Romuva
1.
C’era una volta e c’è ancora, in una
landa remota della Lituania, un albero meraviglioso che somigliava molto ad una
enorme quercia. Come tutte le querce, in inverno la sua chioma rimaneva ben
salda sui rami, fornendo protezione e riparo dalle intemperie a chi avesse
voluto fermarsi un po’ a meditare e riposare oppure agli uccellini e agli
insetti che talvolta aveva sentivano un gran freddo, soprattutto nelle lunghe
notti d’inverno. In Lituania, infatti, l’autunno e l’inverno hanno delle notti
talmente lunghe che è difficile distinguere l’alba dal tramonto ma quando
arriva la primavera le giornate sono colme di sole e di luce. La grande quercia
non si stagliava certo da sola nel deserto, anche perché, pur essendoci molte
dune, in Lituania non c’è il deserto, anzi, c’è un bel mare con spiagge che
durante le stagioni fredde si imbiancano di soffice e bianca neve creando
scenari incantati e fiabeschi. Durante le gelide e lunghissime notti è
possibile, infatti, sdraiarsi sulla spiaggia, ben coperti ovviamente, sorseggiando
una bella tazza di tisana calda, ad ammirare la Via Lattea e l’Universo
visibile da quella parte del mondo semplicemente alzando gli occhi al cielo.
2.
Un giorno, o forse era notte, si scatenò
una potentissima bufera, il vento sbuffava come una locomotiva o un toro
arrabbiato, i fiocchi di neve danzavano nelle loro geometriche forme creando
vortici luminescenti, le foglie si rincorrevano velocemente, i rami degli
alberi si stringevano ai tronchi per non essere spazzati via, le nuvole si scatenavano
in spaventevoli forme meravigliose fino a che aprirono un varco vaporoso e
lasciarono passare l’irruento Perkūnas, il quale aveva l’abitudine di farsi
annunciare da lampi e saette oltre che da un rintonante frastuono.
3.
“Perkūnas non potresti bussare come tutti gli
altri?” gli chiese la grande quercia scrollandosi di dosso rami e ramoscelli di
vari alberi nonché arieti e capre che avevano trovato rifugio sotto la sua
vasta chioma, e altri animali tremanti, spaventati da tanta veemenza.
“Cara Quercia, scusami, lo sai che tendo
a fare un po’ di baccano ma sono simpatico in fondo”, rispose Perkūnas accarezzando
un cavallo fino a farlo calmare.
“Beh, ora che sei venuto, dimmi, a che
debbo l’onore di questa visita?”
“Quercia cara, è stato un lungo viaggio,
posso sedermi un po’, ristorarmi e riposarmi prima di raccontarti tutto?”
“E sia ma fai cessare subito tutto
questo trambusto”
Perkūnas si scusò, lanciò una folgorite
in aria e i tuoni se ne tornarono trotterellando insieme alle nuvole verso un
punto dell’orizzonte.
4.
Perkūnas si riposò, gli animali e gli
alberi si calmarono nonostante russasse in modo alquanto indecoroso. Tale
produzione rumorosa, però, spaventò i conigli e le lepri per cui, al suo
risveglio, trovò davanti a lui Medeine e Meiden con le braccia conserte e uno
sguardo a dir poco inferocito. Perkūnas aprì gli occhi, sollevò il sopracciglio
e grugnì “Salve gente! Qual buon vento?”. Ecco, forse se avesse utilizzato
un’espressione diversa, senza far riferimento alla tempesta da lui scatenata
qualche tempo prima, Medeine, Meiden, i conigli e le lepri non avrebbero
iniziare a tamburellare con i piedi. Il ritmo fu dapprima molto lento
TAP…………………TAP………………..TAP per poi crescere d’intensità in un TAPTAPTAPTAP
velocissimo e molto molto significativo.
Perkūnas pensò che non fosse un buon
segno…. Ma la musica era proprio divertente e si unì a loro in una frenetica
improvvisazione jazz.
