giovedì 8 dicembre 2016

Senatori 10. Francesco Saverio Nitti, garibaldino, mazziniano, radicale (bozza)

Francesco Saverio Nitti, garibaldino, mazziniano, radicale (bozza)

Tra il castello federiciano e la cattedrale di Melfi, in una casetta dignitosa i cui muri trasudano fame di conoscenza e sete di libertà, quasi di fronte alla Via dello Scozzese e non lontano da dove oggi sono le statue con i bimbi che giocano, il 18 luglio 1868 nacque Francesco Saverio Nitti, futuro Presidente del Consiglio e più volte Ministro, degli Interni, del Tesoro, dell’Agricoltura, Industria e Commercio, esiliato durante il Ventennio e poi deputato dell’Assemblea Costituente e infine Senatore della Repubblica Italiana.
La sua vita familiare sembra un romanzo in cui le vicende personali si intrecciano fortemente con gli ideali che hanno reso possibile la Storia. Il padre, professore di matematica, ispettore di quei Monti Frumentari che fornivano le sementi ai contadini indigenti e commissario prefettizio, era un garibaldino mazziniano, aderente all’Associazione emancipatrice italiana fondata dall’Eroe dei due mondi, disciolta e dunque confluita nella Falange Sacra mazziniana. I suoi avi erano liberali. La madre una contadina.
Un’infanzia e un’adolescenza non convenzionali costellate da arresti, ufficialmente per rissa, del padre trascorse studiando per meglio comprendere quelle parole segrete sussurrate negli incontri scalcinati che hanno costituito il Risorgimento italiano. L’Europa sui libri di scuola era un continente geografico composto, a livello politico, da tanti stati e staterelli allora governati in prevalenza da re e regine ma per lui era una unione di fratellanze, una grande nazione organizzata in Stati Uniti d’Europa. Se in classe gli veniva insegnato che i sovrani sono investiti dalla grazia divina, in casa le parole profetiche di Mazzini e Garibaldi gli gridavano a gran voce che non esistono Stati e divisioni bensì persone che costituiscono l’Umanità, un unicum di differenze, e che insieme agiscono in fratellanza in una continua progressione, una tensione verso le libertà.
All’ombra del castello in cui vennero decretate le Costituzioni melfitane, in cui particolarmente importante era la divisione tra Imperatore e Papa, redatte grazie allo ‘Scozzese’ Michele Scoto e al suo amico Fibonacci, dotti alla corte di Federico II di Svevia, Francesco Saverio Nitti sviluppava quella coscienza liberale, libertaria, anticlericale che gli costò l’esilio già a partire dal 1923.  

Politicamente aderì al Partito Radicale Italiano storico, cui il successivo P.R. si ispirò grandemente, ma non vide mai realizzati gli ideali per i quali lui e i suoi avi avevano tanto lottato.  

mercoledì 7 dicembre 2016

Senatori 9. Rita Levi Montalcini. Nemo propheta in patria. (bozza)

Rita Levi Montalcini. Nemo propheta in patria.

Nemo propheta in patria, dicevano gli antichi romani, figurarsi se quel ‘nemo’, quel ‘nessuno’ è una ‘nessuna’ per di più nata in una famiglia ebrea e cresciuta durante gli anni più neri della storia patria.
Chiunque l’abbia vista almeno una volta, anche soltanto in fotografia o in video, non può scordarla. Rita Levi Montalcini è l’emblema stesso di un certo tipo di persone, quelle che tengono la schiena dritta senza piegarsi mai al volere degli altri, ai dettami della società, alle ingiustizie e alle assurdità fanatiche.
Una donna che non ha mai rinunciato alla sua femminilità e neanche ai suoi diritti di persona, anche quando tali diritti venivano barbaramente calpestati con stentoree grida o con i silenzi subdoli del maschilismo istituzionale.
Il concetto di uguaglianza nella cittadinanza, senza distinzione di censo, di sesso, di religione, di opinione, per lei più che un proclama o un ideale per cui lottare e battersi è stata pratica quotidiana di libertà.
Scienziata di levatura intellettuale talmente alta da meritare l’ambitissimo Premio Nobel, cui sono ovviamente seguite onorificenze di tutto rispetto da parte finanche del Presidente degli Stati Uniti d’America, interviste sulla stampa italiana, pubblicazioni e fondamentalmente una indifferenza politica da far venire il dubbio che la guerra partigiana di Liberazione e prima le battaglie del Risorgimento avessero mai avuto luogo nel BelPaese.
Venne nominata Senatrice a vita quando chiunque pensava che non avrebbe avuto la forza, vista l’età considerevole, di presenziare alle sedute parlamentari.
Per quasi vent’anni non se n’era mai fatto niente, non si era neanche pensato di insignire una donna nata in una famiglia ebrea di tale levatura intellettuale da aver ricevuto il Premio Nobel e moltissimi altri riconoscimenti, ognuno tra quali avrebbe singolarmente coronato nel migliore e più auspicabile dei modi la vita accademica di qualunque scienziato, del fondamentale riconoscimento di meriti scientifici da parte del Parlamento italiano.
Qualunque scolaretto aveva chiaro chi fosse quella donna minuta e indistruttibile con la mente di un genio e il sorriso di una nobile d’altri tempi, lo sguardo dolcemente implacabile di una persona che aveva agito quotidianamente la differenza, la bellezza, la libertà del principio fondamentale di Uguaglianza, una di quelle tre paroline che hanno animato le rivoluzioni, a partire da quella settecentesca francese in poi.
E forse, proprio espressione del Secolo dei Lumi è stata Rita Levi-Montalcini, ed espressione del Risorgimento e del Secolo Breve.
Come abbia fatto a tenersi sempre dritta come un fuso, a camminare con la testa, perfettamente pensante è più che certificato, alta e fiera attraversando pregiudizi, anni e regimi senza scomporsi, cancellando dal suo volto umiliazioni e sofferenze spiegando con la forza della pratica quotidiana i principi fondamentali della libertà è forse il busillis più bello che la Premio Nobel e, dopo quindici anni, Senatrice a vita Rita Levi-Montalcini abbia contribuito a dimostrare non alla comunità scientifica internazionale bensì al mondo intero e a quella Patria che tanto l’ha fatta tribolare prima di riconoscerle gli onori che sarebbe stato ovvio tributarle.
Quando fu nominata Senatrice a vita invece di far notare che finalmente un Presidente della Repubblica Italiana s’era ricordato di lei, si scatenò una ridda di polemiche[1], attraverso cui il Premio Nobel Rita Levi Montalcini passò senza scomporsi, senza perdere per un momento il sorriso bonario di elegante nobile d’altri tempi, con un’intelligenza, una classe e un’eleganza che rarissimamente si erano viste nelle due Camere del Parlamento italiano.






[1] Sulle polemiche che hanno contraddistinto la nomina di Rita Levi-Montalcini molto interessante l’articolo di Paolo Cucchiarelli pubblicato su America Oggi del 31/12/2012 http://americaoggi.info/2012/12/31/33932-dal-nobel-alla-politica-limpegno-di-rita-levi-montalcini-palazzo-madama


martedì 6 dicembre 2016

Senatori 8. Cipriano Facchinetti. Fratello d’Italia. (bozza)

Senatori Cipriano Facchinetti. Fratello d’Italia.

