martedì 24 novembre 2020

La bambina impertinente

 

La bambina impertinente

 

C’era una volta e c’è ancora un bellissimo paesino arroccato sul cocuzzolo di una collina che ama definirsi montagna. Sulle carte è solitamente indicata col nome di ‘poggio’, ‘colle’ o ‘monte’ ma la collina si sentiva alta almeno quanto il Monte Everest, se non di più, beh, almeno almeno quanto il Monte Bianco o il Kilimangiaro, snella e graziosa come il Cervino e più colorata delle Dolomiti. Insomma, si può dire senza tema di smentite che la collina sul cui cocuzzolo è arroccato il paesino ha un’alta opinione di sé. E gli abitanti? Ah anche loro. La casa di ogni abitante è considerata da chi la abita la più bella, la più grande, la più lussuosa. Le scarpe e i vestiti che indossano sono più eleganti, comodi, resistenti, attuali di qualunque altro abito o calzatura mai indossata. Va da sé che ognuno di loro si sente il più bello e la più bella tra i belli e le belle, il più intelligente e la più intelligente tra gli intelligenti e le intelligenti, il più sapiente e la più sapiente tra i sapienti e le sapienti. Un giorno giunse nel paesino arroccato sulla collina che ama definirsi montagna un gruppo di turisti. Nessuno ne aveva mai visto uno tra quelle viuzze e grande fu la curiosità. Dalle finestre aperte o socchiuse occhi furtivi spiavano i movimenti del gruppetto finché la più alta autorità del paese, l’ostetrica che lavorava nel vicino ospedale, si presentò. “Buongiorno” – esclamò schiarendosi la voce. “Buongiorno”, risposero in coro i turisti poi uno di loro chiese: “Mi scusi, c’è per caso un bar da queste parti?”. “Ma certo! C’è il Gran Caffè in piazza – rispose la più alta autorità del paese – se volete posso accompagnarvi, forse siete forestieri e non conoscete le strade”. “Ah grazie ma non si incomodi, il paesino è talmente piccino che non c’è pericolo di potersi smarrire”, rispose un turista ignaro dell’effetto che le sue parole avrebbero scatenato. “PICCINO????” Chiese un gran numero di voci dalle finestre ormai spalancate sugli impertinenti forestieri. Gli unici due automobilisti che affollavano la via centrale creando un ingorgo di traffico mai visto da quelle parti scesero dalle vetture increduli. I turisti erano viaggiatori avvezzi alle stranezze dei luoghi ma non si aspettavano di certo una tal reazione. Una di loro, una bimba molto intelligente e piccina, cercò di rimediare agli errori degli adulti. “Oh, scusate cari abitanti di questo graziosissimo borgo, avete ragione, questo luogo non è piccino è il più bel borgo tra i piccini su tutto il territorio nazionale. È decisamente quello che si definisce un gioiellino perfettamente incastonato nel suo ambiente naturale e noi siamo molto onorati di poterlo visitare.”. A quelle parole gli abitanti si addolcirono e da quel giorno si accorsero che ogni luogo che si ama davvero è il posto più bello di tutti.

venerdì 20 novembre 2020

Giulia e Triziano al parco giochi

C'era una volta e c'è ancora un paesino molto bellino vicino ad un fiume e ad borgo antico davvero carino. In questo luogo pittoresco c'è un parco giochi creato ad arte con un elefante multicolore, alberi, panchine, labirinti di pietre, un bel prato, un panorama mozzafiato e una fontanella. Un giorno d'autunno, quando gli alberi si vestono e svestono di mille colori, dal rosso al marrone, dal giallo al verde, dall'ocra all'arancione arrivarono Giulia e Triziano, con una bottiglia di acqua gialla, rossa e blu. Giocarono per ore col labirinto, lanciandovi dentro le rotonde pigne degli alti pioppi, si arrampicarono con gli scoiattoli sull'elefante multicolore e si rincorsero sul prato umidiccio coperto di foglie fino a che l'elefante si mise a ridacchiare. "Voglio proprio vedere se riuscirete a passare sotto le mie zampone senza farvi male", disse l'elefante Annibale. Giulia e Triziano ci pensarono un po' e poi attraversarono un tunnel che era proprio sotto la montagna su cui poggia l'elefante. I due bimbi fecero una linguaccia all'elefante Annibale e poi si misero a giocare a cucù settete. Il sole era alto ma le ombre si allungavano sempre più era ora di una gustosa merenda davanti al fuoco con bruschetta, olio, aglio e pomodoro.

