venerdì 6 gennaio 2017

Cesi e Tucci

Cesi e Tucci (bozza)

A San Polo dei Cavalieri faceva freddo. Dalla finestra del castello si intravedeva una nuvola discontinua in un dialogo tutto personale con le montagne tale da dare l’impressione di essere in Tibet, sul tetto del mondo.
Federico Angelo Cesi, Duca di Acquasparta, Marchese di Monticelli, Principe di Sant’Angelo e, per l'appunto, San Polo guardò l’orizzonte, i suoi giovani occhi di lince vennero attraversati da un guizzo, un lampo di conoscenza atavica, qualcosa che non sapeva e non avrebbe potuto spiegare.
Gli sembrava di riconoscere il complesso dell’Himalaya seppure non l’avesse mai veduto e forse non ne avesse mai sentito neanche parlare, d’altronde nei primi anni del 1600 scienza e conoscenza erano guardati con un certo sospetto e lui ben lo sapeva. Suo padre continuava a ripetergli preoccupato: “Figlio, figlio mio, vai alla guerra che è cosa nobile e giusta, non t’occupare di scienze ché è pericoloso, lo sai bene. Le armi portano onore e gloria, la scienza, oh la scienza è perigliosa”.
Dal suo punto di vista Federico I Cesi non aveva torto, era certamente più sicuro imparare ad usare la spada piuttosto che andare in giro a cercare e catalogare piante o, peggio, intrufolarsi nelle questioni di scienza, ma il giovane Cesi sentiva in cuor suo che quello era il suo destino. La madre Olimpia Orsini era donna di grande valore ma era tra i suoi monti che aveva trovato l’ispirazione per capire, comprendere, guardare con occhi attenti e curiosi.
Federico era molto coraggioso, forse troppo, e ad una relativamente tranquilla vita da cavaliere o da nobile sfaccendato aveva preferito la via della ricerca, irta di difficoltà e piena di trappole pronte a portare il malcapitato dritto dritto tra le maglie inflessibili della Santa Inquisizione. Morire in battaglia, gli ripeteva suo padre, è decoroso e onorevole ma, tralasciava di esprimere il suo pensiero fino a tal punto facendolo però comprendere con un gesto e lo sguardo pieno di orrore e paura, perire per le torture inflitte da Santa Madre Chiesa e senza neanche i sacramenti è….indicibile.
Lo sapeva, avrebbe voluto rispondergli, ma non poteva farci niente, c’era qualcosa che lo trascinava a forza verso la conoscenza. Queste parole non le avrebbe davvero potute pronunciare senza causare la chiamata di un esorcista e quindi le teneva ben celate nel suo cuore. Era certo che non si trattasse di un richiamo mefistofelico, era anzi qualcosa di buono, di sano, di bello, che lo scoteva di rinnovato vigore e curiosità tutte le volte che incontrava menti eccelse, come quella di Galileo Galilei, che era riuscito a coinvolgere nella meravigliosa avventura dell’Accademia de’ Lincei e che avrebbe più e più volte protetto, a rischio della sua stessa incolumità, dal morboso interesse dell’Inquisizione.
Se Dio ha creato la Natura e l’uomo è in grado di capirne la bellezza, è dovere dell’uomo conoscere per meglio avvicinarsi al mistero divino, il contrario sarebbe un’offesa alla magnificenza stessa della santissima volontà del Creatore, pensava in cuor suo.
Quello che diceva era giusto ma causava lo stesso grandi preoccupazioni a suo padre che pure amava quel figlio spericolato e tanto intelligente. Sembrava che avesse compreso qualcosa che agli altri esseri umani è oscuro, niente di diabolico bensì santo e sacro.
Sembrava quasi fosse colto da estasi mistica quando osservava, leggeva o scopriva qualcosa di nuovo, era evidente che non sarebbe stato possibile impedirgli di percorrere la sua strada. Voleva studiare, conoscere nonostante sapesse bene quali erano i rischi enormi cui andava incontro? E sia, che studiasse ma che si ricordasse di salvare l’onore, la rispettabilità e soprattutto la vita. Bello era bello, con la fronte alta, il naso perfetto, i grandi occhi scuri vivacissimi, astri splendenti nel cielo più scuro delle notti senza luna.