Fratelli d’Italia
L’Italia s’è desta

Chiunque abbia ascoltato anche soltanto una volta l’Inno di Mameli non può non aver riscontrato la fortissima presenza della Massoneria, o Libera Muratoria, Italiana nella stesura del testo e della musica. I confratelli sono gli adepti a tale setta segreta che ha visto in Giuseppe Mazzini un ispiratore, in Giuseppe Garibaldi un Maestro e in Giuseppe Verdi un divulgatore.
Goffredo Mameli, che scrisse il risorgimentale Canto degli Italiani, e Michele Novaro, che lo musicò, erano Massoni e tale era anche chi si fece promotore dell’adozione di tale inno quale inno nazionale, Cipriano Facchinetti.
Come molti Massoni era tutt’altro che un uomo dedito al quieto vivere e alla serena pace di tradizionali e immutabili valori. Facchinetti era un combattente, agguerrito e piuttosto indomito garibaldino, mazziniano, repubblicano, anche se il PRI, il partito politico che ha diretto e contribuito a far diventare un’importante realtà nazionale, non lo annoveri tra i suoi personaggi di spicco, tra le stelle del firmamento. Il suo nome manca indicativamente dal sito dell’attuale Partito Repubblicano Italiano[1] e questo è un punto d’onore, un’ulteriore conferma della sua fondamentale libertà di pensiero che travalica di certo i tetri confini delle salette di qualche sede di partito, seppur storicamente importante per l’Italia intera.
Combatté sempre, anche quando era stato congedato perché ferito in battaglia e mutilato degli occhi, seguì Ricciotti Garibaldi nei Balcani, riunì i combattenti repubblicani a Podgorica, si scontrò pesantemente col vigliacco Mussolini che lo sfotteva per le sue menomazioni nei luoghi pubblici e che gli tolse lo status politico dopo l’arroccamento aventiniano, costringendolo all’esilio in Francia.
Facchinetti non si perse mai d’animo, non lo avrebbe mai fatto nel corso della sua lunga e battagliera vita, riuscì a ricreare la Massoneria italiana in terra straniera, forzando i rigidi codici procedurali massonici relativi al territorio, venne arrestato più volte, prese nuovamente la via dell’esilio e senza esitare lottò con tutte le sue forze e anche con quelle che non aveva per le sue idee di libertà, eguaglianza, fratellanza e unità nazionale in una società di nazioni necessaria a mantenere e consolidare la pace e la giustizia.
È difficile parlare di Cipriano Facchinetti senza pensare alle giubbe rosse garibaldine, è quasi impossibile immaginarlo al di fuori del Risorgimento eppure egli fu un uomo del XX secolo più che del XIX. Seppe tradurre gli ideali ottocenteschi nel linguaggio, nelle esigenze e nelle pratiche politiche del Secolo Breve, mantenendo stabili le conquiste di libertà durante le peggiori burrasche della storia politica italiana, per un soffio non fu Presidente della Repubblica, ma divenne Ministro dell’Interno e ottenne che il Canto degli Italiani, espressione di quella Massoneria che tanto ha contribuito all’unione e alla laicizzazione dell’Italia, diventasse l’Inno di Mameli.

sabato 3 dicembre 2016

Una ballata celtica 7 (bozza)

“Con tutto il daffare che ho da fare anche questa mi doveva capitare: Felix il Gatto sii gentile, scendi dalle fronde della Quercia che si è anche rifatta il feuillage per la festa di Bealtaine e tutti gli uccelli che prendono dimora tra le sue folte chiome non possono far ritorno se tu rimani lì appollaiato”
“Giammai”
“Oh che emozione, oh che grande, grandissima emozione, questo che parla e si rifiuta di scendere dalla Quercia è un Lettore, quale onore!”
“Macché, caro Fico, è un pelosetto che è venuto a mangiare lo stufato di Samalaliliath”
“Eppure a me sembra proprio un Lettore… d’altronde chi ha detto che i gatti non sanno leggere?”
“Et questa, ringraziamenti et ossequi, gentilissima Dama Fico, potrebbe essere una ennesima dirimente questione da verificare nelle opportune sedi et quandunque si ritenesse opportuno et doveroso nonché di rilevanza objettivamente et subjectivamente”
“Certo certo, lo dicevamo noi, che bisogna analizzare, controllare, verificare, è necessario”
“Gentilissimi presenti, non vorrei sembrare inopportuna, cosa che decisamente non si confarebbe al mio carattere amichevole e generoso, ma se Felix il Gatto è giunto fin qui leggendo le parole che venivano scritte, è lapalissiano che sappia leggere, e per quale motivo non dovremmo credere nelle sue buone intenzioni? Guardate quanti siamo, se anche avesse voglia di fare qualche sciocchezza”
“Quali dar fastidio agli scoiattoli e agli uccellini, sta’ attento a te pelosetto”
“Quali appunto dar fastidio agli scoiattoli e agli uccellini”
“Per non parlare, scusate se mi intrometto ma la vostra beltà e gentilezza è oggi più fulgida e fulgente che mai e non saprei altrimenti in che modo attirare la vostra attenzione Dama Tiglio, ma ci sarebbe anche la questione non propriamente secondaria delle unghie sulle nostre cortecce, cosa che in fondo potrebbe non essere troppo sgradevole, un peeling ogni tanto aiuta a rinnovare le cellule e riprendere quell’aspetto smagliante che tanto dona a bellezze della vostra specie, ma senza divagar troppo direi… poniamogli davanti un mio frutto, una mela, così vedremo se avrà voglia di azzannarla oppure di giocarci come fosse un gomitolo”
“Caro messer Melo, questa è cosa sensata e giusta. Buongiorno e salve a tutte e tutti, ho, dall’alto, si fa per dire, della mia saggezza secolare, ascoltato con attenzione tutte le vostre discussioni e sono andato a scartabellare precedenti ed eventuali casi analoghi con la severità di giudizio che mi contraddistingue, effettivamente pare che i gatti siano irresistibilmente attratti dai gomitoli”
“Con tutto il rispetto, Dama Ulivo, pensate davvero che il pelosetto scenderà dalla Quercia per mettersi a giocare con un finto gomitolo?”
“Oh con tutto il daffare che ho da fare anche questo mi ci voleva…. Felix, felixuccio, guarda un po’ che ha portato messer Melo per te hiuhuuu”
“Non mi interessa e non scenderò mai e poi mai dalla Quercia, ehi che cosa sono tutte quelle cose rotolanti? Una infinità di gomitoli, ma questo luogo è meraviglioso”
Così dicendo Felix il Gatto scese con balzo felino
“Volevi che scendesse con balzo canino? È un gatto!”
Per l’appunto, visto che adesso anche il Leprechaun ne è convinto, si può andare avanti e proseguire, dicendo che Felix il Gatto scese con balzo felino, essendo un gatto, dalla Quercia e cominciò a giocare con i pomi di Messer Melo, opportunamente agitati. Dal canto suo l’eterno innamorato Melo era felice come una pasqua perché in questo modo era riuscito ad attirare l’amorevole attenzione di Dama Tiglio, albero di rarissima bellezza e dal carattere tanto gentile da risultare simpatico a chiunque, l’approvazione di Dama Ulivo e la riconoscenza della Quercia che non gradiva punto di veder il suo nuovo feuillage rovinato a causa di un gatto, peraltro intruso, nonostante il suo fortissimo senso della giustizia.
“È proontooooo” si udì distintamente l’inconfondibile richiamo di Samalaliliath.

La festa di Bealtaine stava per iniziare e nulla avrebbe distolto gli abitanti del villaggio segreto dai festeggiamenti, il tribunale venne trasformato in un teatro con cinema e spazio per ballare e suonare e tutti gli animali eseguirono il concerto più divertente e spettacolare che si fosse mai svolto fino ad allora. 

venerdì 2 dicembre 2016

Una ballata celtica 6 (bozza)

Una ballata celtica 6 (bozza)

