frequentato da intellettuali e artisti, commentarono senza troppi pettegolezzi la serata e così facendo giunsero ottavi. Acquistarono lanterne in tono con la loro mise.

Donna Hóu la Scimmia s’era svegliata prima di Messer Shǔ il Topo e aveva lasciato che gli altri si preparassero e uscissero per la semplice curiosità di vedere che cosa avrebbero combinato durante il giorno di festa. Non tanto per curiosità quanto perché aveva deciso di stupirli con un’ingegnosissima invenzione che non avrebbe potuto presentare a dovere se non avesse avuto conferma dei suoi arzigogolati calcoli. Dire in cosa consistesse sarebbe un po’ come rovinare la sorpresa per cui sarà possibile affermare soltanto che effettivamente richiedeva non poca abilità per idearla, progettarla e realizzarla e oggettivamente bisognava riconoscere a Donna Hóu di aver scelto il momento giusto per presentarla. Si era, di tutta evidenza, preparata con grande cura, indossando un simpatico cappellino su cui aveva appuntato una targhetta col suo nome e aveva aspettato il momento propizio per uscire. A quell’ora il sole era alto già da un po’ e il cappellino le era tornato particolarmente utile. Uscendo incontrò Messer Hóu che l’aveva raggiunta giusto in tempo per assistere alla presentazione della sua invenzione e soprattutto alle reazioni di meraviglia che avrebbe suscitato. Arrivarono decimi.

Con la festività c’era un gran daffare, non si sarebbe mai riusciti a far tutto ciò che bisognava, a preparare tutto e c’era anche, addirittura, da prepararsi per arrivare in tempo. Messer Jī il Gallo era certo che sarebbero arrivati primi, chi volevi che si svegliasse a quell’ora di mattina, certamente non avrebbero trovato nessuno, non c’era proprio da agitarsi e correre di qua e di là come stava facendo Donna Jī. In fondo si erano organizzati per tempo, erano riusciti anche a far arrivare la Suocera nonostante tutto ciò che c’era da fare, organizzare, sistemare, aggiustare. Insomma in tutto quel trambusto erano riusciti, non s’era mai capito in che modo, a farla arrivare mentre il Suocero aveva preferito proseguire i suoi giri mattutini, andare a compare il giornale, leggerlo da cima a fondo comodamente seduto nel bar centrale tanto sapeva che sarebbero stati gli ultimi, o quasi, ad arrivare perché quell’impettito di suo genero non era mai riuscito a sbrigare tutto per tempo. Ebbe tutto l’agio di leggere anche il giornale sportivo, l’allegato scientifico e l’inserto culturale prima che la famigliola si decidesse ad uscire. Come aveva previsto, giunsero decimi, quindi terzultimi.

La famiglia Gǒu, il Cane, aveva approfittato della giornata festiva per godere un po’ di meritato riposo. Avevano lasciato spenta la sveglia e non si erano minimamente preoccupati dell’orario. Quando si destarono era già tardi e il sole si muoveva veloce nel cielo verso Ovest. Poco importava se in realtà era la Terra a muoversi e non il Sole, guardando il cielo l’impressione era proprio che fosse la nostra Stella a girare. Si prepararono con tutta calma, pigrando felici. La colazione era stata preparata la sera prima e consisteva in una nutriente e gustosa pietanza adatta a celebrare degnamente l’inizio di quella giornata che si preannunciava molto divertente. Si erano messi già d’accordo coi loro amici per incontrarsi anche se non avevano definito un orario preciso, una giornata di festa era prima di tutto un momento per recuperare le energie crogiolandosi nella propria pigrizia. Uscirono nel pieno della giornata e si dedicarono ad attività ricreative, quali andare a prendere il giornale con gli inserti festivi, leggerlo o quantomeno sfogliarlo, scovare qualche prelibatezza nelle botteghe di ghiottonerie e, fondamentalmente, bighellonare contenti e spensierati. Giunsero penultimi.


Per niente al mondo Messer Zhū, il Cinghiale, avrebbe lasciato a chicchessia l’onore di accompagnare la propria donzella, Donna Zhū, pertanto aveva iniziato a prepararsi di buon mattino. Era uscito dopo una breve toilette e si era recato di gran carriera dal barbiere per farsi tirare a lucido. Lì aveva chiacchierato del più e del meno e si era informato delle novità cittadine. Aveva chiesto informazioni su tutto, senza dimenticare nessuno, pensando che sarebbe stato scortese da parte sua non dimostrare il dovuto interessamento senza fare distinzioni. Con allegra baldanza si era dunque recato dalla fioraia dove aveva ordinato uno splendido mazzo di gerbere per la sua donzella e aveva fatto un salto nella cioccolateria belga all’angolo con il giornalaio. Fece confezionare una scatolina del più pregiato cioccolato, andando a scegliere le prelibatezze che sapeva ella avrebbe particolarmente apprezzato, tanto che era lì si concesse uno spuntino a base di croissant con crema di nocciole e cacao e una cioccolata in tazza con tripla panna. Quando bussò alla porta della sua amata venne accolto con un gran sorriso che lo inorgoglì le porse la mano galante, uscirono insieme e giunsero ultimi. 

