mercoledì 21 luglio 2021

La Lince e le Ielele

 La lince e le ielele

 

C’era una volta e c’è ancora una piccola città vicino Roma, un borgo antico con una lunga storia. A Mentana, così si chiama questo ameno luogo, un giorno di luglio giunse un gruppetto di Ielele che si erano sperdute. Le cicale frinivano pigramente insieme ai grilli, le rondini volavano basse in cerca di acqua, le api si avvicinavano alle tracce zuccherine di caramelle e bevande gassate, il caldo sembrava non dare tregua. La più saggia di tutte le Ielele espresse il desiderio di un po’ di venticello e ombra. Un platano gentile mosse elegantemente i rami per accontentarla, il cielo schermò i raggi del sole con un buio improvviso e tutto sembrò gradevole d’un tratto. In quel momento, una lince passò di là e domandò alle Ielele cosa ci facessero a Mentana: “Vi siete perse?”.

“Oh sì cara lince”, rispose una

“Qui fa così caldo”, aggiunse un’altra, sventolandosi con un ventaglio improvvisato.

La lince le osservò col suo sguardo acuto e poi disse: “Non penso che vi siate sperdute. Siete qui per danzare con la più bella tra voi, la Ielela che ride nei parchi gioco insieme ai bambini e alle bambine della città”

“Ah già, l’avevamo dimenticato”, esclamò la più scordarella

“Ha una voce bellissima e aiuta le bimbe e i bimbi a far andare le altalene sempre più in alto, a non farsi male quando cadono, ad arrampicarsi sugli scivoli al contrario”

“Sì, è proprio lei!”, disse la Ielela più anziana

“Be’, non dovete andar lontane, oggi è proprio il giorno in cui danzerà intorno al mondo, lanciando brillantini e polvere di stelle in tutti i luoghi dove giocano i bambini”

E fu così che il 21 luglio da ogni angolo del mondo si vide una curiosa carovana composta dalla lince e da sette Ielele guidate da una piccola Ielela che spargeva polvere di stelle e brillantini in ogni luogo ove giocano i bambini.

martedì 20 luglio 2021

Racconti di città. Il grifone mangione

 

Il grifone mangione

 

C’era una volta e c’è ancora una antica città nell’Italia centrale che si chiama Perugia. È un posto magico e un po’ speciale dove non è difficile incontrare grifi e grifoni in gran quantità.

Talvolta si fanno accompagnare da lupe capitoline, etrusche pantere e leoni ma per lo più si ergono fieri tra archi, palazzi e frontoni.

A guardia di un bel giardino vi è un grande grifone metallico che si è poggiato alla base di una colonna per fare uno spuntino.

Ma che spuntino!

Non è un grifone come tutti gli altri: è il grifone mangione!

È sempre affamato e non c’è verso di farlo stare a dieta, non che ne abbia bisogno perché ha una linea perfetta, eppure mangia sempre con gran voracità.

Un giorno vide una intera mandria di cinghiali e ZINC, li acchiappò coi suoi artigli e GLUP, li ingoiò in un sol boccone.

Non ingrassò di un grammo.

Un altro GLUB inghiottì una MUUUcca, un bufalo e una lepre in salmì senza batter ciglio.

Una sera si sbafò quattro QUACK QUAglie ripiene, un arrosto e sette polli allo spiedo.

Un pomeriggio agguantò dieci pagnotte di pane CRIC CROCcante riempite con tre prosciutti di montagna.

Una mattina fece colazione con dieci chili di umbrichelli coi tartufi ma a metà mattinata aveva fame di nuovo e ingollò GLAB GLAB venti torte al testo col capocollo, il salame e la mortadella.

Gli abitanti della città non sapevano più che dargli da mangiare e chiesero consiglio alla pantera etrusca che chiese lumi al cavallo alato il quale consultò la lupa capitolina che allattava ancora Romolo e Remo.

Senza sapere cosa fare, decisero di andare al museo a consultare il cippo di Perugia.