Non c’è da sorprendersi dunque se Felix il Gatto, capita l’antifona e temendo di non poter assaporare lo stufato di Samalaliliath, si guardò intorno con aria innocente, socchiuse sornione gli occhi, mosse le vibrisse e piroettando sulla coda fece un gran balzo fino a raggiungere il più alto ramo della impressionante chioma della Quercia più antica del villaggio segreto che proprio in quel momento giungeva movendosi, com’è d’uso, regalmente e con una nobiltà di portamento che incuteva rispetto e rispecchiava il grande senso di giustizia che contraddistingueva i nati sotto i suoi auspici. Ovviamente le Querce non arrivavano mai da sole, l’aura di rispetto che emanavano creava un vero e proprio corteo al loro passaggio. In prima fila, facendo attenzione ad essere ben visibili e a mostrare l’ultimissima tendenza in fatto di feuillage, con incedere elegante e istrionico, i Salice. Non lontano i Melo, sempre alla ricerca di un buon motivo per innamorarsi, come se ce ne fosse bisogno e la vita stessa non costituisse già di per sè un ottimo, validissimo motivo per essere perennemente tra le braccia di Venere e punzecchiati da Cupido. I Frassino, i quali, come è ben noto, non sopportano le ingiustizie, trovavano nella vicinanza alla grande Quercia un motivo di pacificazione del loro naturale bisogno, senza contare che questa volta erano stati particolarmente incuriositi dalla presenza di Felix il Gatto, una novità senza dubbio. Proprio a seguito delle dicerie che si erano sparse nel fogliame, i Pioppo, che avevano subodorato qualcosa ma volevano verificare, controllare, esaminare ed accertare con metodi scientifici la veridicità della effettiva presenza di un catus silvestris catus o felis catus. Cigolando cigolando si erano avvicinati anche i Tasso con
“Cos’è quel coso?”
“Già cos’è quell’aggeggio? Servirà mica a capire se il pelosetto sia o meno un gatto?”
“Con tutto il daffare che ho da fare devo dire che un affare del genere non l’avevo mai veduto”
“Oh oh oh Familia Tasso i miei ossequi, vedo che la novella è giunta fin negli anfratti più remoti nel giusto et opportuno tempore tale per poter discernere tra le molteplici informazioni…. Ma cosa accade sulla chioma della più antica Quercia?”
“I nostri ossequi, stavo propriamente per porre la medesima domanda? Per quale cagione un gatto trovasi tanto spaventato sulla mia chioma senza la minima intenzione di scendere senza aver prima ottenuto giustizia?”
“Oh oh oh ma è propriamente a cotello proposito che noi quivi stavamo approntando”
“Con tutto il daffare che ho da fare faccio prima a dirlo io. Ecco, vedete quello che avete sulla chioma si chiama Felix il Gatto. È un gatto che si è intrufolato nel villaggio mentre stava leggendo un racconto che non avrebbe dovuto leggere in quanto, appunto, gatto, e invece ecco che da occhiuto Lettore come pensavamo che fosse si è trasformato in ghiotto pretendente allo stufato di Samalaliliath e adesso gli Olmo vogliono celebrare un processo alle intenzioni presenti, passate e future perché gli Abete hanno espresso il timore che egli potesse in qualche misura essere dannoso per Scoiattoli e altri abitanti che vivono pacificamente tra le fronde degli alberi, oh con tutto il daffare che ho da fare anche da cronista mi tocca fare”
“No, per quanto riguarda la cronaca, noi Noce abbiamo steso una dettagliatissima minuta di quanto accaduto dal momento in cui si è posta la questione fino ad ora e le trascrizioni sono disponibili grazie all’alacre lavoro reticolare delle popolazioni ragnesche che ringraziamo per il sostegno logistico.”
“Ma insomma! Vogliamo chiarire una volta per tutte che cos’è questa storia? Se è un gatto e se è qui per mangiare lo stufato, lasciamolo tranquillo a fare le fusa fino all’ora di inizio di Bealtaine, che coincide, com’è noto, con la fine della cottura dello stufato e poi via”
“Madama Cedro ha ragione”
“Stai zitto tu pelosetto e scendi dalla Quercia che non è rispettoso”

“Giammai”

giovedì 1 dicembre 2016

Una ballata celtica 5. (bozza)

 Una ballata celtica 5 (bozza)

“Il qui presente sedicente felis silvestris catus o felis catus, presentatosi col nome di Felix il Gatto, asserisce qualcosa che effettivamente ha un suo senso. Ora mi par più che necessario, se permettete, Messer e Donna Olmo, appurare con prove inconfutabili tale affermazione, senza farci confondere da istinti o simpatie, applicando una metodologia d’indagine al di sopra d’ogni sospetto”
“Oh oh oh Donna Pioppo, e ossequi alla famiglia, c’è da riscontrare una giusta et pregevole affermazione in codesta obiezione, ordunque mi par più che saggio e giusto approntare nel tempo che si addice e nel loco adatto all’uopo la corte per poter celebrare tale necessario processo alle intenzioni presenti, passate et future del sedicente Felix il Gatto”
“Io me ne vado, io voglio soltanto mangiare lo stufato preparato da Samalaliliath, e mi avete prorpio stufato con tutte queste chiacchiere”
“Oh Signur con tutto il daffare che ho da fare soltanto questa mi ci mancava, che l’imputato volesse fuggire ai suoi doveri”
“Pelosetto è inutile che tenti di svignartela, tanto non potrai andar via fino a che non verrà celebrato il processo alle intenzioni presenti, passate e future, che peraltro è uno spasso cui non abbiamo punto intenzione di rinunziare”
Il Lettore avrà sicuramente capito che la sorte di Felix il Gatto era ormai decisa, almeno per le successive ore di quella giornata e che gli abitanti del villaggio non avevano alcuna intenzione di lasciarsi scappare l’occasione di un tal divertimento, per loro. Per chi non fosse propriamente avvezzo alle usanze temporali del villaggio, in cui il concetto di ‘tempo’ che per gli umani è tanto importante e così legato al sorgere e al tramontare del sole, al variare delle stagioni, è una dimensione considerata ininfluente in quel luogo perché, semplicemente, non trascorre mai, e gli eventi si susseguono in base ad una logica tutta loro, senza troppi complimenti. Il processo alle intenzioni presenti, passate e future, si sarebbe dunque svolto in quella dimensione atemporale che avvolge il villaggio segreto con la levità della nebbiolina che sovente fa capoccella nella brughiera e si unisce alla brezza oceanica in una danza a volte ferma e altre agitata dal freddo vento del Nord.

Certo trovarsi nei panni, pardon, nel pelo e nella pelle di Felix il Gatto potrebbe sembrare scomodo ma bisogna ricordare che i felini sono esseri molto furbi e intelligenti, capaci di cavarsela anche in situazioni a loro ignote, è infatti cognito che essi sanno sempre in che modo farsi coccolare quando vogliono una carezza e come chiedere cibo a chi si prende amorevolmente cura di loro. Sanno rilassarsi completamente e agire con destrezza inaudita con velocità sorprendenti. 

mercoledì 30 novembre 2016

Una ballata celtica 4 (bozza)

Una ballata celtica 4 (bozza)

Il Lettore non si faccia trarre in inganno dalla pomposità della denominazione di tale agone, in realtà non è un vero e proprio ‘processo’
“Sì che lo è”
“Zitto tu!”
bensì di qualcosa di molto più simile ad un tribunale d’amore cortese medievale che, come ognun sa, veniva celebrato insieme ad un palio, giochi bellissimi, canti e balli, che ben si sarebbero intonati alle festività di Bealtaine. Raramente accadeva che durante i festeggiamenti per una ricorrenza così importante vi fosse anche un processo, e il divertimento quando c’era un processo alle intenzioni era scontato, ma un processo alle intenzioni presenti, passate e future doveva essere un vero spasso. Beh, almeno per chi era negli spalti, certamente non per quel malcapitato che doveva fare la parte dell’imputato a meno che non fosse furbo come una volpe o come un…
“…Gatto”
“Eh, non ci avevo pensato….”
“Ma io sono un gatto!”
“Un pelosetto vorrai dire”
“Oh oh oh oh apparentemente et ot certamente sembrerebbe un esemplare di ‘felis catus’ secondo la classificazione umana di Linnaeus del 1758 ot anche ‘felis silvestris catus’ se intendessimo, volessimo, cercassimo di seguire la classificazione di Schreberer risalente al 1775. Sarà dunque da valutare se possa effettivamente venir considerato un Felis della sottofamiglia Felinae della famiglia Felidae del sottordine Feliformia dell’ordine Carnivora del superordine Laurasiatheria dell’infraclasse Eutheria della sottoclasse Theria della classe Mammalia della superclasse Tetrapoda dell’infraphylum Gnathostomata del subphylum Vertebrata del phylum Chordata del superphylum Deuterostomia del sottoregno Eumetazoa del regno Animalia del dominio Eukaryota, questo sempre seguendo la classificazione umana, che come è ben noto non prende in considerazione tutto ciò che è ignoto et ot misterioso et ot segreto per essi. Indi vi sarà ben donde di comprendere se effettivamente et indubbiamente Ser Felix il Gatto sia da annoverare infra color che rispondono alla classificazione umana et ot fantastica et ot sia come all’apparenza parrebbe ma l’apparenza sovente inganna un gatto. Nel qual caso”
“Nel qual caso?”
“Ma che ha detto finora?”
“Dice che bisogna stabilire se Felix il Gatto sia un gatto, e se lo sia nella classificazione umana oppure in quella fantastica”
“Ma con tutto il daffare che ho da fare ti pare che debbo star qui a sentire una discussione sulla effettiva gattità di Felix il Gatto? È evidente, è un fatto, non mica bisogno di un patto o di un ratto per capire che Felix il Gatto è un gatto. E con tutto il daffare che ho daffare questo è proprio qualcosa che mi distoglie dal mio daffare e non è proprio un bell’affare, chissà per quanto tempo di distoglierà dal mio daffare”
“Oh oh oh orbene nel qual caso mi pare più che ovvio et più che evidente che se fosse stabilito al di là di ogni ragionevole dubbio che è un esemplare di ‘felis catus’ secondo la classificazione umana di Linnaeus del 1758 ot anche ‘felis silvestris catus’ se intendessimo, volessimo, cercassimo di seguire la classificazione di Schreberer risalente al 1775”
“Sì sì va bene per carità. Ma nel caso fosse stabilito che è un gatto in base alla classificazione umana o alla classificazione fantastica?”
“Oh oh oh certo questo è ben complicato, molto difficile capire et sapere, ordunque et adunque, se ciò fosse stabilito con certezza et aldilà di ogni ragionevole dubbio bisognerebbe accertare, appurare, decifrare, capire se abbia, abbia avuto o avrà intenzione di arrampicarsi su qualche esemplare delle nostre famiglie e dar fastidio agli scoiattoli che custodiamo. Mi par logico e per far ciò mi sembra evidente il bisogno, la necessità di un processo alle intenzioni presenti, passate et ot future”
“Ma ma ma ma ma Messer e Donna Olmo, con tutto il rispetto io so certamente chi sono. O vi par forse che uno arrivi, si guardi allo specchio, si svegli ogni mattina senza saper chi è? Sarebbe questa una abitudine un po’ bislacca, non vi pare? Se io non fossi un gatto, come effettivamente io sono, perché direi di essere un gatto in un villaggio popolato da alberi semoventi e parlanti, da personaggi inusuali nel mondo da cui provengo sapendo che effetto produca su taluni alberi il semplice nominare un animale della mia specie? E vi sembra normale ch’io non sappia chi sono? Certo che lo so, sono Felix il Gatto e dunque sono un Gatto, chiamatelo un felis silvestris catus o un felis catus ma sempre un gatto sono e rimango. O che voi non sapete chi siete?”
“Oh oh oh certo che lo so chi sono”