Quella stessa luna che il pisano Galileo s’era messo ad osservare con un aggeggio mirabile di sua invenzione che ingrandiva gli oggetti fino a farli sembrare vicini pur se erano lontani, pareva un tubo ma aveva del vetro lavorato in modo peculiarissimo alle estremità e ci si poteva guardar dentro e vedere tutto come fosse ingigantito. Utile in guerra, senza dubbio, o per le traversate commerciali del Mar Mediterraneo le cui acque erano non di rado infestate da pirati e nemici d’ogni sorta eppure egli ci si era industriato ad osservar gli astri e si mormorava che volesse affermare addirittura che la Terra gira intorno al Sole, che assurdità! Quale blasfemia! E poi non sapeva che già prima di lui tali diavolerie erano state ricacciate nel mondo di Lucifero dalle solerti mani e dai convincenti strumenti di tortura dell’Inquisizione?
Beh, quando parlava quel tal Galileo Galilei pareva certamente un erudito e sembrava conoscere la sua materia, gli studi e le scoperte in giro per il mondo. D’altronde era tenuto in buona considerazione presso molti nobili e sapienti ma le voci che fosse in odor di eresia avevano l’inconfondibile aroma dello zolfo infernale e lui, Federico, era affascinato dalle sue parole come un cavaliere dal ricordo di una dama che attende soltanto di poterlo rivedere e accogliere nell’alcova. E invece lui, ai piaceri delle carni gaudenti di dame e madonne, preferiva il talamo matrimoniale e andar per prati a cercare piante da catalogare, studiare, disegnare, stelle da osservare lungamente.
Talvolta, come quel giorno, aveva l'impressione di poter parlare con gli angeli del Paradiso. Il corpo gli veniva percorso da brividi non di freddo bensì di piacere, egli stesso sembrava quasi emanare una luce propria e lo sguardo ardente si placava per qualche istante che pareva eterno a chi ben lo conosceva come se avesse compreso qualcosa che era impossibile spiegare a parole.
Federico Angelo Cesi, Duca di Acquasparta, Marchese di Monticelli, Principe di Sant’Angelo e San Polo guardò l’orizzonte, riconobbe l’Himalaya senza aver saputo della sua esistenza, capì che lui avrebbe dovuto conoscere e proteggere la conoscenza dall’oscurantismo di una fede errata. Ne ebbe la consapevolezza, quindi si girò e tornò a letto per sognare qualcosa che si sarebbe compreso molti, moltissimi anni dopo.


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A San Polo dei Cavalieri faceva freddo. Dalla finestra si intravedeva una nuvola discontinua in un dialogo tutto personale con le montagne tale da dare l’impressione di essere sul tetto del mondo.
Giuseppe Tucci lo conosceva bene, quante volte ci era stato!, giusto in tempo per raccogliere la sapienza, la scienza e la conoscenza racchiusa in codici ormai dispersi del millenario sapere dei monaci e di popolazioni abituate al gelo, non certo come lui, che l’aveva sempre sopportato bene ma non ci si era mai veramente abituato.
Si era svegliato da un sogno antico, pensando a Federico Cesi, il Linceo, e aveva capito che il momento era propizio per pianificare l'ennesima spedizione tra le terre perennemente ghiacciate per salvare gli ultimi frammenti delle conoscenze millenarie custodite nei monasteri tibetani.  
Svolse i suoi esercizi, respirò profondamente e uscì nell'aria fredda del mattino con la determinazione di ottenere tutto ciò che sarebbe servito per questa nuova perigliosa avventura.  






giovedì 5 gennaio 2017

Appunti oroscopo maya (bozza)

Appunti oroscopo maya

L’aria era densa di smog nonostante l’estensione della foresta pluviale tropicale fosse ancora abbastanza grande da poter purificare l’inquinamento e restituire agli esseri viventi l’ossigeno necessario alla vita. 
Da qualche anno tutto era cambiato. 