giovedì 19 novembre 2020

Un pranzo singolare e una giornata da ricordare

C'era una volta e c'è ancora un meraviglioso e antico borgo frequentato da varia umanità, tra cui mercanti, artigiani, curiosi e turisti. Nel borgo vi sono botteghe, gatti, ciottoli, baretti e un ristorante molto particolare con tante tipicità da gustare. Un giorno un bimbo di nome Bartolomeo entrò nel ristorante e chiese al ristoratore di mangiare qualcosa di buono. "Benissimo", rispose il ristoratore, " Dove ti vuoi accomodare?". "In un luogo da ricordare", disse il bimbo. "Ah c'è un posto davvero speciale", rispose il ristoratore e lo fece sedere su un bellissimo lampadario di legni, vetro e ferro battuto, era davvero una sistemazione singolare. Sul lampadario era già arrivata una bimba di nome Isabel che aveva una treccia bionda che partiva dalla fronte e due bellissimi occhi azzurri come il limpido cielo invernale. Su un lampadario poco distante chiacchieravano e cantavano Triziano e Giulia. Ve n'era poi un altro con Mariachiara, dalla schietta risata cristallina, e Violetta che non voleva giocare coi bimbi più piccoli, insomma era un ristorante piuttosto affollato. Bartolomeo ne fu molto contento, il ristoratore prendeva gli ordini dabasso e mandava su un piatto alla volta con un congegno alato di sua invenzione preparato con bucce di aglio. Tutto d'un tratto Triziano ebbe un'idea: "Giulia, vuoi ballare?", domandò "Siii", esclamò Giulia. E fu così che aprirono le danze con un bel valzer, gli altri bimbi timidamente li seguirono e tutti i lampadari cominciarono a dondolare. Giù in basso qualcuno con poca immaginazione si mise a gridare: "Si muovono i lampadari, è il terremoto, bisogna scappare!". Il ristoratore ebbe un gran daffare a rassicurare quell'avventore: "Non vi dovete preoccupare, sono soltanto i bimbi che mangiano sul lampadario, si sono messi a ballare!". Tutti alzarono gli occhi al soffitto e scoppiarono in una gran risata, poi cominciarono a danzare e infine di ritrovarono a giocare nel vicino parco giochi. Quella fu proprio una giornata da ricordare!

mercoledì 18 novembre 2020

Storielle di sport. Nettie e Dixie

 

Nettie e Dixie

 

C’era una volta e c’è ancora un paesino su un’isola a forma di pera, al di là del mare, oltre il Canale della Manica. L’isola a forma di pera, o di naso, si chiama Gran Bretagna e vi si parla la lingua inglese, c’è il London Bridge che si teme sia un po’ instabile, in quanto tende a cadere, double-decker bus, cioè autobus a due piani e autobus con le ruote che girano in tondo. In questa landa così peculiare, abitavano una pantera e una leonessa. I felini di grandi dimensioni sono animali alquanto insoliti a quelle latitudini e con quel clima piovoso ma Nettie e Dixie non avevano assolutamente paura delle difficoltà e non si curavano punto di quel che diceva la gente. Un bel giorno di primavera Nettie e Dixie si misero in testa di organizzare niente meno che una partita di pallone, o di football come si chiama da quelle parti e coinvolsero i gatti della città, dividendoli tra gatti che abitavano a Sud e gatti che abitavano nel Nord. La partita fece un gran clamore e arrivarono giornalisti da tutta la contea, molti risero, altri commentarono ‘Ma cosa pensano di fare quei felini?’ ma da quel giorno lontano nel tempo nell’isola a forma di pera o di naso si organizzano tornei di calcio felino e tutti pensano che Nettie e Dixie fossero un po’ pazzerelle per il loro tempo e molto molto divertenti e intelligenti.


Liberamente ispirato a Nettie Honeyball e Lady Florence Dixie

domenica 8 novembre 2020

Nuri e Ninnone

 

C’era una volta e c’è ancora un bellissimo borgo con una lunga storia.

È un borgo come ce ne sono tanti, con la piazza, il castello, re, imperatori, eroi e briganti e a Nuri piace tantissimo.