“E ordunque vedete? Se voi sapete chi siete, perché, nella vostra logica io non lo saprei?”

martedì 29 novembre 2016

Una ballata celtica 3 (bozza)

Una ballata celtica 3 (bozza)

“Sento qualche dissapore in queste lande, cosa accade’”
“Salute a voi Messer e Donna Olmo e salute a tutta la famiglia”
“Messer Leprechaun e Famiglia Abete i miei ossequi, potreste dirmi cos’è questo alieno?”
“Ecco, vedete è…”
“Un pelosetto”
“Non sono un pelosetto sono un gatto!”
“Un gattoooooo???????” Le fronde olmose intrise di giustizia e libertà si scossero come una sol fronda e le radici si aggrovigliarono di colpo intorno ai tronchi forti e agili, quasi a volersi proteggere da una pozzanghera schizzata dalla strada proprio sul marciapiedi.
“Ehm sì, questo”
“Pelosetto”
“FHHHHH”
“è Felix il Gatto”
“Messere non vorrei essere scortese ma per la tranquillità nostra e degli abitanti, tra cui gli Scoiattoli, le Pernici, i Pettirossi e.. beh potreste dirmi, di grazia, per quale motivo il qui presente Ser Felix il Gatto trovasi in cotesto ameno loco?”
“Che ha detto?”
“Vuole sapere perché Felix il Gatto è qui e come c’è arrivato”
“Ah, sì sì, giusto, certo, lo avevo capito è che con tutto il daffare che ho da fare mi era sfuggita l’ultima parola… ecco, veramente”
“Lasciate che sia io a rispondere”
“Su pelosetto parla, parla pure”
“Non sono un pelosetto!”
“Felix il Gatto è qui perché vuole assaggiare lo stufato preparato da Samalaliliath, ecco”
“Oh oh oh oh, certamente una prelibatezza nota in tutte le Contee celtiche la di cui fama dev’essersi spansa per l’aere della Scozia intera et aver financo travalicato li confini de lo spazio et de lo tempo posti a sempiterna protezion de lo villaggio la di cui segretezza è ormai più che arcinota, assurta agli onori non delle vil cronache mondane bensì delle mitologiche leggende che tanta parte hanno nella gloriosa letteratura et produzione artistica più nel generale”
“Io non lo capisco quando parla”
“Sta dicendo che non è strano che un gatto venga attirato dal profumo aromatico dello stufato di Samalaliliath, visto che è ormai noto in tutte le contee, però non capisce come abbia fatto ad arrivare, eludendo i sofisticatissimi sistemi di sicurezza per la protezione della segretezza del villaggio segreto”
“Ah, ecco”
“Ma è semplice Messere, io sono un gatto”
“Già un pelosetto che si arrampica sugli alberi e infastidisce gli scoiattoli”
“Mai infastidito uno scoiattolo in vita mia e poi io non sono un pelosetto!”
“Oh oh oh orbene certo sono evidenze che debbono essere evidentemente considerate nella loro evidente evidenza, seppure potrebbe ancor sorgere negl’animi più pavidi et cauti, se non un sospetto od un dubbio amletico per lo meno, orsù et ordunque si potrebbe anco et financo immaginare che una tale presenza, seppur certo non sia sgradita per le arcinote regole della buona accoglienza et della buona creanza nonché al sentimento di più pura solennitate che è ben donde venga tributato ad un forestiero che si trovi per caso et ot accidente”
“Ma io non voglio prendere nessun accidente, che dice?”
“Non s’è capito, è soltanto la premessa ad una frase”
“Pelosetto ascolta e lasciaci ascoltare”
“dov’ero io giunto ordunque et orsù”
“et ot acci”
“Oh oh oh sì certamente e come potrebbe essere diversamente se la proverbiale, anzi direi financo leggendaria et ot mitologica in quanto è ben cognito che v’è, et ve n’è ben donde, una intera mitologia astrologica che narra di cotesto segreto villaggio le cui genti et ot non genti sono note et arcinote per ser di parecchio anzi di molto et assai bene accoglienti et ot benevolenti ne li confronti de li forestieri”
“Ah dice che il villaggio segreto è noto per essere accogliente nei confronti degli stranieri”
Mentre la famiglia degli Olmo e nello specifico Messer Olmo così parlava si era riunito un folto gruppo di famiglie arboree, lì giunte per la grande festa di Bealtaine.
C’erano gli originali e furbi Cipresso, gli indipendenti e altruisti Acero, gli indistruttibili Carpino, i solidali Castagno, e molti altri stavano arrivando oppure si erano subito messi in moto per preparare un’arena visto che pareva proprio che si presentasse uno spettacolo piuttosto interessante e che si sarebbe aperta una discussione senza ombra di dubbio alquanto memorabile. I Noce, ad esempio, si erano subito industriati a prendere nota di tutto ciò che veniva detto, e i Pino che, con gran senso logico, stavano organizzando gli spalti per la giuria e il pubblico che sicuramente non sarebbe mancato. Certamente i Corniolo e i Betulla sarebbero stati selezionati tra i giurati per cui era bene costruire gli spalti in modo che fossero adatti alla loro conformazione e alle loro esigenze. C’erano anche i Nocciolo che prontamente avevano allestito uno stand con gadget dell’evento.
“Oh oh oh dicevo, ordunque et orbene che potrebbe ritenersi necessaria una accurata disamina delle intenzioni del qui presente Ser Felix il Gatto nelle eventuali vite precedenti et ot postquam”
“Ma io sono qui soltanto per assaggiare lo stufato non ho intenzione, né mai ne ho avuta, né mai ne avrò, di arrampicarmi sugli alberi, tanto meno poi su alberi parlanti e semoventi, per disturbare gli scoiattoli”
“Pelosetto non sei stato interpellato”

“Oh Signur con tutto il daffare che ho da fare proprio un processo alle intenzioni presenti, passate e future doveva venir celebrato, ma questo non è un affare che possa distogliermi da tutto il daffare che ho da fare eppure non posso certo esimermi pur con tutto il daffare che ho da fare”

lunedì 28 novembre 2016

Una ballata celtica 2 (bozza)

Una ballata celtica 2 (bozza)