Iniziarono a leggere da sinistra a destra e non ci capirono niente, poi cambiarono il verso di lettura, andando da destra a sinistra e tutto sembrò loro molto più chiaro.

“Ma qui c’è scritto che nessuno può prevaricare l’altro”, sintetizzò la lupa con Romolo e Remo sempre attaccati al suo seno.

“È un’interpretazione un po’ fantasiosa ma in fondo è proprio così”, annuì il saggio leone

“Ragionevole!”, esclamò il cavallo alato

“Bene, allora così ci regoleremo per risolvere questa incresciosa situazione”, sentenziò l’elegante pantera etrusca.

E fu così che da quel giorno il grifone mangione si nutrì di serpenti che, con le loro lingue pungenti, gli pizzicavano lo stomaco facendogli passare la fame e gli abitanti di Perugia poterono continuare a gozzovigliare allegramente.

lunedì 19 luglio 2021

Sarina la cinciallegra

 

C’era una volta e c’è ancora una piccola città nel Nord dell’Inghilterra dove le persone sanno riconoscere tantissimi tipi di pioggia, parlandone per ore e ore prima di accomodarsi a gustare una calda tazza di tè.

In questo luogo molto pittoresco, su un grande e accogliente olmo, abitava Sarina una cinciallegra che aveva tanta voglia di volare ma, per quanto ci provasse, non c’era niente da fare, non ci riusciva punto.

Pigolando allegramente si sporgeva dal nido, guardava in basso, si sporgeva di nuovo e poi si rintanava tra le piume e le foglie.

Le sue amiche di quando in quando la andavano a trovare portandole in dono qualche petalo profumato oppure un prelibato bocconcino, un gheriglio di noce o altre squisitezze.

Sarina era piccolina anche se era ormai abbastanza grandicella.

Ogni giorno alzava la testa, pigolava allegramente, si sporgeva dal nido, guardava in basso, si sporgeva di nuovo e poi si rintanava tra le piume e le foglie.

Un giorno una scoiattolina di nome Giulietta si arrampicò fino al ramo dell’alto olmo in cui era il nido di Sarina.

“Ciao, io sono Giulietta”

“Ciao, io sono Sarina”, rispose un po’ intimidita la cinciallegra

“Nel bosco e in paese non si fa che parlare di te, sai?”, disse la castorina

“Davvero? E perché?”, chiese stupita Sarina

“Oh, tutti quanti si stanno chiedendo come fare per aiutarti a volare”

“Mi piacerebbe tanto”, rispose sporgendosi dal nido, guardando in basso, sporgendosi di nuovo prima di rintanarsi tra le piume e le foglie.

In quel mentre arrivò la mamma di Sarina, era raggiante quella mattina, così felice come non le capitava da molto tempo, salutò Sarina e Giulietta, la castorina.

“Ciao Sarina, hai visto, un’amica è venuta a trovarti fin qui sul grande olmo”, esordì la mamma

“Mi chiamo Giulietta, piacere, non vorrei disturbare”

“Oh nessun disturbo, è un gran piacere”, risposero in coro le due cinciallegre.

“Giulietta mi stava dicendo che nel bosco e in paese parlano di me”

“E che dicono?”, chiese la mamma un po’ preoccupata

“Oh, beh, ecco, vorrebbero, vorremmo aiutarla a volare”

“Ma non è possibile”, sospirò Sarina sporgendosi dal nido, guardando in basso, sporgendosi di nuovo e poi rintanandosi tra le piume e le foglie.

“Oh sì invece!” esclamarono in coro la mamma e la castorina

“E come?” chiese incredula Sarina sporgendosi dal nido, guardando in basso, sporgendosi di nuovo e poi rintanandosi tra le piume e le foglie.

La mamma le raccontò che le avrebbero accolte in un centro specializzato “ne esistono soltanto cinque in tutto il mondo”, esclamò aggiungendo che così avrebbe potuto volare anche lei.