5.
Saulė e Menulis accorsero senza por
tempo in mezzo: non si poteva certo pensare di organizzare una festa danzante
senza nemmeno invitarli. Ah! Loro, che eran sempre lì a ballare con le stelle e
con il saggio Diẽvas ogni qual volta ve ne fosse davvero bisogno o semplicemente
l’occasione propizia, ad esempio un raccolto o una semina. Quelle sì che erano
feste divertenti, talvolta vi partecipava anche Žemyna ma lei era molto più
riservata e preferiva comparire soltanto in occasione di nascite e altri lieti
eventi. Veles, Velona e Giltinė partecipavano soltanto ai funerali, erano fatti
così, era inutile anche soltanto mandar loro un invito, la risposta era
immancabilmente negativa. C’era chi vociferava malignamente che non avessero
partecipato neanche alla loro festa di nascita ma ciò è, ovviamente,
impossibile.
6.
La quercia, divertita ma stanca di far
ondeggiare le proprie fronde e radici, si fermò un momento e domandò a Perkūnas
il motivo della sua improvvisata che tanto sconquasso aveva creato nella
foresta al di là delle dune. Perkūnas si schiarì la gola e con voce tonante
rispose solennemente: “Non me lo ricordo”. La grande quercia trasecolò, i
conigli, le lepri, le capre, gli arieti e finanche il cavallo risero in modo
scomposto, tra il divertito e l’incredulo. “Come è possibile?” chiesero in coro.
E niente, per quanto cercasse di ricordarlo, il motivo gli sfuggiva di mente
come un’anguilla sguiscia via dalle mani di chi cerca di trattenerla. E così,
tra un MA NO e un NON CI POSSO CREDERE, cominciò a darsi manate sul corpo in
modo così rumoroso da creare suoni insoliti e molto divertenti. Nessuno perse
l’occasione per lanciarsi in una nuova avventura musicale e tra un CLAP CLAP e
un PATAMPUMFETE si trovarono in cerchio di percussioni.
7.
Le
tre sorelle Laima, Karta e Dekla, attirate da un ritmo tanto avvincente, si
avvicinarono al gruppo e intonarono un canto gutturale e armonico. Dopo poco
tutti, ormai disposti in cerchio, cantarono AAAAAAA EEEEEEE IIIIIII OOOOOOO
UUUUUUU con una tecnica, il canto carnatico, appresa in India in un qualche
viaggio intercontinentale in un tempo di cui non avevano più memoria. Non
potevano mica ricordare tutto, d’altronde, poffarbacco ma c’era proprio da
chiarire il motivo per cui Perkūnas si era presentato in quel modo spettacolare
spaventando la popolazione in un modo tanto plateale. Tutti gli occhi, finito
il concerto improvvisato, si rivolsero verso le tre sorelle, ben note per
essere a conoscenza dei fatti di chiunque, si vociferava addirittura che
avessero la capacità di predire il futuro e di conoscere il destino di ognuno,
visto e considerato che accompagnavano le loro esternazioni e i loro giudizi
con eloquenti gesti di sapienza e conoscenza.
8.
La
grande quercia iniziava a spazientirsi sebbene le fosse alquanto piaciuto
ballare e suonare in quel modo, a dire il vero, era passato parecchio tempo
dall’ultima volta che si era tanto scatenata. ORDINEEEEE, gridò all’improvviso Clanga
Pomarina nell’inconfondibile richiamo che annunciava il passaggio di uno stormo
di coppie di cicogne nere e bianche stanche per il lungo viaggio che dall’Africa
le aveva portate a nidificare non lontano dal nido del rarissimo picchio dal
dorso bianco. Francolino di Monte, Croccolone e Moretta Tabacca si affrettarono
a preparar loro qualcosa per ristorarsi dopo la lunga traversata e, a quel punto
Perkūnas ricordò il motivo della sua visita.
9.