sabato 12 novembre 2016

Zodiaco. Pesci (acqua)

Pesci (acqua)

Poseidone s’era svegliato un po’ acciaccato dall’umidità che filtrava dalla finestra che sua moglie Demetria aveva spalancato senza ricordarsi di chiuderla per accogliere il nuovo giorno e tutto ciò che di buono esso portava con sé. Il cappuccino profumato e denso che la sua dolce consorte volle portargli pietosamente e gentilmente a letto aveva lievemente attutito lo shock di doversi destare a tale ora del mattino che, qualunque fosse, non corrispondeva a quella dettata dai suoi bioritmi naturali ed era quindi inevitabilmente, inequivocabilmente troppo mattiniera. Invidiava moltissimo orsi e animali che riescono ad andare in letargo e odiava i gatti per la loro capacità di rilassamento assoluto. Non che li temesse, nonostante fosse nato sotto il segno dei pesci, però li guardava con una certa diffidenza, aveva sempre la sensazione che fossero animali di qualche altro pianeta o galassia o forse universo. Soprattutto Pegaso, che stava ronfando sui suoi piedi senza timore d’essere disturbato. Ebbe la tentazione di fargli qualche dispetto ma il cappuccino caldo lo distolse dai suoi intenti e gli infuse la forza necessaria ad alzarsi senza recare troppi traumi al suo allenatissimo corpo, snello e sempre in splendida forma. Si stiracchiò, infilò di corsa la porta del bagno per una bella doccia calda, avrebbe gradito anche un idromassaggio ma le goccioline di acqua tiepida per non dire bollente gli scivolavano sulla pelle rilassando i tessuti, un getto fresco li tonificava e poi di nuovo una temperatura adatta a star caldo tutta la giornata. Uscire dalla doccia era un piacere soltanto a patto di cospargersi di creme vellutate e profumati oli preparati artigianalmente con le erbe del giardino che coltivava con amore e dedizione insieme a Demetria. Si spazzolò i capelli con voluttà ed energia finché non ottenne la forma che aveva deciso che avrebbero dovuto avere, impiegò una buona mezz’ora nelle ritualità mattutine nella sala da bagno, quindi si preparò indossando un elegante spezzato di lana e cachemire con una camicia di seta blu, del medesimo colore delle scarpe, del borsello, dell’orologio da gilet e del nastro intorno al suo Borsalino originale regalo di compleanno che aveva apprezzato moltissimo. Cercò invano un fiore adatto da appuntare all’occhiello e si limitò ad indossare una spilla di lapislazzulo e argento brunito. Si guardò lungamente allo specchio e prima di uscire insieme alla sua famiglia, calzò guanti e ghette, indossò il mantello di loden tirolese. Spolverò il sellino della bici e ne spazzolò il telaio prima di inforcarla, si staccò per qualche momento dalla sua famiglia per una breve sosta dalla fioraia, che andò in brodo di giuggiole nel confezionargli un piccolo bouquet composto di tulipani e ranuncoli di straordinaria eleganza, e dal giornalaio, dove acquistò l’immancabile Settimana Enigmistica, un passatempo che lo aiutava a concentrarsi e la rivista della Reale Società Cartografica del Regno Unito. All’inizio in paese erano rimasti tutti quanti un po’ sbigottiti dalla sua indiscutibile eleganza ma poi ci si erano abituati con la stessa facilità con cui ci si abitua alla bellezza, a ciò che ci fa stare bene. Per Poseidone era una naturale attitudine, un modo di vivere, di rispettare sé stesso, gli altri e di affascinare ogni santo giorno la sua amatissima Demetria, l’unica donna che lo aveva sempre fatto sentire felice di essere sé stesso, di amare e di essere amato. Provava nei suoi confronti un sentimento di libertà e di benessere assoluti, sentiva di poter esprimere tutta la sua creatività e tutta la sua femminilità senza tema di essere frainteso. D’altronde Demetria aveva una fortissima componente ‘maschile’ pur nella sua prorompente femminilità e i due si integravano perfettamente. Non impiegò molto a raggiungere la sua famiglia, accelerando notevolmente la pedalata. Prima di entrare donò il bouquet a sua moglie, che sorrise morbidamente.

Per colazione prese un caffellatte schiumoso e un cornetto con crema di mandorle. 

venerdì 11 novembre 2016

Zodiaco. Aquario (aria)

Aquario (aria)