Era stato necessario adattarsi, abituarsi a quella strana nuova situazione e tutto sembrava aver perduto il suo senso originario. Le previsioni sulla fine del mondo non erano vere ma il calendario aveva smesso di indicare e suddividere giorni, stagioni, insomma il tempo in modo chiaro, netto, inequivocabile perché il calendario maya era finito ma il tempo e lo spazio no. 
La Terra continuava ad esistere e gli animali a vivere più o meno felicemente la loro vita. 
Ciò in cui avevano creduto fino a quel momento era stato di colpo messo in discussione benché gli anziani facessero finta che tutto fosse normale, continuando a celebrare i riti e ciò che ne consegue. 
Non che tutto tutto fosse diverso o assurdo, era che mancavano punti di riferimento, qualcosa nel meraviglioso rapporto di fiducia tra le credenze religiose e la vita quotidiana, la spiritualità individuale, era andato in frantumi. Le certezze che avevano fino a quel momento costituito i pilastri su cui costruire il sistema di valori individuale e collettivo si erano incrinate sotto il peso della realtà. Il calendario era finito e la Terra no, le profezie non erano corrette. Dare ragione agli invasori europei era fuori discussione per cui ognuno aveva cominciato a costruire dentro di sé la propria individualissima morale spirituale. Definire con certezza se ciò fosse un bene o un male era impossibile però c’era sicuramente qualcosa di buono, di sano in tutto questo. Forse gli antichi Maya avevano soltanto indicato la fine di Baktun quale inizio di una nuova era, e infatti non era chiarissimo, dagli scritti miracolosamente salvatisi dalla ignorante furia distruttrice europea, se il 21 dicembre 2012 ci sarebbe stata la fine dell’umanità nel suo complesso oppure una radicale trasformazione spirituale della stessa. Gli eventi geo-politici non facevano sperare niente di buono che potesse giustificare la seconda ipotesi, dalle alture si potevano vedere i roghi vandalici degli europei americanizzati che non avevano rispetto per niente, né per sé stessi, né per l’ambiente e continuavano ad incendiare ettari ed ettari di foresta causando morte e distruzione. No, decisamente i segnali che vi fosse la possibilità di una trasformazione spirituale dell’umanità erano piuttosto deboli e decisamente non favorevoli, eppure la Terra era ancora sotto i loro piedi e le piante, nonostante tutto, continuavano a crescere. Doveva pur esservi una spiegazione e, per un verso o per l’altro, ognuno cercava di comprenderla a suo modo, guardando dentro di sé e negli altri, cercando di captare i segnali inequivocabili in base alle tradizioni ma forse non più tanto inequivocabili, da capire, certo ma ragionandoci su e non prendendo per buono ciò che sembrava essere reale, assoluto, vero. Taluni ricalcolarono il tempo delle giornate, altri trascorrevano ore nella foresta ad ascoltarne i suoni, e troppo spesso le sofferenze. A Uc Abnal molti abitanti avevano preso l’abitudine di fare lunghe passeggiate tra gli alberi anche durante le giornate piovose per imparare a distinguere i suoni della pioggia sulle diverse piante, per sentire le conversazioni tra gli animali selvatici e cercare di comprenderne il senso. Come è ben noto, seguendo il calendario lunare, ad ognuno corrisponde un animale guida, in base al giorno di nascita e gli abitanti di Uc Abnal cominciarono, così, a tempo perso e con una scusa qualunque, ad osservare le caratteristiche del proprio animale guida, comparandole con le proprie personali e individuali inclinazioni.
