martedì 13 settembre 2016

Carmen de Burgos * Columbine, la tertulia modernista

Carmen de Burgos * Columbine, la tertulia modernista

I riccioli ribelli di Carmen non ne volevano proprio sapere di stare a bada. Irrequieti, vivaci come i suoi occhi sempre pronti a dare il via ad un sorriso che le scoteva il generoso petto e dissipava qualunque dubbio. Sarebbe bastato guardarla per qualche istante per capire, sarebbe stato necessario leggere tra le righe dei suoi scritti per comprendere che proprio non era possibile farla stare zitta, evitare di farle esprimere le sue idee. Lei zitta non c’era mai stata, aveva sempre trovato il modo di dire la sua, di far valere opinioni e di mettere in luce la verità, la sua verità a volte ma più spesso la descrizione della realtà osservata da occhi di donna che sa rincantucciarsi in un mercato vociante per capire la società in cui vive.
Il trasferimento da Madrid a Toledo, la patria dei coltelli che lei esortava ad utilizzare come strumento di nutrizione anziché quale arma offensiva, era evidentemente un modo per farle terra bruciata intorno, per toglierla da quell’ambiente in cui le sue idee erano semi di libertà, bosoni del libero pensiero e di una società aperta, profondamente moderna perché progressista, liberale, libertaria e rispettosa dei diritti umani, nel senso di tutta l’umanità e non soltanto degli uomini, fondamentali.
Carmen era nata e cresciuta nel deserto bianco del Sud della Spagna, aveva conosciuto la meraviglia e l’orrore, la serenità e la tristezza, conosceva l’animo umano e sapeva scrutare, raccontare e conoscere la società in cui viveva. Aveva sempre avuto, sin da bambina, l’oceano nello sguardo, bramosia di qualcosa che non è facile da definire eppure c’è e ha a che fare con la necessità di essere pienamente, di vivere una vita attiva e completa, di conoscere ciò che travalica le convenzioni e la consuetudine, parola che le faceva venire letteralmente l’orticaria, dell’oppressione.
Poco meno di duecento chilometri non sono una distanza troppo complicata da percorrere, foss’anche a piedi, a dorso di mulo, su uno sgangherato carretto o su un’improbabile diligenza, soprattutto se il motivo che ha determinato la distanza in questione è un tentativo di allontanare la suddetta persona dall’attività culturale, sociale, politica, civile perché donna e libera pensatrice.
Toledo e Madrid sono divise da una settantina di chilometri, possono essere scomodi da attraversare, soprattutto in mancanza di mezzi adeguati e delle moderne comodità ma per Carmen erano una passeggiata, una gita fuori porta per una colazione sull’erba.
L’avevano trasferita da Madrid a Toledo per farla tacere, da zelanti portaborse, e lei aveva gridato con la forza di una gitana fiamminga che sommerge la Spagna col ritmo irresistibile della sua voce e del suo flamenco.
Armata di un solido ventaglio in estate e di un robusto ombrello nella stagione fredda non s’era fatta venire neanche un raffreddore quell’anno pur di non mancare alla tertulia modernista che aveva organizzato con i suoi amici intellettuali, artisti, liberi pensatori.
D’altronde non aveva intenzione alcuna di sopportare silente gli sberleffi e le prese in giro dei suoi amici se non fosse arrivata. Ah! Che senso di libertà si respira in una tertulia. Non si lasciano tracce scritte, se non qualche cerchio di vino tinto sulla tovaglia, si parla, si ride, si canta e si scherza. Si può parlare di qualunque argomento, si possono esprimere le proprie idee sull’arte, sulla società, sull’amore. In effetti è proprio una cosa tutta spagnola, anche se a Carmen era venuta l’idea di costituirne una dopo essere stata in Francia, un misto tra un simposio dell’antica Grecia, un salotto letterario e una chiacchierata intorno al fuoco a raccontarsi ninnenanne e leggende.
Erano anni in cui la libertà non era ancora così odiata, non c’era troppo da temere per la propria incolumità a discorrere di libri, film, articoli, pensieri, idee.
Di lì a qualche anno chiacchierare troppo liberamente sarebbe stato pericoloso e in taluni casi fatale, forse lo fu anche nel suo caso, nonostante la rete di amicizie e protezioni che aveva saputo costruire in tanti anni in cui non s’era mai persa d’animo. Immaginare che il malore che la colse nel ‘32 non fosse soltanto il frutto di tanti combattimenti che avevano lasciato il segno nel suo corpo protetto dai grossi seni, bensì un ben collaudato metodo per togliere di mezzo chi ‘disturbava’ o ‘ostacolava’ il cammino della rivoluzione, fosse essa rossa o nera o multicolore, poco importava visto che le metodologie e i risultati erano poi tanto simili da sembrare l’espressione molteplice della stessa deviazione del pensiero, dell’azione, del concetto e dell’idea stessa di Stato, forse non è poi così azzardato. Di lei sono state cancellate talmente tante tracce da rendere difficile far altro che immaginare che qualcosa di simile a quello che accadde a Tina Modotti sia capitato pure a Columbine, anche se il ‘Soccorso Rosso Internazionale’, la longa manus segreta staliniana, ufficialmente arrivò in Spagna due anni dopo la sua dipartita e quattordici anni dopo l’inizio del Ventennio fascista.