Marina e Marino erano fratello e sorella, non erano gemelli ma erano sposati rispettivamente con Gemino e Gemina e da molto tempo avevano smesso di cercare di capire le modalità comunicative dei loro consorti. Quella mattina si erano svegliati stiracchiandosi nel letto e avevano visto i due uscire come richiamati da un’atavica forza di attrazione di corpi e pianeti completamente differente da quelle studiate sui libri di scuola, così avevano deciso di andare a fare colazione insieme. Si erano preparati svolgendo rispettivamente esercizi di yoga antigravitazionale e di boxe motion, quindi avevano chiacchierato e si erano dati appuntamento al Fireplace dopo la doccia e i lunghi preparativi per coccolarsi estesamente. Tanto che c’erano, provarono gli innovativi prodotti che avevano scovato nella fornitissima erboristeria in centro. L’erborista li conosceva bene e trovava sempre il modo di incuriosirli con qualcosa di nuovo o qualche erba che non era ancora arrivata in paese. Erano stati i primi a cui aveva proposto il caffè verde, i primi a cui aveva presentato l’aloe e le proprietà nutritive dell’amaranto, gli unici cui aveva parlato di un tessuto creato con gli scarti dell’ananas, sapeva di trovare in loro gli interlocutori che qualunque erborista curioso vorrebbe incontrare almeno una volta nella propria carriera. Mentre erano impegnati nelle ritualità mattutine non persero di vista i notiziari e gli aggiornamenti su tutto ciò che poteva essere particolare, eccentrico. Da qualche tempo si erano decisamente incaponiti alla ricerca di artigianato di qualità e coinvolgevano i loro rispettivi coniugi in lunghe gite per stanare gli artefici di particolari assolutamente unici e inimitabili. Si erano convinti che la forma più moderna di innovazione fosse la produzione di qualità, possibilmente creata a mano da mastri artigiani italiani, il che non era del tutto falso. Il Fireplace era l’unico locale che soddisfacesse sempre le loro esigentissime richieste e sapeva far fronte ad aspettative molto alte. Oltre ovviamente a presentare una splendida selezione di artigianato locale e prodotti squisiti. Leonessa non ne aveva subito compreso le potenzialità, era stato più che altro Cernunno a farle notare che Marina e Marino erano irresistibilmente attratti da tutto ciò che era nuovo. Se c’era un tavolo appena giunto nel locale, loro erano quasi certamente i primi ad utilizzarlo, se ella portava un nuovo gioco erano loro e non, come aveva sempre pensato, Gemina e Gemino a provarli, se c’era qualche ingrediente insolito erano all’avanguardia nel testarli e i loro discorsi vertevano pressoché sempre su questioni particolari, differenti. Forse Leonessa non se n’era accorta di primo acchito perché quello era un lato del suo carattere che la spingeva ad agire istintivamente senza neanche ben rendersene conto e Cernunno amava profondamente quella sua intrinseca capacità di capire sempre qualcosa di ulteriore. Marina e Marino non indossavano mai gli stessi abiti e se lo facevano riuscivano con un dettaglio, un monile o un accessorio a dare l’impressione che fossero appena usciti dalle passerelle fashion dell’anno successivo a quello in corso. Erano perfetti insieme ai gemelli perché erano fondamentalmente eterni bambini in cerca di giochi con cui divertirsi a vivere un’esistenza di per sé straordinaria. Erano usciti in bici, non una qualunque, beninteso, bensì una bicicletta costruita ad hoc dallo stesso artigiano che aveva realizzato quella di Savio su disegno del designer danese. Ambedue avevano valutato attentamente l’ipotesi di una bici coperta ma alla fine avevano optato per un modello aperto e fortemente personalizzato con leghe ultraleggere e appariscenti cestini da manubrio col loro nome creato artigianalmente. Tra l’altro la bici coperta avrebbe richiesto l’intervento di un solo artigiano mentre loro erano riusciti a coinvolgerne sei per costruire il loro velocipede e questo era stato molto più divertente.
Arrivarono al Fireplace sulle loro due ruote, entrarono portando una ventata di novità e trovarono i gemelli intenti a chiacchierare intensamente senza profferir parola udibile con le orecchie e non con il cuore.

Si riunirono ai loro consorti incuriosendosi della scatola magica piena di giochi e poi, senza bisogno di ordinare, Leonessa portò loro ciò che ancora non era nel menù, per farglielo assaggiare e avere un parere, cosa che li riempì di gioia intensa. 

giovedì 10 novembre 2016

Zodiaco. Capricorno (terra)

Capricorno (terra)

