domenica 31 ottobre 2021
La strega di Halloween
domenica 10 ottobre 2021
La Puma Irene e il pane lunare
La Puma Irene
C’era una volta e c’è ancora una piccola
città con una storia antica che si chiama Mentana. Non è lontana da Roma, la
capitale della Repubblica Italiana, e sorge tra colline, uliveti, pescheti,
ciliegeti e vigneti. È un luogo molto tranquillo dove non accade quasi mai
niente di troppo impressionante e le stagioni scorrono lentamente, colme di ortaggi
e festività. Nell’antichità era un vero e proprio giardino di primizie e
gustose specialità, vi matura infatti una frutta succosa e di rara bontà tanto
che nobili e patrizi vi trascorrevano le vacanze, organizzando feste dove si
mangiava e beveva a volontà. Nelle tavole imbandite c’era ogni tipo di
leccornia, tra cui foglie di alloro con miele e noci, fragranti focacce di
farro con olio e olive della giara di Giulia, pinse calde con fichi freschi, delizie
di ricotta e more, succhi di frutta e altre specialità. Le colazioni, i pranzi,
le cene e le merende mentanesi sono così buone ma così buone che un bel giorno giunse
anche un leone giocherellone per fare colazione. La popolazione si impressionò
molto quando arrivò ma una bimba piccolissima che aveva deciso di rimanere minuscola
e che si chiama Giuditta lo guardò dritto negli occhi per poi domandare nella
lingua che soltanto le bambine, i bambini e gli animali fantastici sanno
parlare: “Ti va di fare merenda con me?”. Il leone rispose contento: “Sì con
gran giubilo, mi hanno detto che da queste parti vi sono delle pere proprio buone
e io… sono ghiotto di pere”. Mentre tutta la popolazione si era rintanata nelle
grotte, nelle case, nelle botteghe e qualcuno pure in qualche botte, Giuditta fece
accomodare il leone giocherellone e gli servì tre gustosissime pere. Il leone
ringraziò e promise che avrebbe difeso la città per molti anni a venire, ancora
oggi lo si può vedere sull’arco di un bel portone, dove decise, moltissimi anni
dopo, di andare a riposare. La notizia del leone giocherellone ghiotto di pere
e della piccolissima Giuditta, la bambina che aveva deciso di rimanere
minuscola e non aveva paura di niente, si diffuse e giunse in men che non si
dica oltre il mare del Nord e ad Est fino ai Dardanelli. Fu così che la Puma Irene,
basilissa di un una città che un tempo si chiamava Costantinopoli e oggi Istanbul,
si incuriosì. La Puma Irene non era un felino come tutti gli altri perché sapeva
trasformarsi in donne meravigliose oppure in uomini di straordinaria avvenenza per
ottenere quel che voleva. Un giorno decise di andare sulla Luna ed era così
determinata che avrebbe fatto l’impossibile, hai voglia a dirle che era un’utopia,
non voleva sentire ragioni. La Luna, di fronte a tanta insistenza, sorrise e le
si avvicinò, la fece salire sul suo falcetto e la cullò lentamente per poi deporla
nuovamente nel suo letto ma questa è un’altra storia. Avuta contezza della
squisitezza delle merende mentanesi, la Puma Irene decise di farsi invitare a
fare colazione. A novembre, quando la terra riposa e le contadine e i contadini
possono dormicchiare qualche ora in più, dopo le faticate dell’estate e dell’autunno
per mietere il grano, vendemmiare, macinare le olive e tutte le attività che la
terra richiede, venne organizzata una grande festa per ricordare la bellezza
della vita e il calore del sole. Vennero invitate grandi personalità, tra cui l’Aquila
reale Carlo che veniva dal Nord. Chissà perché, qualcuno si dimenticò di
mandare un invito fin là e la Puma Irene ci rimase male ma così male che si
rintanò sulla Luna per un po’. “Non c’è problema”, disse la piccola Giuditta
che aveva deciso di rimanere minuscola, prepareremo un pane con le lune e
glielo manderemo. “Sì ma come?”, le domandò dubbiosa la popolazione. “Con l’aquila
reale!”, rispose la piccolina che non si perdeva mai d’animo. Il borgo concordò
che con una tale apertura alare si sarebbe ben potuto immaginare che l’aquila
reale avrebbe potuto arrivare fino al Satellite della Terra. L’Aquila Reale Carlo,
che stava facendo merenda col suo carissimo amico Leone il Lupo, venne chiamato
a gran voce dalla folla e si stupì non poco quando vide Giuditta, una bambina
così piccina che aveva deciso di rimanere minuscola, affermare con tono
stentoreo e una vocina piccina picciò: “Sua Eccellenza Aquila Reale Carlo,
sarebbe così gentile da portare in dono alla Eccellentissima Puma Irene Basilissa
d’Atene e Costantinopoli un pane lunare?”. Leone il Lupo guardò dubbioso il suo
amico, sapeva che era talmente temerario da immaginare di arrivare fin lì. L’Aquila
Reale Carlo dunque parlò: “Conosco bene la Puma Irene e le sono molto
affezionato, con lei anche qualche matrimonio avrei combinato”. A questa
notizia si levò un brusio di approvazione, che fosse l’unione la soluzione a
tante discordie? “Ma – aggiunse il regale rapace – sebbene io sia molto
potente, non posso volare fino alla Luna, dovrò convincere la Puma Irene a
scendere da lì e fare una bella merenda insieme”. Un ooooohhhhh di scoraggiamento