Chi era nato tra l’8 febbraio e il l’8 marzo cominciò ad osservare falchi e falconi, per sentire se effettivamente c’era qualcosa che li accomunava. Che fossero forti era evidente, ma come si poteva davvero definire che essi avessero, che so, un grande senso del dovere o forti ambizioni rimaneva un mistero. Falcònas era una ragazzina sveglia e ambiziosa e voleva a tutti i costi capire, comprendere. Non che per lei fosse difficile, assolutamente, aveva una naturale e curiosa propensione all’apprendimento, non c’era argomento che non la interessasse e anche se la annoiava non poco stare con la Nonna Tortuga ad apprendere la decorazione tradizionale del tessuto, sapeva che era qualcosa di ineluttabile a cui non avrebbe potuto sottarsi senza causare scenate, per cui si metteva l’anima in pace e in quei lunghissimi minuti di apprendimento artigianale cercava di pensare ad altro, cose come la matematica, ad esempio, che l’aveva sempre affascinata. Creando un fiore cercava di riprodurre poligoni complessi che seguissero precisi e chiari schemi matematici e geometrici. Il risultato era certamente una grande armonia di proporzioni ma non si poteva certo dire che i suoi ghirigori fossero belli o che esprimessero la delicatezza d’animo di un’anima innocente non ancora avvezza alle difficoltà dell’età adulta. Nonna Tortuga, dal canto suo, non perdeva mai la pazienza ed esprimeva una saggezza tipica della sua età e della Tartaruga, il suo animale guida essendo lei nata tra 29 giugno e il 26 luglio. A lei piaceva molto decorare i tessuti, era un’attività che le infondeva calma e tranquillità, due aspetti della vita che le piacevano molto tanto che andava su tutte le furie se qualcuno cercava di interferire nervosamente o bruscamente nel placido scorrere del tempo. “Chi va piano va sano e va lontano”, ripeteva sempre con lo sguardo che sembrava catturare la massima estensione di spazio possibile e immaginabile, attraversando fiumi e cieli fino ad un punto imprecisato, ma molto lontano, nell’orizzonte che pareva infinito come il cielo in una limpida notte della stagione calda in cui le ore sono più lunghe ed è tanto piacevole stare intorno al fuoco con la punta del naso rivolta verso l’alto a rimirar le stelle, cantare e ballare. Aveva provato a spiegare la bellezza del tempo alla piccola Falcònas ma erano state, come si suol dire, parole al vento. Quella piccoletta era molto diversa da lei ma aveva una gran memoria e forse, chissà, avrebbe fatto tanta strada seppur camminando a passo svelto e divorando le esperienze, le conoscenze, senza prendersi il gusto di lasciarle decantare nella memoria emotiva, nel corpo e poi farle proprie. Da quando aveva incontrato Giagio, così chiamato per il suo animale guida che, essendo nato tra il 9 marzo e il 5 aprile, era ovviamente il Giaguaro, non c’era verso di farla desistere da qualche strana idea che s’era messa in testa e che aveva a che fare con l’osservazione della natura. Fin tanto che non si allontanavano troppo dal villaggio e facevano attività all’aria aperta andava bene bastava che non si addentrassero troppo nella foresta, sarebbe stato pericoloso. Non che Giagio fosse un cattivo ragazzo, tutt’altro, è che si animava facilmente di grandi passioni, e far illuminare lo sguardo del suo interlocutore con una interna passione era una delle caratteristiche di Falcònas, e di certo non lo si poteva definire un timoroso. Era piuttosto forte e altruista e non aveva timore reverenziale di niente e nessuno. Forse neanche di un giaguaro in peli e unghie o di un puma, se lo avessero incontrato. La fortuna aiuta gli audaci ma punisce gli spericolati senza scrupoli, pensava Nonna Tortuga con un po’ di apprensione quando li vedeva andar via verso la foresta. Giagio era stato il primo coinvolto da Falcònas nelle sue avventure ma Nonna Tortuga, Papà Lescoiolo che, essendo nato tra il primo giugno e il 28 giugno aveva una Lepre-Scoiattolo come animale guida ed era dunque dotato di chiaroveggenza e affabilità, e Mamma Civella, nata tra il 19 ottobre e il 15 novembre pertanto con la Civetta quale animale guida e che aveva un intuito infallibile, avevano subodorato che di lì a pochi giorni il gruppetto si sarebbe ingrandito.
Falcònas era una leader nata, era riuscita finanche a tenere a bada Pavòn, nato tra il 16 novembre e il 13 dicembre sotto la guida del regale Pavone, competitivo, egocentricamente senza scrupoli come pochi. Lui era convinto di essere nato sotto la giusta stella per essere considerato alla stregua di un re ma il suo senso dell’ironia e l’originalità nel pensiero lo aveva salvato in vari scontri più o meno diretti con Falcònas che era riuscita ad allearsi con il saggio e spietato Serpico, nato tra il 4 e il 31 maggio sotto la guida del Serpente, e a portare dalla sua parte la maggioranza dei ragazzini di Uc Abnal.