Sarina non voleva credere a quelle parole ma le espressioni sui volti della mamma e della castorina non lasciavano dubbi. Si sporse dal nido, guardò in basso, si sporse di nuovo e poi, rintanandosi tra le piume e le foglie, chiese: “Ma come farò a scendere dal grande olmo?”

“Oh per questo ci sono io”, affermò orgogliosa Giulietta castorina indicando con la folta coda la sua schiena.

La mamma accomodò Sarina sulla schiena di Giulietta, che le avvolse la sua coda intorno stretta stretta per non farla cadere. Sarina rideva “mi fai il solletico con i peli” e scesero dal grande olmo urlando allegramente.

Tutti gli abitanti del bosco, del borgo e del paese si erano radunati intorno all’albero, chi tra le radici, chi su un ramo, chi sul prato e chi sul tetto del fienile poco lontano.

Quando scesero le accolsero con un grande applauso.

Le tre si diressero senza indugio verso un ospedale un po’ speciale dove Sarina venne accolta con molto calore.

Giulietta salutò le sue amiche e tornò nel bosco.

Sarina si impegnò moltissimo, a volte si scoraggiava e piangeva, certa che non sarebbe mai riuscita a volare, la mamma la rassicurava, la coccolava e la spronava senza mai perdersi d’animo.

Dopo tanto penare, uscirono finalmente dall’ospedale e poterono volare fino al nido sul grande olmo Sarina si sporse dal nido, guardò in basso, si sporse di nuovo e volò felice insieme alle sue amiche che le avevano organizzato una bella festicciola.  

 

venerdì 16 luglio 2021

I remi in barca da 113 a 117

 

113.

 

ERMES: Macrì penso che dovresti essere la presidentessa del Tribunale dell’Amore

IRINA: Concordo

GINEVRA: E io chi sarei?

ERMES: Parte in causa

IRINA: Dovrai attenerti alle decisioni del Tribunale dell’Amore

GINEVRA: Non ci penso proprio

MARIACRISTINA: Vabbè possiamo lasciare il principio della libera scelta

ERMES: Il libero arbitrio?

MARIACRISTINA: Ma sì, dai

IRINA: Un tribunale con potere consultivo e basta

GINEVRA: Uhm mi sembra più ragionevole

ERMES: Dai cominciamo

MARIACRISTINA: Bene, dichiaro aperta la seduta del Tribunale dell’Amore, Cancelliera Irina che caso si dibatterà oggi?

IRINA: Il matrimonio è il luogo per mantenere intatto il patrimonio oppure la natura alcova per la felicità?

GINEVRA: Non capisco perché con Layla disperderei il patrimonio

ERMES: Oh bella, perché non mi pare disponga di tante sostanze

MARIACRISTINA: Silenzio! Quali sono le parti in causa?

IRINA: La qui presente Ginevra e Layla, in contumacia

GINEVRA: A sua insaputa direi

ERMES: Mi pare ti abbia gentilmente scaricata

MARIACRISTINA: E il caso umano?

IRINA: David?

GINEVRA: Ma che c’entra David?

ERMES: Sì, infatti, che c’entra David?

MARIACRISTINA: Non è parte in causa?

IRINA: Direi di no

GINEVRA: Assolutamente no.

114.

 

GREGORIO: Io sono quasi arrivato, debbo salutarvi

DAVID: Uhm, sì ma potresti approfondire quello che dicevi?

GREGORIO: A proposito di cosa?

REBECCA: Della bugia immagino

DAVID: No, sul fatto che potrei incontrare una che la pensa come me

GREGORIO: Potrebbe esistere nel mondo una donna, non dico come tua madre

DAVID: La smetti di farle la corte?

GREGORIO: Non mi permetterei mai, non è donna che tradirebbe la fiducia dell’uomo che ama, purtroppo

REBECCA: Questo è vero

GREGORIO: E neanche lui

DAVID: Quindi non hai chance?

GREGORIO: Non ne avrei comunque

REBECCA: AHAHAHAHA

DAVID: Perché?