La sveglia aveva suonato alla solita ora, Cernunno si era crogiolato un po’ nel calduccio del letto insieme a Leonessa, godendo del suo odore che era diventato ormai parte di sé. Avrebbe voluto accarezzarle i capelli tutto il giorno ma era ora di alzarsi. Si preparò e si vestì senza neanche chiedersi che tempo facesse, sicuramente non era ferragosto, quindi o era freddo o umido o tutte e due le cose insieme. C’era poco da elucubrare, d’altronde gli era bastato osservare lo sguardo stizzito e infantilmente incantato di Leonessa per capire che fuori non c’era il sole e che probabilmente c’era la nebbia, elemento che le piaceva perché le svelava un altro aspetto del quotidiano. Lei aveva una gran fantasia, riusciva a scorgere il bello in situazioni e luoghi dove sembrava impossibile leggere altro che bruttura e squallore. In una periferia degradata di una grande metropoli lei era capace di scorgere la meraviglia di un fiore sbocciato quasi per fare un dispetto ai palazzinari e questo era uno degli aspetti che lo avevano fatto innamorare di quella creatura tanto generosa e protettiva quanto fragile nell’aprirsi ai sentimenti più semplici. Non che lui fosse una persona semplice, tutt’altro, era piuttosto introverso per quanto concerne ciò su cui temeva di essere ferito. Testardo e determinato, riusciva ad integrarsi con gli scoppi improvvisi di passioni contrastanti di Leonessa. Probabilmente era l’unico uomo sulla Terra in grado di tenerle testa senza soffocarne la creatività. Di certo era l’unico che potesse sopportare il suo disordine casalingo. Mentre era immerso in tali pensieri, inciampò infatti in un pattino a fibbie di cuoio che Leonessa aveva scovato da qualche parte e che aveva portato in casa pensando di realizzare qualcosa di cui sicuramente gli aveva parlato anche se lui non se ne ricordava. Peccato che l’oggetto in questione fosse stato nascosto da una pila di giornali e libri assolutamente necessari i quali probabilmente, molto probabilmente, pensò con il sedere sul freddo pavimento Cernunno, sarebbero finiti nello splendido camino del Fireplace. Ripose il pattino vicino alle chiavi, respirò profondamente dopo aver constatato che non si era fatto niente in quanto una pila di panni aveva attutito il colpo, si preparò e uscì rabbioso nella giornata uggiosa la cui lattiginosità non avrebbe assolutamente attenuato la sua sete di giustizia. Nella macchina caricò attrezzi per fisare alcune novità al Fireplace, una pila di colpevoli giornali, riviste e libri, nonché, ovviamente, il pattino incriminato. Indossò la sua espressione più truce e spietata e si diresse verso il locale tanto ben gestito dalla sua amatissima compagna. Lungo la strada gli venne in mente che una bella monstera deliciosa sarebbe stata particolarmente bene in un angolo del locale che Leonessa gli aveva chiesto di riempire in qualche modo, per cui si fermò dalla fioraia accantonando, soltanto per il momento, il suo risentimento. Caricò la monstera deliciosa in macchina e si diresse verso il Fireplace, parcheggiò e cominciò a scaricare imprecando in tutti i dialetti che conosceva. Entrò dall’ingresso principale con la monstera in una mano e una orchidea tigrata cui non aveva saputo resistere nell’altra. Leonessa gli lanciò uno sguardo carico di amore assoluto e profondo che gli fece ribollire il sangue nelle vene e contestualmente passare malumori e nervosismi. Aveva acquistato le piante senza neanche pensarci, in un gesto spontaneo, ed ecco che lei aveva messo da parte la fatica che soltanto lui le leggeva sul volto per esprimergli platealmente il suo sincero e incondizionato amore. Non riuscì a tenerle il broncio e optò per un racconto ilare delle sue disavventure mattutine col pattino reo di averlo fatto catapultare al suolo. Lei lo avvolse in un abbraccio talmente coinvolgente che sarebbe stato difficile per chiunque, addirittura per lui che tipicamente non ne faceva cadere neanche una, arrabbiarsi e non stringerla tra le braccia con passione mai sopita.

Di solito non faceva colazione ma quella mattina decise di concedersi il lusso di un pasto deciso. Prese un bel cappuccino schiumoso accompagnandolo con una fetta di strudel di mele nella ricetta tradizionale e un succo di mirtilli. 

mercoledì 9 novembre 2016

Zodiaco. Sagittario (fuoco)

Sagittario (fuoco)