Insomma, lo stufato di Samalaliliath era proprio squisito e sul grado di cottura si poteva dire con precisione quanto tempo mancava all’inizio della festa.
Se il Lettore fosse passato di là, anche se non avrebbe potuto perché non avrebbe saputo come chiedere informazioni e dove andare, ma se per caso fosse capitato di là senza sapere niente di niente e di niente si fosse accorto avrebbe comunque potuto dire con certezza che mancavano tre ore, diciotto minuti e quarantaquattro secondi all’inizio di Bealtaine e non si sarebbe sbagliato, minuto più o minuto meno.
Forse il Lettore, non avvezzo alla prelibata cucina di Samalaliliath, avrebbe potuto comprendere che la festa stava per cominciare da un particolare che, nell’universo di senso in cui è abituato a vivere, ragionare e ponderare gli accadimenti, forse, e dico forse, gli sarebbe sembrato un po’, beh, ecco, strano.
“Strano?”
“Sì, beh, sai loro, con tutto il rispetto, non sono abituati a guardare troppo oltre le apparenze e quindi magari”
“Pensi che siano stupidi?”
“Nononononono, no. È che, forse, pensano che non esista niente di ciò che non sono abituati a vedere e sai bene del segreto patto”
“Quale patto?”
“Che ci fa l’occhiuto in questa conversazione?”
“Non so che ci faccia il Lettore in questa conversazione, né come ci si sia inserito ma adesso è qua, lo vogliamo invitare alla festa così, magari, vedendo coi suoi propri occhi ci potrà dire se considera ‘strano’ il particolare di cui sopra oppure no”
“Io voglio soltanto assaggiare lo stufato di Samalaliliath”
“Per quello ci vorrà ancora del tempo, adesso lascia che Leprechaun ti accompagni verso il mondo del fantastico, anche se ha il suo bel daffare e così ci saprai dire”
“Oh Signur ma io ho il mio daffare, mi ci manca soltanto questo umano curioso con tutto il dafffare che ho da fare!”
“Su Leprechaun”
“E se poi…”
“E se dovesse trovare tutto troppo strano o volesse raccontare quello che ha visto, lo faremo svegliare nel suo lettino e le fate gli faranno il solito incantesimo così sarà convinto di aver fatto soltanto un bel sogno”
“Uhm”
“Comunque se state parlando di me….”
“Sì?”
“Io non sono un umano, sono un felino”
“Un felino che legge questa è bella, con tutto il daffare che ho proprio questa dovevo sentire”
“Sì, sono un felino e gli umani mi chiamano Felix”
“Beh, vedi Leprechaun, un felino che parla e che legge, il compito ti sarà più facile”
“Basta che prometta solennemente di tenere le sue unghiacce e i suoi denti aguzzi al posto loro”
“Certo, sono un felino, mica un umano, non aggredisco chi mi accoglie”
“Ho sentito racconti da parte di topolini che la pensano diversamente”
“Va bene, prometto solennemente”
“Uhm così va meglio, comunque”
“Sì Leprechaun, informerò la Fata del Bosco della sua presenza e lei gli metterà un folletto nel pelo a controllare che non si faccia venire in testa di rompere la promessa. Vado e torno.”
“Cos’è che dovrei trovare strano, ma soprattutto, quando sarà pronto lo stufato?”
“Per lo stufato c’è ancora tempo, per quello che dovresti o potresti trovare ‘strano’, beh ecco…”
“ohhhhhh”
“Che c’è?”
“Gli alberi!”
“Sì????”
“Si…”
“…si???”
“….si muovono!”
“Già”
“Che vuol dire ‘già’? Gli alberi non si muovono”
“Questo lo pensi tu e quei bellicosi di umani che bruciano intere foreste nonostante gli alberi diano loro l’ossigeno senza il quale quegli umani inquinanti non riuscirebbero a respirare e vivere”
“Che fanno?”
“Si avvicinano alla locanda”
“Ma così finiranno tutto lo stufato”
“Ma ti sembra che gli alberi mangino lo stufato?”
“Non lo mangiano?”
“No”
“Ah, meno male. E di che si nutrono?”
“Come di che si nutrono? Ma non ti hanno insegnato proprio niente?”
“Ehm sai è che quel giorno non mi ero infilato nello zaino del mio amico umano e quindi non ho seguito la lezione perché… ecco perché”
“Lascia stare, gli alberi sono intelligentissimi e mangiano soltanto per ghiottoneria, non hanno bisogno di altro nutrimento che di quello che deriva loro dalla terra, dall’aria, dal sole, dall’acqua e beh, ma questo è un segreto e non te lo svelerò”
“Ah be’ a me basta sapere che non mangeranno tutto lo stufato”
“No, non sono ghiotti di stufato”
“Bene bene, già mi stanno simpatici”
Il primo albero che Felix il Gatto e Leper il Leprechaun videro avvicinarsi con piglio sicuro e battagliero furono gli Abeti, una grande famiglia molto rispettata nel bosco. Appena si accorsero della presenza di Felix il Gatto chiesero informazioni e spiegazioni a Leper il Leprechaun e si incuriosirono molto del modo bizzarro che aveva portato quel peloso intruso nel villaggio segreto.
“I gatti sono molto intelligenti”
“Figurati! La ragione per cui è qui e mi distoglie da tutto il daffare che ho da fare è che vuole assaggiare lo stufato di Samalaliliath”
“Aha è un buongustaio questo Felix e certo Samalaliliath deve aver superato la sua maestria quest’anno se il profumo del suo stufato è giunto fino a questo pelosetto”
“Io non sono un pelosetto, sono un gatto”

“Appunto, ma non perdiamoci in chiacchiere”

lunedì 14 novembre 2016

Una ballata celtica 1. Prologo. (Bozza)

Una ballata celtica 1. Prologo. (Bozza)

C’era una volta, non tanto tempo fa e c’è chi afferma senza tema di smentite che ci sia ancor oggi ma soltanto per chi ha la capacità di vedere e sentire oltre le apparenze, un segreto villaggio celtico in un bosco ai lati della brughiera che affaccia sull’impetuoso oceano andando incontro alle onde d’improvviso, senza dir niente alle colline che guardano sornione il perenne abbraccio di Tir Nam Beo, la terra della vita che, come è ben noto, è situata sotto il mare al largo delle coste irlandesi e scozzesi, e Lochlann, la leggendaria terra abitata dai giganti.
Non si conosce con esattezza il nome di questo villaggio.
“E certo! Vorrei proprio vedere se un segreto villaggio può avere un nome conosciuto, se fosse noto non sarebbe segreto!”
Il Lettore dovrà perdonare questa interruzione da parte del folletto Leprechaun, ha un carattere un po’, come definirlo, tutto suo e guai a contraddirlo o fargli notare che le scarpe si cuciono in paia e non una soltanto.
“Una alla volta!”
Non gli faccia notare il Lettore che poi dimentica di cucire l’altra, altrimenti potrebbe indispettirsi.
“Sempre a criticare ma quando c’è da fare, eh, quando c’è da fare ognuno ha il suo bel daffare eh!”
“Possiamo continuare a raccontare del villaggio segreto?”
“Ma se non abbiamo neanche cominciato?”
“Ecco, appunto….”
“Uhhhh torno al mio daffare che è meglio altrimenti qua non c’è mai nessuno che si dia da fare a fare ciò che c’è da fare”
C’era una volta,
“S’è capito!”
“Ma non eri tornato al tuo daffare?”
“C’era una volta ma se c’era una volta chi sono io e chi siamo noi abitanti del villaggio segreto, une volte?”
“No, certo”
“Allora???”
Nel villaggio segreto il cui nome è conosciuto, forse, soltanto dai suoi abitanti perché altrimenti si violerebbe il vincolo di segretezza che, come ognun sa, è sacro ed è precondizione necessaria per poter accedere ai segreti villaggi sparsi nel meraviglioso multiversale fantastico luogo e tempo di Fate, Elfi, Folletti, Druidi….
“Leprechaun”
….Leprechaun e altri esseri talmente favolosi da essere eterni, fervevano i preparativi per la grande festa di Bealtaine la celebrazione della stagione calda, prima vera festività dopo il Samhain del primo novembre che saluta il nuovo anno.
Nella locanda di Samalaliliath
“Ma chi, quel partholoniano, che ha portato la birra?”
“Sì….”
“Mi è simpatico”
“Già”
“Che vorresti insinuare con quel laconico ‘già’?”
“Niente….”
“Soltanto perché mi piace bere un mezzo bicchierino la sera prima di andare a dormire..”
“Durante Samhain ti hanno ritrovato in una botte, vestito come Diogene, soltanto di doghe….pensavano che fossi affogato nel barile….”
“Uhhhhhh sempre a puntualizzare, si vede che non hai il tuo daffare, io invece ora vado a fare quello che ho da fare, ho il mio bel daffare io, che pensi? Ah”
Nella locanda di Samalaliliath l’odore inconfondibile del luppolo si mescolava con quello di pentoloni di stufato condito con fiori di brugo, patate e castagne che faceva venire l’acquolina in bocca. Chiunque passasse davanti alla porticina di legno verde rallentava il passo ascoltando i brontolii della propria più o meno affamata pancia. Il profumo denso delle pietanze che si insaporivano tra loro durante la lenta cottura nel grande pentolone posto sulla brace nell’enorme camino, tanto grande che il piccolo Samalaliliath doveva salire su uno sgabello costruito appositamente per fargli girare agevolmente lo stufato la cui notorietà aveva travalicato i confini del villaggio segreto fino ad oltrepassare quella sottile eppure solidissima linea di confine tra il mondo del fantastico e quello del reale
“E che io non sarei reale?”
“Che c’entra?”
“Se il mondo del fantastico e quello del reale sono divisi da una solidissima linea o non sono reale io o non lo è quel muso occhiuto che sta leggendo queste parole ora”
“Sottile eppure solidissima”
“Non tergiversare, rispondi”
“Certo che lo sei ma è meglio che al Lettore venga lasciata una via per uscire dal mondo del fantastico e ritrovare la strada del reale, altrimenti sai che noia, con tutti quei rissosi e belligeranti abitanti del mondo reale travasati nel mondo del fantastico?”
“Ah, beh, se la metti così io torno al mio daffare che con tutte le cose che ho da fare mi ci mancano soltanto quegli inquinanti, bellicosi e puzzolenti abitanti del mondo reale”
“Perché puzzolenti?”
“Perché inquinano e sono così stupidi da buttare nei fiumi, nei mari e nelle stelle la loro arrogante boriosa incapacità di vivere bene”
“Uhm”
“Su torna al tuo daffare che io ho da fare il mio daffare e non ho tempo da perdere”
“Nel mondo del reale ci sono i ciambellotti”
“Ah! E nel mondo del fantastico? C’è molto di più di quanto si possa immaginare e molto altro e molto altro”
“Anche nel mondo del reale”
“Sì ma nel mondo del fantastico non siamo così stupidi da distruggere tutto ciò che è bello e meraviglioso”
“Torno al mio daffare”