GREGORIO: Sono da sempre innamorato dell’amore, non credo che lo tradirei mai per una sola persona

DAVID: Temo di non aver capito

REBECCA: Non si impegnerebbe mai anima e corpo con una sola persona

GREGORIO: Oh sì, lo faccio quasi ogni volta

DAVID: E quanto dura l’impegno anima e corpo?

GREGORIO: Il tempo di innamorarmi follemente

REBECCA: Cioè non più di qualche attimo

GREGORIO: Una bocca così perfettamente disegnata non può che pronunciare cristallina verità


115.

 

Clemente e Teodolinda giunsero nel luogo designato per la consumazione del loro lungo e laborioso dovere coniugale.

Con dovizia di particolari sviscerarono le loro perversioni.

Il desiderio di dominio e di possesso si espresse in macchinose estensioni dei loro organi sessuali.

Trafissero con tacchi affilati e strumenti mutuati dalle stanze delle torture medievali le meschinità che condivano le loro vite senza preoccuparsi, per qualche ora, del giudizio degli altri.

Esplorarono il doloroso universo di peccaminosi giochetti erotici, esercitando le loro capacità di sopportazione.

Una pratica che ritenevano utile anche per affrontare le quotidiane difficoltà.

Rebecca prese fisicamente in mano le redini del suo giocattolo umano, lo costrinse a modellare il suo piacere sulle sue volontà: era la sua personale vendetta per tutte le volte che il marito le indicava uomini o donne da compiacere utilizzando il suo potere di seduzione per ottenere favori utili all’azienda di famiglia.

Quando lei ebbe soddisfatto i suoi desideri, Clemente la riportò alla docilità con azioni piuttosto convincenti e le fece comprendere che la notte era ancora molto lunga.

Rebecca, ormai stanchissima, riprese il dominio sul marito con astuzia e ingegno, lo torturò quel tanto che basta per fiaccarne la volontà e si accasciò al suo fianco per addormentarsi.

Non aveva, però, fatto bene i suoi calcoli e l’errore le costò lo scettro coniugale.

Clemente tornò in sella e la portò allo stremo delle forze, incurante dei suoi gemiti e delle sue suppliche.

Caddero in un sonno profondo fino alle prime ore del giorno, quando Rebecca lo svegliò con fredda cattiveria.

Clemente tentò in tutti i modi di rovesciare in suo favore le sorti della nottata ma invano.

Avrebbe certamente trovato un capro espiatorio nel corso della giornata per sfogare la sua frustrazione coniugale.


116.

 

La porta si aprì.

Imbarazzo e aspettative si mescolarono all’odore di biscotti e di buono.

 

EGLE: Sorpresa!

ALTEA: Ciao Pierluca, come mai a quest’ora?

ERMANNO: Siediti, volete un po’ di latte e biscotti?

PIERLUCA: Buonasera…io…noi… sì.. grazie

CHARLOTTE: Sì… sì… grazie

EGLE: Che facce avete!

ALTEA: Sembrate imbarazzati

ERMANNO: Ecco latte e biscotti, sedetevi

PIERLUCA: Sì, certo

CHARLOTTE: Grazie

EGLE: Allora, che avete da dirci con quelle facce?

ALTEA: Vi siete lasciati?

ERMANNO: Macché, guarda come mangiano

CHARLOTTE: Non ci siamo lasciati…

PIERLUCA: Io vorrei, se permettete, chiedere formalmente la mano di Charlotte e da questo momento considerare ufficiale il nostro fidanzamento.

EGLE: Ufficiale?

ALTEA: Non ho capito

ERMANNO: Nemmeno io

PIERLUCA, con ancora il segno del latte e le molliche dei biscotti ai bordi delle labbra si inginocchia e tira fuori dalla tasca una scatolina contenente un anello di diamanti piuttosto importante: Charlotte, io dichiaro formalmente davanti ai tuoi genitori, a tua zia e al pupazzetto Milo che ti amo. Ti prego di accettare questo segno della devozione profonda che provo per te.

CHARLOTTE:  Pierluca io…io… ti amo

ERMANNO: Cioè che succede?