Quando cammina per le viuzze e le piazzette, si avvicina al Monumento, si gira di scatto tutto contento per aver incontrato un suo amico oppure strepita pensando di poter acciuffare qualche felino baffuto, si sente forte come un leone nel suo regno di pietre e torrette.

Nuri non ha molto il senso della proporzione e non si accorge di essere poco più grande di un seme di melone.

Certo non è piccolo come una mentina ma, perbacco, neanche grande come un orso, un cavallo o un alano.

A dire il vero, la colpa è anche un po’ del suo amico umano, Ninni, da tutti chiamato Ninnone perché è un omone, il più alto, forzuto e grosso del paese, anche se in realtà non molti sanno che è un piccolissimo gigante. Tutti lo temono ma chi lo conosce sa che ha un cuore d’oro, sempre incline a sorridere e a far tesoro di un’amicizia o di una parola gentile.

Nuri non capiva come si potesse aver paura di Ninnone, che è tanto premuroso!

Lui, piuttosto, dovrebbero temere, ah, sì, soprattutto se in braccio a Ninnone: da lì Nuri vede tutto dall’alto e potrebbe dare un gran pugno sul naso a quel gattone grigio oppure intrufolarsi in macelleria e divorare in un sol boccone tutti gli hamburger e rosicchiare tutti gli ossi ma… appena Ninnone lo posa a terra Nuri trema come una fogliolina spaurita finché un giorno d’autunno incontrò un pettirosso che a lui sembrava più grande di un’aquila reale.

“Cip cip ciao!”

“Bau bau ciao!”

“Perché tremi?”

“Iiiiiooo? Noooo”

“Ah beh, pensavo ti spaventasse qualcosa, comunque io sono il pettirosso Rubecola”

“Piiiiiacere io sono Nuri”

“Sono arrivato da poco, ho appena finito la mia prima migrazione”

“Ah beh, questo è molto interessante e perché ti sei spostato da dov’eri?”

“Ah era troppo freddo”

“Anch’io sono freddolosissimo”

Mentre parlavano percorsero un bel pezzo di strada insieme, Ninnone non si era accorto che Nuri se ne fosse andato a zonzo, anche perché non si allontanava mai e lui si era assentato soltanto un minuto per entrare in una bottega del borgo ad acquistare un maglioncino per il suo amico a quattro zampe.

“Beh, Nuri, ora ti saluto, devo tornare al mio nido sull’albero”

“Ci rivedremo?”

“Chissà”

“Ci siamo allontanati tanto?”

“Un po’”

“Ma io… come faccio a tornare da Ninnone?”

“Oh, non è un mio problema, ora devo andare. Cip cip ciaoooo”

 

Nuri era disperato, camminò per viuzze e piazzette, si intrufolò negli androni, incontrò il temibile gatto grigio e si appiattì contro un muro per non farsi vedere, per fortuna il felino era troppo impegnato a chiacchierare con un altro tipaccio bianco e nero per accorgersi di lui e infine ritrovò Ninnone, che continuava a chiamarlo.

 

“Nuri, dove sei stato?”

“Bau”

“Già, tu non sai parlare, ma ecco, guarda, ti ho comprato un bel maglione!”

“Arf arf”

 

Nuri non parla mai con Ninnone per non deluderlo: è convinto che i cani non abbiano tale facoltà, per cui, per compiacerlo, comunica con lui con semplici suoni ma da quel giorno non seguì più né pettirossi, né aquile e se ne andò in giro felice e contento col suo maglione nuovo fiammante.

mercoledì 4 novembre 2020

Il pettirosso e la porta alchemica

 

Il pettirosso e la porta alchemica

 

C’era una volta e c’è ancora un bellissimo parco nel bel mezzo di una città secolare dove è possibile ammirare alberi che provengono da ogni dove. La città fu fondata da Romolo, il fratello gemello di Remo, oltre 2700 anni fa e il giardino si trova al centro del Quartiere Esquilino, a Piazza Vittorio, un luogo ricco di storia e di storie da raccontare, oggigiorno conosciuto soprattutto per essere il centro interculturale di Roma. Pochi sanno che in questo luogo, dove si incrociano vie e sentieri, vi è una porta magica che può essere aperta soltanto da chi ha conoscenza di alcuni saperi. Un bel giorno, pensa un po’, un pettirosso vi si posò, recitò la formula alchemica e la porta si aprì, dando adito ad un mondo di suoni, sapori e colori.