“Corpo
di mille saette!” esordì nel suo linguaggio un po’ piratesco e molto colorito “ecco
cos’ero venuto ad annunciare”. La grande quercia sospirò, non c’era niente da
fare, la memoria di Perkūnas era proprio pessima… si distraeva al primo frullare
d’ali ed era troppo impegnato ad apparire nel modo più spettacolare possibile
per poter ricordare qualcosa di diverso dal colore del fulmine che avrebbe voluto
scagliare per farsi maggiormente notare. “Le cicogne stanno tornando indietro
perché, per una gran perturbazione, non riuscirebbero ad arrivare a
destinazione”. La grande quercia ringraziò, mettendo a tacere tutte le voci che
stavano iniziando a mugugnare e commentare “bella forza, sono qui, ce n’eravamo
accorti da soli, non c’era mica bisogno di farci spaventare in quel modo!”
10.
Le tre sorelle Laima, Karta e Dekla si
guardarono perplesse. Non ne erano state informate per tempo, non erano a
conoscenza di tale evento e questo era a dir poco inaccettabile, una vera e
propria lacuna da colmare con una attenta ed oculata disamina di tutti i
particolari e di tutte le informazioni, anche le più marginali. Non s’era mai
visto uno stormo di cicogne tornare indietro dalla propria migrazione in quella
stagione dell’anno. Una perturbazione era una spiegazione che non le aveva
convinte per niente, troppo semplice. Avrebbero indagato, esplorato, dragato
tutte le possibili motivazioni e sarebbero dunque giunte ad una conclusione
accettabile e ragionevole, o per lo meno degna di essere raccontata alle
generazioni future. Appurato che Saulė e Menulis fossero all’oscuro quanto loro
della notizia, chiesero a Žemyna, la quale non rispose ma guardò
significativamente Diẽvas, il quale, suo malgrado, sospirò e andò a domandare a
Veles, Velona e Giltinė.
11.
“Non è arrivata la tua ora Diẽvas”, dissero
in coro Velona e Veles, “Vuoi invitarci al tuo funerale?”, ridacchiò macabramente
Giltinė. Diẽvas saggiamente lasciò che i motteggiamenti e le battute di nero
spirito cadessero nel vuoto senza scomporsi. Era il modo migliore per attirare
la loro attenzione. Infatti, lo sbeffeggiarono ancora un po’ e poi gli chiesero
il motivo della sua visita. “Non possiamo aiutarti” risposero con aria corrucciata
ma gli indicarono la strada per andare a trovare Velnias. Appurato che non c’erano
altre strade percorribili se non quella, Diẽvas ringraziò e si incamminò,
tremando e battendo i denti dalla paura, verso il punto indicatogli.
12.
Quando tornò, sano e salvo ma
decisamente pallido, alla grande quercia, ci volle non poco per calmarlo e
rassicurarlo che andava tutto bene, che era al sicuro e che non c’era niente da
temere. Tremava come la foglia di una canna al vento. Una bella tisana calda gli
diede forza per iniziare il suo racconto. Al di là del mare, oltre la terra e
il Mediterraneo, era stato scoperto un giacimento di preziosi minerali e le
cicogne avevano trovato tutto sottosopra, i loro alberi erano stati tagliati
per far posto a ruspe, camion e altre diavolerie e davvero non c’era un attimo
di pace. Loro erano stanche e volevano soltanto riposare. A quel punto non c’era
altro da fare che chiedere aiuto agli esseri umani. Ve n’erano alcuni dediti
alla conservazione degli habitat naturali, non c’erano altre strade e, per quanto
ciò potesse sembrare assurdo, avrebbero dovuto chiedere il loro aiuto. Vista la
solennità della missione, se ne incaricò Žemyna che, senza far troppo chiasso,
riuscì inaspettatamente nell’impresa e tornò trionfante con un gruppo di ornitologi
e ambientalisti cui era stato fatto solennemente promettere di non rivelare che
anche gli alberi possono parlare, se soltanto si impara ad ascoltare.