Savio s’era svegliato di buon mattino, senza far troppo caso al clima, tanto a quello ci aveva sicuramente già pensato Virginia. Prima di uscire si era impegnato negli esercizi di respirazione e riequilibrio posturale, allungava la colonna con un misto di Graham e Lìmon, aveva dunque recitato alcuni mantra e si era preparato per affrontare la giornata nel modo più proficuo possibile. Mentre l’acqua scorreva ad intensità differente nel soffione colorato aveva provato il nuovo bagnoschiuma al ginepro nero ottimo per tonificare il corpo. Si era quindi frizionato con olio di iperico e lauro, facendo attenzione ad asciugare la viscosità in eccesso con polvere di riso biodinamico prodotto dall’azienda di un’amica di Virginia. Per il viso aveva preferito crema di mandorle di Avola equosolidale e sui capelli aveva spruzzato olio secco e luminescente di una nota casa britannica che da anni porta avanti battaglie animaliste. Vestendosi aveva avvolto i suoi muscoli perfetti di danzatore professionista in morbidi abiti di lana, cachemire e seta, filati italiani di altissima qualità e ridottissimo impatto ambientale. Uscì e raggiunse nella comoda bicicletta coperta inventata da un ingegnoso danese il Fireplace. Gli spifferi di aria fredda potevano essere piuttosto sgradevoli per lui, soprattutto dopo una giornata di allenamento in sala, ma preferiva, quando poteva, evitare aerei e automobili, la soluzione della bicicletta coperta gli era sembrata particolarmente adatta alle sue esigenze e ne aveva ordinata una realizzata appositamente per lui su progetto del designer scandinavo da una bottega ciclistica artigianale che aveva una predilezione per materiali eco-sostenibili di indubbio livello qualitativo. Con sua moglie aveva instaurato un rapporto di rispetto, lei comprendeva appieno le sue esigenze scandite alla perfezione dal ritmo implacabile di grand jeté e arabesque e lui si adagiava comodamente nella sua ferrea organizzazione, le necessità di Virginia di organizzare tutto fin nei minimi dettagli ben si combinava con le sue esigenze di non perdere neanche un’ora di allenamento quotidiano e con la disciplina necessaria per svolgere il nobile mestiere dell’arte coreutica. Si fermò un momento dalla fioraia per acquistare una bella pianta di pothos per purificare l’aria nella sala prove e diede istruzioni affinché venisse consegnata presso lo studio a lui dedicato. Si recò dunque nella chiesa che tanto amava. Di impianto trecentesco era stata costruita su un luogo di culto pre-esistente ed emanava una fortissima energia spirituale. La facciata a capanna presentava un portale centrale in marmo e mosaici policromi sovrastato da una lunetta in ceramica di finissima fattura mentre l’interno, raccolto e intimo era espressione delle maestrie artistiche di epoche successive. L’odore dell’incenso e la meraviglia degli affreschi lo faceva stare bene, recitare le sue preghiere gli faceva ritrovare la concentrazione necessaria ad affrontare col sorriso e con l’umiltà che contraddistingue i grandi artisti l’impegnativa giornata. Uscendo dopo gli esercizi spirituali riprese la sua bici coperta che non aveva avuto neanche bisogno di ancorare con la catena, le finestre della piazza erano sempre attente per colui che aveva portato così in alto il nome del paese, e si recò verso il Fireplace dove ovviamente sua moglie Virginia si stava accingendo a fare colazione. Al contrario di lei, egli comprendeva appieno le difficoltà di Leonessa nel ricordare le precisissime indicazioni e con uno sguardo in cui erano racchiusi millenni di sapienza spettacolare, la soccorreva nella presentazione di quello che Virginia aveva scrupolosamente e meticolosamente richiesto.
Gli piaceva andare al Fireplace, non c’era confusione, tutto era scelto con criterio di solidità e di qualità e apprezzava l’attenzione nei confronti dell’artigianalità. Nonostante Leonessa fosse una sua ammiratrice non lo aveva mai messo in imbarazzo riservandogli quelle preferenze che lo avrebbero distolto dai rari momenti di quotidianità da persona ‘normale’ che lo ricaricavano e gli davano la forza di essere sempre all’altezza delle enormi aspettative del pubblico e, soprattutto, sue personali.

Insieme ad una tisana di anice stellato e zenzero, sorbì un estratto di bacche di goji fresche, che Leonessa aveva ordinato soltanto per lui senza ovviamente fargliene avere il minimo sentore, e melograno. Da mangiare un pudding di avena dolcificato con carrube e stevia, aromatizzato con scorze di limone non trattato e menta fresca. 

martedì 8 novembre 2016

Zodiaco. Scorpione (acqua)

Scorpione (acqua)

Scorpio s’era destato di pessimo umore, l’aria fuori sembrava decisamente umidiccia e nebbiosa, non si vedeva un raggio di sole neanche a proiettarlo col laser e Tirella se n’era già andata senza lasciargli alcuna prelibatezza da gustare per farsi passare il nervosismo che lo attanagliava quando il tempo era tanto uggioso. Non lo sopportava, quella nebbietta lattiginosa non aveva carattere non era niente altro che un’ovattata umidità che ti entra nelle ossa in modo subdolo prendendoti per stanchezza. La notte era trascorsa e c’era da affrontare una di quelle giornate in cui le liti sarebbero state il male minore. Si capiva dal freddo che gli aveva offeso il piede appena sceso dal letto che sarebbe stata una giornataccia. Niente, sua moglie non ne voleva proprio sapere di dargli qualche soddisfazione culinaria. Organizzava tutto e mancava sempre quello che lui voleva e desiderava, non riusciva mai a soddisfare appieno le sue aspettative, che certo erano piuttosto alte, ma d’altronde stargli vicino era un privilegio che qualunque donna dotata di senso logico e di un minimo di sangue caldo nelle vene avrebbe cercato di ottenere. Sembrava proprio che sua moglie non si curasse di tutto ciò e lo faceva apposta, era evidente!, a non occuparsi di soddisfare i suoi appetiti. Ah, meno male che c’era il Fireplace dove, bene o male, riusciva sempre a trovare qualcosa di buono e Leonessa non era mai stata sgarbata con lui, così non aveva avuto la necessità di gridarle contro quanto non fosse assolutamente in grado di svolgere il proprio lavoro. Non gliene aveva mai dato modo e questo lo indispettiva un po’, sembrava che fosse proprio in gamba seppur non lo avesse mai degnato di uno sguardo in più del dovuto e tale noncuranza avrebbe potuto essere interpretata come un’onta o un finto interessamento, non avrebbe saputo dirlo e quindi aveva stabilito un tacito patto di non belligeranza con lei. Tirella era uscita senza dirgli niente, senza neanche un biglietto, voleva proprio vedere dove era andata così, senza preavviso, senza una parola, un bacio o un abbraccio. Credeva di poterlo gestire ma non aveva capito che era lui a comandare. Gli aveva preparato i vestiti da indossare e li aveva appoggiati sulla sedia accanto al letto, come al solito, e lui li indossò non senza complimentarsi con la moglie per il suo gran senso pratico, effettivamente erano proprio gli abiti adatti a quel clima che ti si appiccicava addosso. Stava per preparare un caffè ma voleva accertarsi che la moglie si fosse recata dove lui effettivamente pensava che avesse deciso di andare. Non si poteva mai sapere e bisognava stare sempre attenti, Tirella era una bella donna, piacente ed era la sua donna, non passasse neanche per l’angolino di un occhio voglioso di guardarla in un modo che a lui non piaceva perché altrimenti avrebbe escogitato qualche cattiveria per fargli passare il vizio di mettere gli occhi sulle mogli altrui. Non che la bella bionda con cui condivideva la vita privata, la casa e le festività natalizie fosse frivola, però era piacente e sempre ben tenuta. Guardandosi allo specchio notò con orrore un rotolino adiposo all’altezza delle maniglie di Venere e decise di recarsi a piedi al Fireplace, camminando di buon passo, non senza aver prima cosparso il suo torace giustamente villoso ma non troppo con una nube di deodorante dall’intenso profumo di patchouli con punte cedrine. Guardando la bicicletta gli venne il pensiero che se fosse andato a piedi forse avrebbe fatto tardi, per cui inforcò il velocipede e optò per una sessione suppletiva di GAT in palestra la sera. Mentre pedalava imprecava più o meno mentalmente contro le goccioline nebulose che gli si formavano sulle sopracciglia perfettamente depilate in forma di coda di scorpione, animale che dominava il suo segno e che amava particolarmente.
Prima di entrare al Fireplace si asciugò con un fazzoletto il volto umidiccio di sudore e guazza mattutina, si rassettò e spalancò l’uscio facendo scattare un coro di ‘la porta!’ che, per l’appunto, invitava a chiudere i battenti.
Tirella stava controllando l’orologio e sorridendo lo accolse pensando che non era in ritardo neanche di cinque minuti, lo baciò sensuale e svenevole, egli placò le sue ire funeste e si dedicò alla scelta della colazione, che sua moglie gli aveva già fatto preparare.