“Ecco, sì torna al tuo daffare che io ho da fare il mio bel daffare qui eh”

domenica 13 novembre 2016

Zodiaco cinese (bozza)

Zodiaco cinese

Era giorno di festa e nell’aria si respirava una viva sensazione di opportunità da cogliere al volo…

Messer Shǔ il Topo aveva lavorato alacremente con tutta la sua famiglia. È noto che il mattino ha l’oro in bocca per cui s’era alzato prestissimo. Non c’era il tempo di perdersi in chiacchiere, bisognava praticare gli esercizi mattutini, sistemare la tana e prepararsi al meglio per arrivare primi e trovare così il luogo più adatto per posizionare il banchetto con le lanterne colorate e i dolcetti color giada. Parte del successo è saper cogliere le opportunità in anticipo sugli altri per questo Messer Shǔ non aveva detto niente al suo vicino il Gatto che aveva un buon udito ma a quell’ora non si sarebbe accorto di niente almeno fino a quando lui e la sua famiglia avessero venduto tutti i biscottini e le lanterne e si fossero potuti rilassare e godersi la festività. Era ora di uscire, il sole non era ancora sorto e gli uccellini si crogiolavano beati nei loro giacigli prima di cantare la loro melodiosa sveglia. In fretta e furia uscirono facendo attenzione a non dimenticare niente e le loro fatiche vennero premiate. Pian piano sarebbero arrivati anche gli altri ma la famiglia del Messer Shǔ era riuscita ad arrivare prima e questo, come è ben noto, per gli affari è un gran vantaggio.

Il sole stava per sorgere richiamato dal canto degli uccelli che non si stancavano mai di cinguettare. Niente a che vedere con la famiglia Niú, i Bufali. Loro erano, come si suol dire, di poche parole, quando parlavano le ponderavano bene, scegliendole con la cura con cui si decide qualcosa di importante e le loro opinioni erano tenute in gran considerazione, è che non capivano proprio come si potesse chiacchierare così tanto senza prender mai fiato. Non che desse loro noia, anzi, li allietava e avrebbero potuto ascoltarli per ore e ore ma era giunto il momento di andare alla festa, non volevano far troppo tardi e non avevano alcuna intenzione di mettersi a correre anche se sarebbe stato maleducato giungere in ritardo. Si prepararono con tutta calma come si addiceva ad una famiglia di Bufali, mangiarono un po’ di insalata fresca, scelsero gli abiti più belli e sobri, adatti alle grandi occasioni ma non troppo appariscenti. In un cesto misero germogli di bambù freschi da portare ai panda, eventualmente ci fossero stati, e quindi propiziarsi il favore degli animali più popolari dell’intera Cina. Arrivarono per secondi e acquistarono i dolcetti color giada e le lanterne da Messer Shǔ.

Tra le montagne all’orizzonte il luminoso astro stava sorgendo facendo capoccella con movimento lento e lesto tra le rocciose onde ornate da bianchissima neve. Gli uccelli, accertatisi che il Sole si era effettivamente destato, si dedicarono alla routine mattutina, così come Tigre Hǔ e la sua numerosa famiglia. Dopo aver sorbito una tazza di tè verde sul patio lasciando scorrere pensieri sparsi si immerse in un’accuratissima toilette, lavò con dolcezza il suo corpo sinuoso, spazzolò i setosi e lunghi capelli frizionandoli con una lozione di bacche di pino e fiori di albicocco, si guardò intorno, scelse con voluttà un libro da portare con sé, eventualmente avesse avuto un momento di tranquillità durante i festeggiamenti. Anche gli altri componenti della sua famiglia avevano svolto le abituali pratiche mattutine ed erano pronti. Tigre Hǔ appuntò sugli abiti da lavoro la targhetta con i suoi dati di riconoscimento, mentre per gli altri le festività erano una gran divertimento, ella doveva controllare, da una posizione rialzata, che tutto filasse liscio. Era un compito pericoloso ma non le era certamente mai mancato il coraggio. Quando arrivarono trovarono Messer Shǔ e la famiglia Niú.

L’aria frizzantina aveva stimolato la famiglia Tù, le Lepri, a cominciare la giornata con una bella corsa nel parco. Il modo migliore per procacciarsi clienti altolocati, affermava Messer Tù, mentre Donna Tù era convinta che fosse più giusto offrire banchetti e attività ricreative all’ora del tè. Visto che non era ancora pomeriggio, anzi era primo mattino, optarono per il jogging, l’ideale per tonificare muscoli e ritemprare il corpo per quella che sarebbe stata una lunga giornata di pubbliche relazioni. Arrivare troppo presto sarebbe stato poco fruttuoso, nessuno li avrebbe notati, arrivare troppo tardi avrebbe significato non riuscire a studiare nel modo giusto le mosse per poter trarre profitto dalla riunione di tutte le famiglie cittadine. Rientrarono dopo aver scaricato tossine corporee e pensieri negativi, che come è ben noto, sono deleteri per gli affari. Si preparano con solerzia ed uscirono. Giunsero quarti, come speravano. Acquistarono dolcetti e lanterne complimentandosi con Messer Shǔ e la sua famiglia, chiacchierarono brevemente con la famiglia Niú e finalmente ebbero modo di intavolare un’amabile conversazione con Tigre Hǔ prima che iniziasse il suo periglioso lavoro.

Messer Lóng, il Drago, non voleva proprio saperne di uscire, tanto meno per andare in un posto che sarebbe stato pieno di gente che lo avrebbe salutato nell’unico giorno dell’anno in cui gli era venuto il raffreddore. Inutili sarebbero stati gli sforzi di Donna Lóng e i capricci urlanti dei piccoli Lóng. Giammai avrebbe egli dato a vedere che s’era ammalato proprio il giorno delle festività. Era un’onta per la sua proverbiale salute di ferro e chissà cosa avrebbero pensato di lui se lo avessero visto intabarrato con cappello e sciarpetta anziché nella sua usuale tenuta che metteva in risalto il verde dorato del suo sguardo fiammeggiante. Il sole era alto nel cielo limpido e le sue erano le uniche grida in tutto il vicinato. Donna Lóng lo accarezzò, ella aveva deciso di andare e lui, per quanto si fosse impuntato, non l’avrebbe certamente avuta vinta. Senza scendere sul terreno dello scontro diretto, che evidentemente non avrebbe portato i risultati sperati, lo coccolò di fronte agli attoniti pargoli e inferse la stoccata chiedendogli se avesse dovuto chiamare il dottore. A quel punto Messer Lóng andò su tutte le furie, si vestì e uscì insieme alla sua famigliola. Arrivarono quinti.