attraversò la folla ma non intaccò minimamente la fiducia della piccola
Giuditta che aveva deciso di rimanere minuscola. “Mi sembra un’ottima idea,
certamente potrai volare fino a Costantinopoli e nel frattempo Leone il Lupo ululerà
alla Luna una latrata così commovente che la convincerà certamente a scendere
di lì immantinente”. Così fu deciso e nei forni, nelle case, ovunque vi fosse
un tavolo e un focolare si cominciò ad impastare, formare, scolare, bollire e
infornare il pane lunare della pace tra Oriente e Occidente, che l’Aquila Reale
Carlo avrebbe portato alla Puma Irene per consolarla dell’offesa e per
convincerla a fare una lauta merenda insieme. Leone il Lupo latrò e intenerì la
Luna al punto che sussurrò alla basilissa di scendere. L’Aquila Reale Carlo si
affrettò a volare carico di pani lunari fino a Costantinopoli ma nel tragitto gli
venne una fame ma una fame che divorò tutti i pani lunari e alla Puma Irene
portò soltanto un fiore e qualche briciola di quella prelibatezza, lodandone
però il sapore. L’Aquila Reale Carlo era proprio un gran golosone un po’ come
il suo amico, il Grifone Mangione. La Puma Irene sospirò e salì di nuovo sulla
Luna portando con sé anche la piccola Giuditta, talmente piccola che voleva rimanere minuscola. Ancora oggi, da
Mentana, osservando la Luna da un bosco magico, si può ammirare la Puma Irene fare
un pisolino, ancora arrabbiata per non essere stata invitata, mentre tra le
fronde degli alberi si può ascoltare, se non c’è il rumore del traffico, la
vocina della piccola Giuditta, talmente piccola che voleva rimanere minuscola,
ma bisogna fare una grande attenzione perché la sua è una voce antica che non
invecchia mai, quella della natura e dell’amore.
Molto
liberamente ispirato all’incontro tra Carlo Magno e Leone III e alla Basilissa
Irene d’Atene.
Dedicato
con tutto il cuore a Giuditta.
mercoledì 6 ottobre 2021
La cittadina delle assemblee
C’era una volta e c’è ancora una
splendida cittadina ben adagiata su una collina, con intorno monti e montagne,
non distante un bel lago e poi, a guardare lontano, il mare. In questo luogo
molto affascinante vigeva una regola molto importante: quando si doveva
decidere qualcosa di dirimente bisognava riunirsi in assemblea, cioè stare insieme,
per discutere più o meno animatamente come, quando, dove, perché e chi avrebbe
dovuto fare qualcosa o qualcos’altro. Se, ad esempio, si voleva preparare un
ciambellone e non si era d’accordo sull’eventualità di utilizzare il cacao, la
cannella, lo zenzero o i canditi, ecco che ci si riuniva in assemblea per
decidere. Ad un certo punto era diventato però tutto un po’ troppo complicato,
c’erano assemblee dappertutto e per ogni cosa. In una cucina per preparare un
pranzo si rischiava di animare almeno cinque e sei assemblee, per gli
antipasti, i primi, i secondi, i contorni, i dolci, le bevande, la tovaglia, le
stoviglie, i bicchieri e così via. Per non parlare di chi aveva qualcosa da
riparare: per mettere un chiodo o puntare uno spillo ci si riuniva sovente e
nel frattempo i chiodi e gli spilli se ne andavano a fare una passeggiata, a
giocare a calcetto, a freccette o tressette e quando finalmente si arrivava ad
una decisione i chiodi e gli spilli chissà com’è non si trovavano più, e allora
un’altra assemblea veniva convocata per capire dov’erano finiti. Capitava
spesso che, nel bel mezzo dell’assemblea sul dove fosse più opportuno cercare i
chiodi o gli spilli, loro ricomparissero all’improvviso e allora bisognava
indire un’altra assemblea per definire da dove fossero tornati, quindi gli
spilli e i chiodi si stufavano e tornavano a giocare a calcetto, a freccette o
a tressette e così via all’infinito. Un bel giorno arrivò un picchio, che di
chiodi e di spilli era un grande esperto, e disse: “Ora basta assemblee per
ogni cosa, facciamo le votazioni per un’assemblea in cui si parli di tutto così
tutte le altre e tutti gli altri possano continuare a metter chiodi e puntar
spilli”. Un coro di teste annuì silenzioso e fu così che vennero indette le
elezioni per l’assemblea delle assemblee. Si allestirono le urne, si
prepararono e stamparono delle belle schede, si definirono i seggi, si
distribuirono tessere elettorali e cominciò la campagna elettorale, vennero
affissi manifesti con scritto “VOTA!” oppure “VOTA E FAI VOTARE” e tutte quelle
cose che si dicono e scrivono in ogni campagna elettorale. Le votazioni si
svolsero senza troppe complicazioni, arrivò dunque il giorno degli scrutini ma
non si era pensato che quella era la prima votazione dell’assemblea delle assemblee,
per cui non c’erano delle decisioni già prese. In ogni seggio si costituirono
assemblee che discutevano e discutevano, ad un certo punto le schede coi voti
scritti sopra sbadigliarono, si annoiarono e se ne andarono a fare una bella
passeggiata. Nella splendida cittadina ben adagiata su una collina, con intorno
monti e montagne, non distante da un bel lago e dal mare ancora oggi si discute
su chi entrerà nella assemblea delle assemblee.