EGLE: Tua figlia ha appena ricevuto una proposta di fidanzamento con tanto di anello di brillanti

ALTEA: Diamanti

EGLE: Diamanti? Così grossi?

ERMANNO: Io non so che dire, ma che fa? La bacia! Sta baciando la mia piccoletta!

ALTEA: Ermanno, la tua piccolina è quasi maggiorenne

EGLE: Eh già…

117.

 

GREGORIO: Beh, ora devo proprio salutarvi, è stato un immenso piacere.

DAVID: Va bene, grazie, ciao!

REBECCA: Ciao Gregorio, anche per me, a presto.

GREGORIO: A domani, spero.

DAVID: Ciao

REBECCA: Ciao

DAVID: Ma davvero non è in grado di innamorarsi di una sola persona?

REBECCA: Non ne ha la minima intenzione

DAVID: Perché?

REBECCA: Perché ci sono persone che amano soltanto sé stesse

DAVID: Pensi che abbia ragione?

REBECCA: Riguardo a cosa?

DAVID: Che sia sbagliato quello che sto facendo

REBECCA: David, sinceramente, non mi pare che se stai cercando una ragazza che ti apprezzi per quello che sei, dovresti iniziare con una bugia. Cosa dovrebbe pensare di te?

DAVID: Che non mi fido delle persone?

REBECCA: O che sei un bugiardo?

DAVID: A questo non avevo pensato

REBECCA: Beh, mi pare un elemento su cui riflettere e poi, sinceramente…

DAVID: Cosa?

REBECCA: Pensi davvero che una ragazza cresciuta in un ambiente tanto diverso dal tuo potrebbe trovarcisi bene, anche se decidesse di accettare la tua buona fede?

DAVID: Perché No? Gli agi sono una bella comodità

REBECCA: Ah beh e quindi lei dovrebbe essere sempre dipendente da te, non pensi che sarebbe un po’ poco bilanciato questo rapporto?

DAVID: Perché dovrebbe dipendere da me?

REBECCA: Oh bella! Perché se volesse, che ne so, decidere di andare ad ammirare l’aurora boreale in Finlandia e poi andare a fare un pupazzo di neve tra le montagne svizzere non penso che potrebbe decidere di farlo senza chiederti del denaro e allora quale sarebbe la differenza? Stai forse cercando di comprare l’amore di una donna per essere certo della sua lealtà? 


 

 

 

domenica 11 luglio 2021

La fatina dei capelli

C'era una volta e c'è ancora un paesino molto carino abbarbicato su una collina proprio davanti al mare. In questo luogo un po' originale vi erano tanti artigiani e pescatori, poi un giorno arrivarono i villeggianti e i pescatori lasciarono reti e barche per accogliere i turisti. Poi giunsero delle famiglie sperdute di apolidi e i pescatori, ormai ristoratori, li accolsero con compassione o con diffidenza, brontolando imprecazioni e condividendo pasta e fagioli perché non si possono lasciare morire i naufraghi in mare e poi da qualche parte devono pure andare. Un giorno arrivò un pastore, aveva l'aspetto umile e fiero di chi sa che la vita è complicata e la natura meravigliosa. Il pastore emanava odore di erbe di campo e latte, parlava poco, evitava di sprecare il fiato. Il pastore entrò con tutto il suo gregge dentro al negozio di un parrucchiere, e disse con voce solenne: "Madame e Messeri io sono un pastore di poche parole. Dalle mie pecore prendete la lana per creare capelli lunghi e fluenti". Sulle prime il parrucchiere, che in un tempo remoto era stato un pescatore, la prese male ma ormai si era abituato a richieste un po' strane, masticò qualche imprecazione, poi chiuse il negozio con tutte le pecore e cominciò a sforbiciare ZIC ZAC ZAC ZIC quando ebbe finito cercò il pastore ma al suo posto vi era una bimba con gli occhi blu scuro e una voce soave, sotto il mantello due splendide ali, era la fatina dei capelli che li fa ricrescere a chi, per qualche caso sfortunato, si trovi senza per qualche momento.