Mangiò pane e composta di nespole, bevve un succo di rabarbaro e un caffè di cicoria biologico amaro e deciso. 

lunedì 7 novembre 2016

Zodiaco. Bilancia (aria)

Bilancia (aria)

Giustino quella mattina si era svegliato con tutta calma dopo una serena notte di placido sonno al non troppo soave suono del portone sbattuto nervosamente dalla moglie Ariella che era uscita col suo solito piglio peperino. La giornata si presentava lattiginosa, i rumori ovattati esaltavano il melodioso canto degli uccellini e la nebbiolina metteva in risalto il vermiglio dei pettirossi. Si alzò stiracchiandosi con la mente fresca e riposata, entrò in bagno per le ritualità mattutine e gli venne una gran voglia di fare una cosa che avrebbe decisamente indispettito suo moglie, soprattutto di primo mattino. Ariella non c’era così diede libero sfogo ai suoi bassi istinti e si mise a fischiettare Largo al Factotum dal Barbiere di Siviglia mentre si radeva senza praticare sul suo morbido viso neanche un graffietto. Entrando nella doccia non poté trattenersi dal cantare l’aria, giocando con l’acqua “Figaro qua, Figaro là ah che fortuna ah che fortuna lalalalalala”. Svegliarsi di buonumore era insito nel suo carattere sempre equilibrato che gli faceva apprezzare la bellezza della vita, affrontando i problemi se e nel caso si fossero presentati, nel momento in cui ciò fosse eventualmente avvenuto, senza preoccupazioni non necessarie. Era profondamente innamorato di Ariella, gli altri pensavano che fosse un po’ fumantina ma a lui piaceva tantissimo il suo modo di trovare sempre qualcosa di nuovo per cui infervorarsi. Quando si infiammava e cercava di fargli i dispetti scatenava in lui un’ilarità, che doveva star bene attento a trattenere, mista a tenerezza. Per quei momenti aveva elaborato un’espressione che consisteva nel tenerle il muso con costernazione e tristezza che la faceva placare. La colazione in cucina era una dichiarazione di guerra per qualcosa che lui aveva inconsapevolmente fatto durante la notte, forse aveva russato o semplicemente sorriso nel sonno e questo doveva averla fatta andare su tutte le furie. Si vestì e uscì certo di trovare Ariella al Fireplace, era il suo modo di riprendere la giusta calma e concentrazione per affrontare qualche nuova avventura che doveva esserle balenata nella mente sempre in movimento. La solida relazione di Giustino e Ariella si fondava su alcuni principi, primo tra i quali era l’amore assoluto che provavano l’uno per l’altra. Lei era un vulcano in eruzione e lui il mare calmo in cui riversare le colate di lava. A guardarli dall’esterno facevano pensare allo Stromboli, luogo che li faceva sentire bene. Inforcò la bici e si diresse verso la bottega della fioraia che gli propose un bel mazzolino di garofani purpurei e fucsia screziati di bianco, consiglio che lui accettò di buon grado. Pose i fiori nel cestino di vimini ornato di simpatici animaletti di feltro ben ancorato al manico della bici, si fermò poi ad acquistare i giornali per lui e Ariella, che se n’era sicuramente dimenticata, e si recò senza indugio al Fireplace prima che sua moglie cambiasse idea. Quando arrivò lei era lì in un dialogo tutto suo col fuoco e con Leonessa, aspettò che inarcasse la schiena e scrollasse dalla sua testa riccioluta i pensieri, quando poté chiaramente scorgere la limpida luce che aveva rischiarato il suo volto, le si avvicinò stampandole un bel bacio e porgendole il mazzolino di garofani e i giornali. I due si guardarono con gli occhi inumiditi dall’amore sincero che li univa indissolubilmente sotto lo sguardo bonario e protettivo di Leonessa. Il fuoco nel camino sembrò ravvivarsi per un refolo di vento e danzare con l’aria che lo rendeva vivo.  
Chiacchierarono un po’, lessero i giornali. Giustino scorrendo gli articoli dal primo all’ultimo mentre Ariella saltellava da una notizia all’altra commentando con suoni di approvazione o sdegno e finalmente egli riuscì ad avere la colazione che desiderava.