Mamma Civella aveva capito subito, un po’ perché era nella sua natura vedere oltre le apparenze, un po’ perché sapeva capire i sentimenti, le emozioni altrui, che Falcònas sarebbe diventata molto probabilmente il capo indiscusso del villaggio, crescendo, se avesse lasciato a Soztilàs, nata tra il 27 luglio e il 25 agosto sotto la guida del Pipistrello pertanto capace di leggere fin nei pensieri altrui e col carattere deciso e istintivo, lo spazio e il tempo di agire in piena libertà senza interferire troppo con le sue azioni, e se fosse riuscita a trovare il modo di portare dalla sua parte l’astuta, intelligentissima e altrettanto indisciplinata Guendalina, nata tra l’11 gennaio e il 7 febbraio sotto la guida della Scimmia Blu pertanto quasi sempre di buon umore e con la valigia sempre pronta per una nuova affascinante avventura.
Farsi seguire da Pecchio, nato tra il 6 aprile e il 3 maggio sotto la guida del Cane-Volpe pertanto leale e responsabile ma senza ambizioni di comando, poteva non costituire un grande problema per lei, anche se avrebbe dovuto smussare non pochi spigolosi angoli del suo carattere per conquistare appieno la fiducia dell’introverso amico che riusciva a capirla senza troppi convenevoli e, seppur fosse affascinato dalla sua forza dirompente, non amava punto la sua ambizione. Anzi, era proprio qualcosa che non rientrava né nel suo carattere né nelle sue preferenze. Certo capiva bene, e Nonno Cernunno, nato tra il 21 settembre e il 18 ottobre sotto la guida del magico Cervo pertanto dotato di una innata grazia, cordialità e sensibilità con la passione per la tranquilla libertà dei grandi spazi aperti nel cui orizzonte si avventurava sovente lo sguardo di Nonna Tortuga, glielo aveva spiegato con parole semplici, mostrandogli l’immensità del cielo infinito per elencargli tutte le costellazioni di cui aveva memoria.
“Caro Pecchio – gli aveva detto Nonno Cernunno con un filo di voce che tradiva la sua fragilità d’animo – non aver paura di Falcònas. Ella è ambiziosa, è vero, ma è anche molto intelligente e ognuno di noi ha bisogno di guardare una stella e sapere che direzione prendere nei momenti di difficoltà. Noi – aveva proseguito usando molte più parole di quante ne pronunciava di solito, senza inciampicare nelle sue emozioni – amiamo la libertà, la bellezza ma a volte è necessario avere quelle qualità che ha Falcònas. È molto importante per persone come lei, che sembrano tanto sicure di sé e hanno tutta l’aria di sapere sempre cosa fare e dove andare, quale direzione prendere, un po’ come Soztilàs a ben guardare, avere accanto amici fidati, che sappiano capire gli altri, che sappiano mettersi un po’ nei panni degli altri senza imbarazzarli o farli sentire chiamati a fare qualcosa che non è nella loro natura. Tu, caro piccolo amico, hai questa capacità, è una dote rara. Di solito le persone – sottolineò quest’ultima lunghissima frase prendendo fiato e rivolgendo lo sguardo triste verso il fuoco quasi a voler evocare gli orrori di chi distruggeva le foreste per stupida avidità di quel denaro che non avrebbe potuto compare l’aria pulita dall’inquinamento selvaggio – non capiscono mai cosa pensano e sentono gli altri e, beh, io credo di aver capito cosa vi siete messi in testa voi ragazzi, volete capire se è giusto tutto quello che sappiamo finora”.
Pecchio aveva capito che quelle parole sarebbero rimaste un segreto tra lui e Nonno Cernunno e si confidò con lui. Gli raccontò delle difficoltà e di quello che sembrava loro indefinibile. Gli disse anche che Scorpio, nato tra il 26 agosto e il 20 settembre sotto la guida dello Scorpione pertanto, secondo le credenze Maya, custode naturale del sapere delle popolazioni, si era sentito più volte a disagio quando anche Sotzilàs aveva aderito al gruppo affermando che era una buona idea.
