AUTUNNO Comtessa de Dia
«Bels amics, avinens e bos,
Cora.us tenrai e mon poder?
e que jagues ab vos un ser
e qe.us des un bais amoros!
Sapchatz, gran talan n'auria
qe.us tengues en luoc del marit,
ab so que m'aguessetz plevit
de far tot so qu'eu volria»
«Mio bello e dolce amico,
quando verrà l'ora che sarete mio?
e una notte con voi restare
per darvi un amoroso bacio!
Sappiate che grande è il desio
di avervi nel mio letto [coniugale],
purché giuriate in pegno
di fare ciò ch'io voglio»
Beatriz,
Comtessa de Dia
Il sole filtrava curioso tra le foglie
rosse, arancioni, gialli e verdi della valle quasi a voler giocare con il bosco
vestito coi colori del fuoco. L’arietta frizzante e l’odore umido arrossavano le gote di adulti e fanciulli intenti nella ricerca di gustose
castagne, funghi, bacche e prelibatezze autunnali. I caminetti spandevano
nell’aria pulita dalle prime piogge di stagione l’aroma inconfondibile del
legno asciugato dal sole estivo e la fragranza di marmellate, composte di
frutta, conserve e castagnaccio. Nelle botti si riponeva ad affinare il vino
novello per impreziosirlo dell’ambrata meraviglia autunnale e conservare il
sapore pieno dei raggi estivi racchiusi negli acini sodi, dorati e rossi
dell’uva settembrina. Gli abitanti del borgo e del bosco erano affaccendati in
mille faccende e a malapena facevano caso l’uno all’altro, tanto c’era da fare,
sistemare, aggiustare, preparare. Come se non fosse bastato il trambusto
autunnale, si aggiunse l’annuncio dell’araldo per una gran festa organizzata
dalla Comtessa de Dia. Anche se né gli abitanti del borgo né quelli del bosco
sarebbero stati invitati al palio e le attività del castello erano ben
discoste da quelle valligiane, questa volta l’araldo aveva richiesto
espressamente che ogni villaggio cuocesse un pane dolce o salato che avesse
una bella forma e fosse preparato con amore nel centro del paese. Inutile dire
che cosa avesse comportato tale richiesta ma a questo punto non dovrebbe più
essere un mistero la frenesia che percorreva come un fremito di passione il
borgo e il bosco. Calduc veniva interpellata anche per la più piccola foglia,
ghianda o bacca e dovette chiedere aiuto a Brizeida e Azalais, le quali già
avevano capito che ci sarebbe stato bisogno di loro. Il saggio del villaggio
decise che il prete e la perpetua non potevano non essere informati della
richiesta per cui fece buon viso a cattivo gioco e chiese con furba aria umile
di poter utilizzare la sagrestia e la campana per coordinare i lavori, non gli
venne concessa né l’una né l’altra ma in compenso aveva trovato il modo di
togliersi dai piedi il prelato, che avrebbe altrimenti ficcato il naso nelle
questioni del borgo e, ancor peggio, in quelle del bosco. Il maniscalco Daude
era impegnato a cercar di capire in che modo costruire una teglia con la forma
che voleva Calduc e a Cossezen dolevano i piedi per le corse che doveva fare
dalla bottega di Daude alla cucina di Calduc schivando questuanti di ogni sorta
che portavano bacche, foglie e prelibatezze. Ot e Bieris erano intenti ad
aromatizzar castagne nel mosto cotto e speziato mentre Mirabai trasformava
fiori e bacche in dolci sculture con un’abilità che nessuno sapeva bene da dove
provenisse. Non s’era ben capito cosa sarebbe accaduto nel castello ma si
vociferava che ci sarebbe stata una giostra o un palio con cavalieri da ogni
angolo del regno, tant’è che per precauzione a Daude era stato chiesto di
rinforzar chiavistelli e catenacci, e che sarebbero arrivate dame e madonne da
luoghi lontani. Nessuno poteva immaginare che vi sarebbe stata un’importante
riunione del tribunale dell’amor cortese, che, com’è noto, disquisiva di questioni riguardanti gli amori cortigiani e le
rigidissime regole di comportamento collegate al nobile sentimento. La comtessa,
fine musica e poetessa, s’era infatti innamorata e, dopo anni di vuote attività
matrimoniali, aveva finalmente trovato un cavaliere che sapeva destare in lei