Prese un succo frizzante di mela trentino, latte caldo di alpeggio con miele di castagno avellinese, cannella e cardamomo, e una bella fetta di crostata con marmellata artigianale di albicocche.

domenica 6 novembre 2016

Zodiaco. Vergine (terra)

Vergine (terra)

Virginia quella mattina non aveva avuto necessità di guardare fuori dalla finestra per sapere che tempo facesse perché aveva controllato le previsioni meteorologiche la sera prima e aveva di conseguenza preparato, per recarsi in ufficio, i vestiti per l’indomani, la borsa e il thermos multiplo con 127 grammi di insalata di farro, verdure al wok e tofu, una mela renetta, il mix di frutta secca composto da 10 mandorle sgusciate ma non pelate, 3 noci di Sorrento, 1 pecan e 1 noce macadamia, 4 chicchi di uva gialla passita di Malaga, un vasetto di yogurt preparato la domenica precedente. Per non sbagliarsi, aveva lucidato con l’impermeabilizzante sia le decolleté che gli stivaletti, ambedue con un sobrio e perfettamente bilanciato alla lunghezza del suo piede tacco di 4 centimetri e mezzo. Aveva cercato il tacco 4,4 perché aveva stabilito, con complessissimi calcoli trigonometrici, che la proporzione perfetta tra la sua inclinazione posturale, la lunghezza dell’arco plantare e la lunghezza complessiva del piede era quella di cui sopra. Si era poi convinta perché aveva notato che, aumentando la trazione del polpaccio nelle sequenze di allungamento in palestra, il suo tendine poteva sopportare quel tipo di movimento senza stress. Il suo atteggiamento non era da perfezionista e lei non si rispecchiava minimamente nelle descrizioni astrologiche delle caratteristiche delle persone nate nel suo segno, il suo era soltanto senso pratico e coscienza di sé. Capiva che le altre persone si comportavano in modo differente ma non le sembrava strano prevedere ogni singolo istante della propria esistenza, anzi, era più che convinta che fosse un modo per ottimizzare il tempo e vivere più pienamente la propria vita senza perdersi in chiacchiere o in imprevisti scomodi e sgradevoli che potevano essere evitati semplicemente prendendo in considerazione tutti gli aspetti di una situazione data. La sua colazione al Fireplace era un rito preparato con dovizia di particolari, cosa che ovviamente facilitava Leonessa nel suo non facile compito di soddisfare i gusti di tutta la clientela. Con lei non aveva mai difficoltà, le comunicava per tempo la quantità di calorie e il tipo di ingredienti che avrebbero dovuto costituire la sua colazione e tutte le volte che si recava al Fireplace, sempre alla medesima ora, non doveva neanche perdere tempo ad ordinare e scegliere, il manicaretto preparato apposta per lei era lì, pronto ad aspettarla, alla temperatura perfetta. Leonessa non le aveva mai confidato, e mai l’avrebbe fatto, che aveva tappezzato la cucina con post-it per ricordarle il suo orario d’arrivo e che più di una volta aveva letteralmente improvvisato, servendole un manicaretto che soltanto per virtù del caso corrispondeva alle esigenze della più puntuale tra gli avventori del suo locale. Virginia non aveva mai capito come Leonessa potesse essere così premurosa con tutti quanti ma aveva elaborato una sua teoria che non rispondeva neanche un po’ al vero. A volte la guardava con ammirazione ed era certa che da qualche parte in cucina vi fosse una lavagna o un’agenda annuale con tutte le preferenze degli avventori, con tutte le frasi di circostanza che erano adatte o sgradite alle varie persone e invidiava, nel profondo del suo animo, la sua straordinaria capacità organizzativa. Non le era mai balenato il pensiero, anche vago, che Leonessa potesse fare tutto ciò seguendo il suo istinto e che si sarebbe letteralmente perduta tra carte, agende e taccuini.
Virginia aveva sempre tutto sotto strettissimo controllo, aveva pianificato il suo fidanzamento, il suo matrimonio, le tappe formative di figli e nipoti e di tutte le generazioni future della sua stirpe, a volte non capiva perché loro agissero di testa propria e in modo tanto irrazionale, arrivare in ritardo non era contemplabile per lei se non era previsto nella lista degli imprevisti e la sua vita era perfettamente lineare, coerente e cristallina.