“Una buona idea? Come può essere una buona idea?”.
Questo aveva detto Scorpio e forse aveva anche ragione in fondo.
Se per quattromila anni le cose erano state così e così si spiegavano davvero non c’era ragione di pensare che potesse esservi un modo diverso, una visione differente della vita.
 Guendalina aveva scherzato, come al solito, e gli aveva detto “ma va la’, figurati, se c’è qualcosa da scoprire che non è stato scoperto tanto meglio, è una nuova avventura, non molto di più in fondo”. Forse però c’era qualcosa di assurdo in tutto questo che a lui, Pecchio, non piaceva per niente. Nonno Cernunno lo ascoltava senza dare a vedere la sua forte partecipazione emotiva, soppesava le parole di Pecchio ravvivando il fuoco o guardando le stelle, quasi a cercare nel cielo la risposta a quell’enigma.
Forse proprio da lì si sarebbe dovuti partire, in fondo.
I Maya avevano calcolato i calendari e le profezie in base all’attenta osservazione astronomica, forse avevano capito qualcosa che i moderni avevano dimenticato.
“Liza, per lei va bene tutto, si adatta, si è sempre adattata”, disse a quel punto Pecchio stimolando una risatina compiaciuta da parte di Nonno Cernunno che in cuor suo pensava che era abbastanza normale che facesse così, visto e considerato che era nata tra il 14 dicembre e il 10 gennaio sotto la guida della Lucertola pertanto in continua evoluzione alla perenne ricerca di sé.
“Sì, ci ho pensato anche io che il suo animale guida è la Lucertola ma è proprio questo il punto”
“Il punto di cosa?”
“Insomma la questione, noi abbiamo sempre pensato che tutto ciò in cui credevamo fosse vero, o comunque che avesse un fondamento di verità e abbiamo costruito le nostre vite, le nostre società intorno a quelle idee, a quelle convinzioni, a quelle credenze. In fondo abbiamo anche creduto alla profezia, c’è chi ha avuto paura per la fine dell’umanità e chi ha pensato che fosse una grande opportunità per ognuno di noi ma la fine dell’umanità non c’è stata e all’orizzonte non vedo grandi cambiamenti spirituali”.
Appena Pecchio ebbe finito di pronunciare quelle parole sfiduciate, Nonno Cernunno si trasformò davanti ai suoi occhi imbambolati in un meraviglioso cervo, molto più grande di qualunque cervo egli avesse mai potuto vedere o immaginare, più grande anche del più grande degli alce. Gli sorrise col sorriso cervino e gli disse di essere Cernunnos, un animale guida che proveniva dalle antiche foreste della Val Camonica e che era arrivato in America ben prima di Colombo, quando gli antichi Romani avevano cominciato a colonizzare tutta l’Europa imponendo la loro cultura razionale, ingegneristica, militare e profondamente incivile. I Romani erano convinti che le incisioni rupestri fossero strani segni di una qualche popolazione primitiva e non avevano capito, mai avrebbero potuto farlo, presi com’erano nelle maglie della razionalità, che quelli erano semplicemente simboli universali che contenevano in sé la musica, la matematica, la letteratura e le scienze, tutto il sapere e lo scibile terrestre ma soprattutto rappresentavano la chiave attraverso cui gli esseri umani potevano entrare in contatto con gli altri esseri viventi senza recare danni.
A quel punto, vedendo che Pecchio si era non poco innervosito, sopraggiunse Nonna Tortuga, che gli sorrise bonariamente accarezzandolo sulla testa prima di trasformarsi in una enorme tartaruga marina che riusciva benissimo a stare in piedi e respirare fuori dall’acqua. “Non devi aver paura, caro Pecchio, tu sai che la grandezza della terra è infinita, eppure il mare e gli oceani sono ancor più grandi e gli universi sono talmente infiniti che non riuscirai mai ad immaginarli ma forse potresti comprenderne l’immensità, adagio, senza fretta”.