Quegli anni erano ancora lontani, non così remoti da non influenzare l’atteggiamento nei confronti di chi lottava per l’affermazione di diritti universali, per la creazione di società aperte, democratiche, moderne.
Dall’altra parte del Mediterraneo i Futuristi contrapponevano la modernità alla pace. Il rombo degli aerei da guerra erano per loro espressione di contemporaneità, i rumori bellici e meccanici il sottofondo musicale di una società in cui le donne dovevano essere relegate a dir poco a ruoli marginali, inconsistenti e l’etica ‘maschia’, guerresca e ardita, arrogante e violenta era l’unica che erano riusciti ad immaginare, seppur nella loro fervida creatività artistica che formalmente era innovativa ed è tuttora molto interessante anche se, certamente, le parole di Filippo Tommaso Marinetti e le immagini di Fortunato Depero non avranno mai la forza dirompente e assolutamente moderna delle idee libere di Columbine e della sua tertulia.
Aveva anche abbracciato la Massoneria di buon grado, diventandone Gran Maestra, cosa che la mise in contatto con altre donne, femministe, letterate, pericolosissime libere pensatrici ammirate e osteggiate anche pubblicamente per la sfacciataggine con cui osavano parlare di uguaglianza, fratellanza, libertà. Forse la creazione della Loggia Amore fu la sua nicchia di salvezza per molti anni, finché un giorno, durante un incontro del Circolo Radicale Socialista ebbe un malore ma questa è un’altra storia che poco ha a che vedere con l’allegrezza spensierata e felice della tertulia madrilena animata da Carmen de Burgos, dove, tra l’altro, le accadde qualcosa di molto simile a quello che Arturo le aveva negato. Scoprì l’amore, o comunque la tenerezza dell’amare, nel giovane volto di Ramón Gómez de la Serna, allora appena diciottenne, un ragazzo di quasi vent’anni più piccolo di lei, arguto e con un’ironia che si integrava perfettamente con quella di Carmen.  
La relazione tra i due durò molti anni, lei lo fece avvicinare al suo universo di debolezze pian piano, riuscì a capire, forse, il piacere dell’amore, la piacevole bellezza che esso può generare nel momento della sua espressione più assoluta, l’oceano nel suo sguardo si placò, per quanto si possa placare la forza immensa del mare e con ironia e dolcezza imparò ad aprire la coriacea corazza di incomprensioni e cattiverie che Arturo le aveva confezionato e cucito addosso, poté finalmente esprimere la gioia e vivere appieno la sua vita di donna, femminista, intellettuale, persona.
Non ebbe paura con Ramón, con lui niente aveva il sapore della frustrazione e dell’incomprensione e tutto si poteva risolvere con una battuta arguta, una di quelle greguerías che l’avrebbero reso celebre.
Ciò che fu detto e agito nella tertulia rimane, fondamentalmente, una memoria sincera nel ricordo di chi vi ha preso parte. Dai frammenti si potrebbe ricostruire qualche suggestione ma in realtà è tutto avvolto nell’impermanenza del momento presente, come la musica e la danza esiste soltanto nell’istante in cui viene suonata o ballata, non un attimo prima né un istante dopo, così la tertulia modernista fu azione presente.
Vi furono ovviamente delle creazioni successive a quelle riunioni, che diedero il via anche alla Revista crítica in cui si possono intuire le risate e le prelibatezze accompagnate da buon vino, ma niente di ciò che venne effettivamente vissuto può essere ricreato al di fuori di quelle ore di assolutezza e fantasia.
Non fu chi cercò di soffocare la luce tremolante delle candele in una sala da ballo sostituendo al movimento sinuoso e ritmato il passo pesante e rozzo di militari che ancora non avevano capito che i coltelli servono per cucinare, non per ammazzarsi vicendevolmente, bensì il canto felice e spensierato a superare l’esame della Storia e ad arrivare con la forza delle onde dell’oceano fino a noi. Il duende che animava la tertulia modernista travalicò incomprensioni e decenni per giungere ai nostri giorni quale ispirazione del pensiero contemporaneo.
Le parole nella tertulia modernista erano fiammelle danzanti di vitalità.
Le parole di Carmen de Burgos si mescolavano al vino e alle risate nell’esperienza del vivere.
Le parole di Carmen potevano anche essere silenzi ma non sono silenziabili.
Le parole di Columbine sono la risata schietta di un gruppo di amici intorno ad un tavolo imbandito di cibi, vino, idee e libertà.
Le parole di Carmen de Burgos, che ha dovuto utilizzare pseudonimi perché donna, scrittrice, intellettuale, femminista sono vita attiva nella levità spensierata di una serata in compagnia e dell’amore che ritrova la sua forza.

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