Quella mattina, senza neanche doverlo chiedere, sorbì una spremuta di limone, bergamotto e mandarino preparata al momento, accompagnandola con due biscotti integrali dolcificati con la stevia, scorze di zucca candita e un gelso ricoperto di cioccolato fondente. 

sabato 5 novembre 2016

Zodiaco. Leone (fuoco)

Leone (fuoco)

Il Fireplace era il suo regno dove coccolare i tanti clienti, creature fragili e indifese di cui si prendeva cura come fossero stati suoi pargoli. Leonessa era una di quelle donne di una generosità travolgente e altrettanto esuberante temperamento. Sapeva indovinare i gusti e procacciare leccornie e prelibatezze adatte ad ognuno di loro. Non che si preoccupasse se per un po’ qualche avventore mancava all’appello senza preavviso, no, è che aveva la tendenza a tenere sotto controllo le vite altrui, almeno quando varcavano le porte del suo locale.
Lasciava che ognuno di loro apprezzasse in modo assoluto ciò che lei, effettivamente, faceva per loro. Qualche malelingua aveva affermato, a suo rischio e pericolo, che Leonessa imponesse sulle vite degli altri il suo volere in modo pressoché dittatoriale. Lei sorrideva sorniona a tali accuse e faceva regolarmente ricredere chiunque l’accusasse con la maestria distillata nel corso dell’evoluzione dai felini di qualunque era geologica e latitudine geografica. Amava la nebbiolina che avvolge tutto fino a che non decideva di andare a fare una passeggiata e allora la giornata doveva necessariamente essere splendida con il sole ad accompagnare e scandire ogni suo passo. Una variazione meteorologica che non rispondesse esattamente alle sue aspettative poteva anche metterla di pessimo umore, almeno fino alla scoperta di qualche dettaglio meraviglioso che non aveva notato prima d’allora. Il fuoco era il suo elemento e sopportava poco e male il freddo, sebbene in una fresca giornata di sole poteva anche tollerare temperature abbastanza rigide. Generosa in qualunque attenzione che profondeva in ciò che preparava per gli altri, aveva sempre qualche idea che la illuminava d’immenso e non erano poche le volte in cui intraprendeva senza timore imprese all’apparenza impossibili, come quella volta che aveva dato ascolto a Gemina e Gemino per il torneo di biglie colorate, che si era ovviamente trasformato in un successone.
Non riusciva a star ferma ma aveva imparato a non gesticolare troppo mentre pensava, soprattutto se stava preparando qualcosa che poteva rovesciarsi da qualche parte o addosso a qualcuno.  Vivere e amare erano sempre state due imprescindibili passioni, non c’era niente che non le interessasse o non suscitasse improvvise e assolute curiosità. Aveva arredato il Fireplace con oggetti di artigianato che le davano la sensazione di qualcosa di genuino, vero e unico. Nel suo locale permetteva che si lavorasse a maglia, che si mangiasse, ridesse, leggesse un libro, suonasse e discutesse ma se vedeva una coppia intenta a comunicare tramite telefonini non resisteva alla tentazione di far loro qualche dispettuccio, così tanto per gradire. Nel suo locale le partite di calcio erano state bandite, accettava talvolta soltanto i resoconti dettagliati degli incontri tra squadre locali, più per le storie che si trascinavano dietro che per l’attività agonistica. Cercava, pur lasciando un minimo margine di libertà, di assecondare i desideri degli avventori ma poneva alcune regole che creavano un’armonia molto difficile da trovare in altri locali. Aveva creato un’area giochi per i bambini in cui i piccoli potevano creare sculture con la creta, colorare e fare le capriole, potevano ridere e annoiarsi, leggere libri e raccontare storie e sentiva una gran pena quando ne vedeva qualcuno incollato a qualche dispositivo elettronico che rideva con aria strafottente. A volte provava a farli giocare ma poi di solito i genitori distratti di quei bambini si stancavano di andare al Fireplace preferendo qualche posto più chiassoso e meno impegnativo.
Aveva ristrutturato il suo locale con amore e dedizione, lo aveva immaginato fin nei minimi particolari e poi aveva sfasciato i suoi progetti per poi ricrearne di nuovi. Questo suo atteggiamento le aveva causato non poche liti col suo compagno, un uomo testardo e sincero che l’amava, riamato, con una passione che a volte non riusciva a spiegarsi, ma alla fine aveva ottenuto di fare le cose a modo suo e aveva avuto ragione. Il Fireplace, oltre ad essere un luogo di ristoro, era un posto dove ritrovar sé stessi e il senso più profondo del vivere, dove agire culturalmente e consapevolmente. Leonessa selezionava con amore gli ingredienti e le piaceva provare sempre qualche novità.

Quella mattina scelse un succo di rosse arance sanguinelle siciliane con una fetta di pane antico e miele d’acacia dal Parco nazionale e una di pane ternano con marmellata artigianale di uva rossa.