Pecchio non capiva se si era addormentato a sua insaputa e stava sognando oppure se d’improvviso era stato catapultato in qualche strano mondo fantastico. Si sentiva stranamente a suo agio, come se tutti quegli avvenimenti fossero in qualche modo parte di una qualche forma di normalità ma si sarebbe sentito molto più a suo agio se vicino a lui ci fossero stati i suoi amici.
Non fece in tempo a finire il pensiero che Papà Loscoiolo fischiò il suo caratteristico fischio che tutti i bambini conoscevano e che voleva dire ‘merenda’ oppure ‘è ora di tornare a casa’ oppure ‘dove siete, noi siamo qui’, comunque significava sempre qualcosa di buono e familiare, era un suono ancestrale che ripristinava il senso di normalità nelle incertezze della foresta. Il sospiro di sollievo si fermò a mezzi polmoni quando si accorse che l’inconfondibile suono proveniva da un animale di dimensioni innaturali, qualcosa che somigliava ad una Lepre e contestualmente ad uno Scoiattolo, e che portava sulla sua groppa alcuni tra i suoi amici, mentre gli altri erano sul collo piumoso e morbido di una enorme e splendida Civetta che parlava con la voce suadente di Mamma Civella.
La sorpresa fu grande, il senso di sgomento, beh, facile da immaginare ma ciò che lo tranquillizzava era che non sarebbe stato solo in quella serata, accanto al fuoco, sotto un manto di stelle.
“Pecchio sei qui! Guarda cosa abbiamo scoperto!”, aveva urlato trionfante e per niente spaventata Falcònas, il cui tono si era però affievolito quando si era accorta che Pecchio aveva fatto la medesima scoperta, da solo, o meglio insieme a Nonno Cernunno e Nonna Tortuga. In quel momento, però, non pensò al suo personale prestigio ma ad abbracciare l’amico che aveva due occhi sbalorditi spalancati su una realtà che non sapeva bene se ritenere vera o falsa.
Gli adulti fecero scendere i ragazzi così che formassero un cerchio intorno al falò, quindi si lanciarono un rapido sguardo, si allontanarono un poco, giusto a creare un altro cerchio intorno a loro, per poi iniziare a ballare e suonare la musica rituale. I ragazzi si presero istintivamente per mano e cominciarono a ballare, prima timidamente poi sempre più freneticamente senza saper bene perché, fino a quando, come d’incanto, si trasformarono tutti quanti nel loro animale guida e continuarono a ballare, gli alberi intorno a loro si rivelarono in forme che mai avevano visto fino ad allora e le stelle sembrarono tutto ad un tratto parte di loro stessi. Sentirono di essere fatti della medesima materia dell’acqua, dell’aria, della terra, del cielo, degli astri, tutto ebbe un senso in un infinito momento privo di tempo e di spazio eppur colmo di spazio e di tempo. La profezia, forse, si era avverata proprio in quel momento e loro avrebbero rappresentato il cambiamento. Per un istante che non avrebbero saputo definire ebbero la sensazione precisa di essere tutte le montagne e tutti i fiumi, di essere tutti gli abitanti della Terra e tutti gli Universi, ebbero la certezza che in molti altrove c’erano ragazzi e ragazze che stavano vivendo le medesime sensazioni. Si sentirono felici.
Quando si svegliarono, intorno al fuoco ormai quasi spento, era mattina e si ritrovarono da soli, coperti da sacchi a pelo che non ricordavano di aver portato fin lì.
Si guardavano cercando di capire se avessero davvero vissuto o sognato quello che era accaduto. Falcònas prese l’iniziativa e propose di tornare a Uc Abnal.
Il gruppetto la seguì.
Non vi furono parole, soltanto semplice complicità.
Quando arrivarono trovarono Mamma Civella, Papà Lescoiolo, Nonna Tortuga e Nonno Cernunno immersi in quelli che pareva un tranquillo sonno dopo una notte rilassante.
Ognuno tornò nel proprio giaciglio e nessuno si accorse del sorrisetto sui volti degli adulti.
Da quel giorno le gite nella foresta si fecero più intense, non tanto per capire, quanto per imparare ad ascoltare la Natura e a comunicare con essa.