il fuoco vivace della passione più sincera. Un tale evento andava celebrato,
seppur con la dovuta discrezione, per non urtare la suscettibilità del marito,
il quale, dal canto suo, benediceva mentalmente il cavaliere amato da Beatriz,
sua moglie. Lo avrebbe così lasciato libero di godersi la sua vita amorosa,
ispirata più ai costumi dell’antica Grecia e dell’Imperatore Adriano che a
quelli mirabilmente cantati dalla sua splendida, seppur per lui molto poco
attraente, consorte. Di Beatriz apprezzava fortemente le capacità canore e la
sensibilità d’animo espressa in tenson e cansos accompagnate con maestria dalle
diafane dita danzanti sul melodioso flauto, attività che suscitava in lui pensieri
di amorosi e segreti amplessi col suo cavalier servente. La notizia, seppure
non avrebbe mai dovuto giungergli all’orecchio, gli era ovviamente arrivata con
la velocità di una saetta. L’innamoramento corrisposto di Beatriz lo aveva
decisamente messo di ottimo umore ed era stata sua l’idea di chiedere ai
villaggi del regno la creazione di un pane, dolce o salato, per l’occasione.
Segretamente l’aveva dedicato, in un eccesso di passione, al suo amato, il
quale casualmente era al servizio della comtessa e aveva accolto con un moto di
sincera felicità l’amante della trobaidiriz, con l’abilità di un confidente che
vede finalmente rimosse tutte le barriere per poter vivere con serenità, seppur
con le dovute precauzioni, un amore pieno e felice. Tutto avrebbe dovuto essere
eccezionale. L’idea, assurda per l’amor cortese, di un matrimonio fondato sui
sentimenti e non vincolato da trattati e clausole scritte a chiare lettere
aveva stimolato Beatriz a comporre senza tregua e si era anche profusa
nell’organizzazione del palio consigliata dall’amante segreto di suo marito, il
quale era attento ai minimi dettagli, come se si fosse trattato del suo
sposalizio col marito della comtessa. Aveva chiesto agli artigiani più rinomati
di confezionare gioielli e vestiti per l’occasione e aveva rinnovato il
guardaroba della sua corte, cosa davvero strabiliante. Tutto doveva essere
perfetto per accogliere la passione nella sua vita, per questo voleva che il
tribunale suggellasse e validasse a suo modo tale gioia. Seppure chiunque
sappia che un tribunale d’amore non è in alcun modo simile alle tristi e
sconsolate riunioni che condannano alla prigionia o ridanno luce di libertà
agli uomini, le sue decisioni erano tenute in altissima considerazione e
contravvenire a quelle che potevano essere considerate alla stregua di vere e
proprie sentenze poteva portare discredito, disonore e talvolta alimentare
quelle scaramucce tra consanguinei di alto rango. La comtessa trascorreva ore
intere a limare, aggiustare, sistemare le parole delle canzoni con le quali
avrebbe dichiarato il suo amore corrisposto, seguendo a puntino tutte le regole
dell’amore cortese. Dopo lunghe giornate si trovava spesso a scrivere e comporre
alla fioca luce del lume e delle candele fino a che si trovò, quasi senza
accorgersene a danzare con loro, immaginando, era sogno o realtà?, le dame e i
cavalieri che si sarebbero pronunciate su ciò che per lei significava così
tanto. La fiammella si trasformò in una danzatrice di grandissima abilità, le
candele presero forma e cominciarono un ballo dionisiaco, le stesse
parole sembrarono esprimersi in forma compiuta ed ella ballò, con la forza del
cristallo, la densità del vetro in cottura, la luminescenza delle foglie nel
pieno dell’autunno. Si svegliò la mattina curva sullo scrittoio, una candela si
era sciolta creando la forma angelica di un danzatore con lunghe ali. Bussarono
alla sua porta per farle vedere i doni e quando arrivò il pandolce creato dalle
sapienti mani di Calduc, decorato con i fiori e le bacche glassate da Mirabai,
confezionato con il panno magico tessuto dagli abitanti del bosco ebbe la
certezza assoluta che tutto sarebbe stato perfetto.