Donna Shé, il Serpente, e la sua famigliola avevano scelto con molto equilibrio il momento propizio per uscire. Si erano destati senza pensieri particolari, si erano dedicati alle attività mattutine, accurata toilette, esercizi di respirazione e allungamento, mantra e canti per facilitare l’equilibrio psico-fisico. Avevano fatto un’abbondante e sana colazione adatta ai loro bisogni nutrizionali e rispettosa dell’ambiente. I piccoli si erano preparati senza fare capricci, avevano ripassato le lezioni del giorno precedente per non rimanere indietro ad inizio settimana. Donna Shé aveva preparato un cestino colmo di prelibatezze e piccoli doni da regalare ad amici e conoscenti in occasione delle festività. Aveva confezionato piccoli oggetti di foglie di bambù portafortuna, li aveva infiocchettati con fiori di violetta selvatica. Le piaceva preparare doni, la generosità era una sua naturale propensione e non era un problema se gli altri non avevano la sua stessa delicatezza d’animo, ognuno aveva un lato positivo e un suo modo per dichiarare il proprio affetto agli altri, bastava non essere impazienti. Quando tutto fu pronto uscirono e arrivarono, sesti, né troppo presto né troppo tardi. 

Donna Mǎ e Messer Mǎ, i Cavalli, non stavano più nella pelle, da settimane fremevano per andare a far festa, si erano preparati per tempo e avevano estesamente parlato con tutto il vicinato, parenti e amici di come adornare i lunghi capelli, quale colore fosse più propizio e ovviamente si erano ampiamente informati su tutte le novità di relazioni, parentele, liti ma soprattutto su matrimoni e bimbi in arrivo e tutti quegli aspetti della quotidianità che rendono interessante fare una bella chiacchierata. Non che a loro mancassero mai gli argomenti, tanto che la famiglia Niú aveva sovente pensato che i Mǎ fossero imparentati segretamente con gli uccelli mattutini, anche loro non prendevano mai fiato quando c’era da parlare di qualche argomento e se non c’era niente di cui parlare, riuscivano a trovare qualunque spunto per intavolare una gaia e felice discussione. Chiacchierando chiacchierando, erano usciti di casa quando il sole era già piuttosto alto, nell’ora in cui pensavano che avrebbero trovato più interlocutori per la loro allegria ciarliera. Uscirono non senza aver fatto capire a tutto il vicinato dove si stavano recando quindi si avviarono di buon passo ed arrivarono settimi.

Messer e Donna Yáng, Capra e Pecora, si erano svegliati con comodo, dopo aver trascorso una piacevole serata tra amici. Avevano l’abitudine di organizzare una cena della vigilia e si divertivano molto a stupire i loro ospiti con preparazioni elaborate presentate sempre in modo particolarmente scenografico. Amavano distinguersi sempre per qualcosa di speciale e c’era in tutto ciò che facevano un’allure unica. Indossò una stola di lana dipinta da lei stessa con fiori di elicriso, mentre lui aveva sfoggiato una capigliatura a palco decisamente elaborata. I pargoli erano stati impeccabili nel recitare le poesie e tutto si era svolto nel modo sperato. Destarsi troppo presto non sarebbe proprio rientrato nel loro carattere, preferirono infatti crogiolarsi nel tepore soporifero dell’alcova per poi alzarsi e sistemare le decorazioni in modo da suscitare meraviglia e apprezzamento da parte di tutto il vicinato. Uscirono senza fretta, camminando con incedere elegante e pacato, si concessero un brunch nel locale più alla moda, frequentato da intellettuali e artisti, commentarono senza troppi pettegolezzi la serata e così facendo giunsero ottavi. Acquistarono lanterne in tono con la loro mise.

Donna Hóu la Scimmia s’era svegliata prima di Messer Shǔ il Topo e aveva lasciato che gli altri si preparassero e uscissero per la semplice curiosità di vedere che cosa avrebbero combinato durante il giorno di festa. Non tanto per curiosità quanto perché aveva deciso di stupirli con un’ingegnosissima invenzione che non avrebbe potuto presentare a dovere se non avesse avuto conferma dei suoi arzigogolati calcoli. Dire in cosa consistesse sarebbe un po’ come rovinare la sorpresa per cui sarà possibile affermare soltanto che effettivamente richiedeva non poca abilità per idearla, progettarla e realizzarla e oggettivamente bisognava riconoscere a Donna Hóu di aver scelto il momento giusto per presentarla. Si era, di tutta evidenza, preparata con grande cura, indossando un simpatico cappellino su cui aveva appuntato una targhetta col suo nome e aveva aspettato il momento propizio per uscire. A quell’ora il sole era alto già da un po’ e il cappellino le era tornato particolarmente utile. Uscendo incontrò Messer Hóu che l’aveva raggiunta giusto in tempo per assistere alla presentazione della sua invenzione e soprattutto alle reazioni di meraviglia che avrebbe suscitato. Arrivarono decimi.

Con la festività c’era un gran daffare, non si sarebbe mai riusciti a far tutto ciò che bisognava, a preparare tutto e c’era anche, addirittura, da prepararsi per arrivare in tempo. Messer Jī il Gallo era certo che sarebbero arrivati primi, chi volevi che si svegliasse a quell’ora di mattina, certamente non avrebbero trovato nessuno, non c’era proprio da agitarsi e correre di qua e di là come stava facendo Donna Jī. In fondo si erano organizzati per tempo, erano riusciti anche a far arrivare la Suocera nonostante tutto ciò che c’era da fare, organizzare, sistemare, aggiustare. Insomma in tutto quel trambusto erano riusciti, non s’era mai capito in che modo, a farla arrivare mentre il Suocero aveva preferito proseguire i suoi giri mattutini, andare a compare il giornale, leggerlo da cima a fondo comodamente seduto nel bar centrale tanto sapeva che sarebbero stati gli ultimi, o quasi, ad arrivare perché quell’impettito di suo genero non era mai riuscito a sbrigare tutto per tempo. Ebbe tutto l’agio di leggere anche il giornale sportivo, l’allegato scientifico e l’inserto culturale prima che la famigliola si decidesse ad uscire. Come aveva previsto, giunsero decimi, quindi terzultimi.

La famiglia Gǒu, il Cane, aveva approfittato della giornata festiva per godere un po’ di meritato riposo. Avevano lasciato spenta la sveglia e non si erano minimamente preoccupati dell’orario. Quando si destarono era già tardi e il sole si muoveva veloce nel cielo verso Ovest. Poco importava se in realtà era la Terra a muoversi e non il Sole, guardando il cielo l’impressione era proprio che fosse la nostra Stella a girare. Si prepararono con tutta calma, pigrando felici. La colazione era stata preparata la sera prima e consisteva in una nutriente e gustosa pietanza adatta a celebrare degnamente l’inizio di quella giornata che si preannunciava molto divertente. Si erano messi già d’accordo coi loro amici per incontrarsi anche se non avevano definito un orario preciso, una giornata di festa era prima di tutto un momento per recuperare le energie crogiolandosi nella propria pigrizia. Uscirono nel pieno della giornata e si dedicarono ad attività ricreative, quali andare a prendere il giornale con gli inserti festivi, leggerlo o quantomeno sfogliarlo, scovare qualche prelibatezza nelle botteghe di ghiottonerie e, fondamentalmente, bighellonare contenti e spensierati. Giunsero penultimi.


Per niente al mondo Messer Zhū, il Cinghiale, avrebbe lasciato a chicchessia l’onore di accompagnare la propria donzella, Donna Zhū, pertanto aveva iniziato a prepararsi di buon mattino. Era uscito dopo una breve toilette e si era recato di gran carriera dal barbiere per farsi tirare a lucido. Lì aveva chiacchierato del più e del meno e si era informato delle novità cittadine. Aveva chiesto informazioni su tutto, senza dimenticare nessuno, pensando che sarebbe stato scortese da parte sua non dimostrare il dovuto interessamento senza fare distinzioni. Con allegra baldanza si era dunque recato dalla fioraia dove aveva ordinato uno splendido mazzo di gerbere per la sua donzella e aveva fatto un salto nella cioccolateria belga all’angolo con il giornalaio. Fece confezionare una scatolina del più pregiato cioccolato, andando a scegliere le prelibatezze che sapeva ella avrebbe particolarmente apprezzato, tanto che era lì si concesse uno spuntino a base di croissant con crema di nocciole e cacao e una cioccolata in tazza con tripla panna. Quando bussò alla porta della sua amata venne accolto con un gran sorriso che lo inorgoglì le porse la mano galante, uscirono insieme e giunsero ultimi. 

sabato 12 novembre 2016

Zodiaco. Pesci (acqua)

Pesci (acqua)

Poseidone s’era svegliato un po’ acciaccato dall’umidità che filtrava dalla finestra che sua moglie Demetria aveva spalancato senza ricordarsi di chiuderla per accogliere il nuovo giorno e tutto ciò che di buono esso portava con sé. Il cappuccino profumato e denso che la sua dolce consorte volle portargli pietosamente e gentilmente a letto aveva lievemente attutito lo shock di doversi destare a tale ora del mattino che, qualunque fosse, non corrispondeva a quella dettata dai suoi bioritmi naturali ed era quindi inevitabilmente, inequivocabilmente troppo mattiniera. Invidiava moltissimo orsi e animali che riescono ad andare in letargo e odiava i gatti per la loro capacità di rilassamento assoluto. Non che li temesse, nonostante fosse nato sotto il segno dei pesci, però li guardava con una certa diffidenza, aveva sempre la sensazione che fossero animali di qualche altro pianeta o galassia o forse universo. Soprattutto Pegaso, che stava ronfando sui suoi piedi senza timore d’essere disturbato. Ebbe la tentazione di fargli qualche dispetto ma il cappuccino caldo lo distolse dai suoi intenti e gli infuse la forza necessaria ad alzarsi senza recare troppi traumi al suo allenatissimo corpo, snello e sempre in splendida forma. Si stiracchiò, infilò di corsa la porta del bagno per una bella doccia calda, avrebbe gradito anche un idromassaggio ma le goccioline di acqua tiepida per non dire bollente gli scivolavano sulla pelle rilassando i tessuti, un getto fresco li tonificava e poi di nuovo una temperatura adatta a star caldo tutta la giornata. Uscire dalla doccia era un piacere soltanto a patto di cospargersi di creme vellutate e profumati oli preparati artigianalmente con le erbe del giardino che coltivava con amore e dedizione insieme a Demetria. Si spazzolò i capelli con voluttà ed energia finché non ottenne la forma che aveva deciso che avrebbero dovuto avere, impiegò una buona mezz’ora nelle ritualità mattutine nella sala da bagno, quindi si preparò indossando un elegante spezzato di lana e cachemire con una camicia di seta blu, del medesimo colore delle scarpe, del borsello, dell’orologio da gilet e del nastro intorno al suo Borsalino originale regalo di compleanno che aveva apprezzato moltissimo. Cercò invano un fiore adatto da appuntare all’occhiello e si limitò ad indossare una spilla di lapislazzulo e argento brunito. Si guardò lungamente allo specchio e prima di uscire insieme alla sua famiglia, calzò guanti e ghette, indossò il mantello di loden tirolese. Spolverò il sellino della bici e ne spazzolò il telaio prima di inforcarla, si staccò per qualche momento dalla sua famiglia per una breve sosta dalla fioraia, che andò in brodo di giuggiole nel confezionargli un piccolo bouquet composto di tulipani e ranuncoli di straordinaria eleganza, e dal giornalaio, dove acquistò l’immancabile Settimana Enigmistica, un passatempo che lo aiutava a concentrarsi e la rivista della Reale Società Cartografica del Regno Unito. All’inizio in paese erano rimasti tutti quanti un po’ sbigottiti dalla sua indiscutibile eleganza ma poi ci si erano abituati con la stessa facilità con cui ci si abitua alla bellezza, a ciò che ci fa stare bene. Per Poseidone era una naturale attitudine, un modo di vivere, di rispettare sé stesso, gli altri e di affascinare ogni santo giorno la sua amatissima Demetria, l’unica donna che lo aveva sempre fatto sentire felice di essere sé stesso, di amare e di essere amato. Provava nei suoi confronti un sentimento di libertà e di benessere assoluti, sentiva di poter esprimere tutta la sua creatività e tutta la sua femminilità senza tema di essere frainteso. D’altronde Demetria aveva una fortissima componente ‘maschile’ pur nella sua prorompente femminilità e i due si integravano perfettamente. Non impiegò molto a raggiungere la sua famiglia, accelerando notevolmente la pedalata. Prima di entrare donò il bouquet a sua moglie, che sorrise morbidamente.

Per colazione prese un caffellatte schiumoso e un cornetto con crema di mandorle. 

venerdì 11 novembre 2016

Zodiaco. Aquario (aria)

Aquario (aria)

Marina e Marino erano fratello e sorella, non erano gemelli ma erano sposati rispettivamente con Gemino e Gemina e da molto tempo avevano smesso di cercare di capire le modalità comunicative dei loro consorti. Quella mattina si erano svegliati stiracchiandosi nel letto e avevano visto i due uscire come richiamati da un’atavica forza di attrazione di corpi e pianeti completamente differente da quelle studiate sui libri di scuola, così avevano deciso di andare a fare colazione insieme. Si erano preparati svolgendo rispettivamente esercizi di yoga antigravitazionale e di boxe motion, quindi avevano chiacchierato e si erano dati appuntamento al Fireplace dopo la doccia e i lunghi preparativi per coccolarsi estesamente. Tanto che c’erano, provarono gli innovativi prodotti che avevano scovato nella fornitissima erboristeria in centro. L’erborista li conosceva bene e trovava sempre il modo di incuriosirli con qualcosa di nuovo o qualche erba che non era ancora arrivata in paese. Erano stati i primi a cui aveva proposto il caffè verde, i primi a cui aveva presentato l’aloe e le proprietà nutritive dell’amaranto, gli unici cui aveva parlato di un tessuto creato con gli scarti dell’ananas, sapeva di trovare in loro gli interlocutori che qualunque erborista curioso vorrebbe incontrare almeno una volta nella propria carriera. Mentre erano impegnati nelle ritualità mattutine non persero di vista i notiziari e gli aggiornamenti su tutto ciò che poteva essere particolare, eccentrico. Da qualche tempo si erano decisamente incaponiti alla ricerca di artigianato di qualità e coinvolgevano i loro rispettivi coniugi in lunghe gite per stanare gli artefici di particolari assolutamente unici e inimitabili. Si erano convinti che la forma più moderna di innovazione fosse la produzione di qualità, possibilmente creata a mano da mastri artigiani italiani, il che non era del tutto falso. Il Fireplace era l’unico locale che soddisfacesse sempre le loro esigentissime richieste e sapeva far fronte ad aspettative molto alte. Oltre ovviamente a presentare una splendida selezione di artigianato locale e prodotti squisiti. Leonessa non ne aveva subito compreso le potenzialità, era stato più che altro Cernunno a farle notare che Marina e Marino erano irresistibilmente attratti da tutto ciò che era nuovo. Se c’era un tavolo appena giunto nel locale, loro erano quasi certamente i primi ad utilizzarlo, se ella portava un nuovo gioco erano loro e non, come aveva sempre pensato, Gemina e Gemino a provarli, se c’era qualche ingrediente insolito erano all’avanguardia nel testarli e i loro discorsi vertevano pressoché sempre su questioni particolari, differenti. Forse Leonessa non se n’era accorta di primo acchito perché quello era un lato del suo carattere che la spingeva ad agire istintivamente senza neanche ben rendersene conto e Cernunno amava profondamente quella sua intrinseca capacità di capire sempre qualcosa di ulteriore. Marina e Marino non indossavano mai gli stessi abiti e se lo facevano riuscivano con un dettaglio, un monile o un accessorio a dare l’impressione che fossero appena usciti dalle passerelle fashion dell’anno successivo a quello in corso. Erano perfetti insieme ai gemelli perché erano fondamentalmente eterni bambini in cerca di giochi con cui divertirsi a vivere un’esistenza di per sé straordinaria. Erano usciti in bici, non una qualunque, beninteso, bensì una bicicletta costruita ad hoc dallo stesso artigiano che aveva realizzato quella di Savio su disegno del designer danese. Ambedue avevano valutato attentamente l’ipotesi di una bici coperta ma alla fine avevano optato per un modello aperto e fortemente personalizzato con leghe ultraleggere e appariscenti cestini da manubrio col loro nome creato artigianalmente. Tra l’altro la bici coperta avrebbe richiesto l’intervento di un solo artigiano mentre loro erano riusciti a coinvolgerne sei per costruire il loro velocipede e questo era stato molto più divertente.
Arrivarono al Fireplace sulle loro due ruote, entrarono portando una ventata di novità e trovarono i gemelli intenti a chiacchierare intensamente senza profferir parola udibile con le orecchie e non con il cuore.

Si riunirono ai loro consorti incuriosendosi della scatola magica piena di giochi e poi, senza bisogno di ordinare, Leonessa portò loro ciò che ancora non era nel menù, per farglielo assaggiare e avere un parere, cosa che li riempì di gioia intensa.