PRIMAVERA Gli ebrei erranti
Era quella la stagione in cui tutto
sembrava risvegliarsi, gli animali andavano in amore, i fiorellini sbocciavano
sugli alberi profumando l’aria con i pollini raccolti dalle api bottinatrici, e
il prete vigilava con solerzia sulla tranquillità del borgo, sia mai la troppa
allegrezza si fosse trasformata in libera espressione di gioia, peccato contro
le divine e sacre scritture. Di tutta evidenza era anche quel tempo in cui chi
ama non riamato immalinconisce ma quell’anno non vi fu tempo di tramutare la
malinconia in tristezza, il morbo dell’animo tanto temuto, perché giunse al
villaggio un gruppo di esuli ebrei in fuga dalla città di Narbona dove
infuriava una battaglia per la successione e quindi i primi contro cui si erano
scagliate le fazioni rivali erano stati proprio loro, colpevoli di aver fatto
crocifiggere Gesù e quindi perseguitati per principio, per picca, per ripicca e
per puntiglio nella infinita diaspora del popolo di Abramo.
Avevano così narrato la loro storia chiedendo
asilo per il tempo necessario a spostarsi verso più miti e favorevoli luoghi: «I
giorni di Rabbi Todros […] furono tempi di grande calamità per la città, poiché
il signore di Narbona, Don Aymeric, venne ucciso nel corso della battaglia di
Fraga, senza lasciare eredi [che gli sopravvivessero], e il governo della città
venne lasciato nelle mani di Donna Esmeineras [Ermengarda], ancora minorenne,
terza [dei suoi tre figli]. E i grandi paesi ambivano alla sua eredità, in
quanto [la viscontea] è grande e ricca, e la persuasero dunque con tutte le
loro forze a sposare il signore di Tolosa, Don Alfonso. Ma il conte di
Barcellona, Raimondo Berengario, nemico di questi e parente di Donna Esmeineras
persuaderà costei a rifiutarne la mano, consigliandole di sposare Don Bernardo
d’Anduze. Si scatena così una guerra che vede la città divisa in due fazioni:
una metà appoggia la viscontessa e i suoi consiglieri, mentre l'altra si
schiererà con il conte di Tolosa, Don Alfonso. Ora, prima [di questi
avvenimenti], vi era a Narbona una grande comunità ebraica di circa duemila
unità, tra cui grandi [personaggi] e studiosi di fama mondiale. A causa di
queste lotte, essi si disperdettero nel territorio di Anjou, di Poitou e in
Francia. Durante questa guerra un pesante tributo fu imposto alla comunità
[ebraica]»[1]
Il saggio del villaggio, di comune
accordo con gli abitanti del borgo e del bosco, aveva pensato che non sarebbe
stato possibile celare agli occhi indiscreti di prete e perpetua un’intera
carovana di ebrei i quali, dal canto loro, non avrebbero acconsentito a sentir
messa turandosi le orecchie con la cera come avrebbero dovuto sopportare più tardi
durante le prediche romane facendo finta di essere cattolici. D’altronde non
avrebbero costituito per il borgo un gran pericolo. Si decise di andare dal
prete e, con un’abilità che ottenne l’ammirazione incondizionata del rabbi e
finanche delle più manipolatrici madri di quegli ebrei erranti, il saggio del
villaggio parlò.
“Oh Signur, oh Signur!”
“Che c’è? Perché invochi l’Altissimo senza
un motivo?”
“Oh Signur, ooooooh Signur!”
“Buon uomo, cosa c’è? Lo vedi che qui c’è
un gran daffare vuoi dirmi che cosa succede?”
“Ma come posso? Come? Oh Signur, Signur,
Signur”
“Vuoi venire in confessionale? Con me
puoi aprire il tuo cuore, hai premura per la salvezza della tua anima?”
“Ah!”
“Che è stato?”
“L’anima, l’anima, l’anima, oh Signur,
Signur, Signur”
“Cosa avrai mai fatto di tanto grave da
aver paura per la tua anima?”
“Voi dovete avere pietà di me, io sono
soltanto un sempliciotto, non le capisco le cose che vossia sa su tutto ciò che
è giusto e sbagliato e io ora… oh Signur, Signur”
“E sempre sia lodato. Buon uomo cosa è accaduto? Parlate vi dico!”
“Oooooh, cosa cosa cosa, perché perché
perché ma io volevo soltanto..."
“Cosa buon uomo, cosa?”
“Dar da bere agli assetati e da mangiare
agli affamati”
“Giusto e invece?”
“E invece ho dato da bere agli assetati
e da mangiare agli affamati”
“E hai fatto bene, bravo”
“Oh Signur, voi dite?”
“Ma certo buon uomo, hai fatto una buona
azione, così è nelle Sacre Scritture”
“Aaaaah”
“Cosa?”
“Io volevo soltanto...”
“Dar da bere agli assetati e da mangiare
agli affamati e hai fatto bene quindi ora lasciami alle mie faccende… ma… un
momento… chi erano questi assetati e affamati? Forse lebbrosi? Eretici?
Saraceni?”
“Ahhhh, lo vedete che io, me miserrimo,
non capisco cosa c’è scritto e poi faccio confusione?”
“Parlate mi state snervando”
“Ho dato...”
“Da bere agli assetati e da mangiare
agli affamati, questo l’ho capito ma a chi????”
“A….. LORO!” gridò nel pianto indicando
con gesto teatrale il gruppo che si fece avanti con aria mesta, dignitosa, seguito a poca distanza da tutta la popolazione del borgo che aveva
assunto, per l’occasione, un’aria trita, contrita, triste e preoccupata che
avrebbe ispirato un moto di sincera pena a chiunque avesse avuto un cuore,
seppur celato dietro un abito talare.
Di fronte a questo magistrale coup de théâtre
il prete non poté far altro che accoglierli, come le regole del giusto vivere impongono
e le parole delle Sacre Scritture insegnano, nella chiesa,
acconsentendo a che venissero ospitati alla meglio nel borgo, dietro lauto
compenso e regalie di vario genere, tra cui un pesce conservato e spezie d’India,
merce rarissima in quella valle abbracciata dalle montagne. Com’è uso tra le
genti ebraiche essi ringraziarono l’Altissimo intonando un canto litaniante e
melodioso e danzando un ballo atavico che scatenò gli istinti risvegliati dalla stagione floreale. L’arrivo degli erranti divenne una grande festa che si protrasse per
due notti e tre giorni. Rimase impressa nella memoria al punto che ancor oggi
nella valle si celebra la primavera con una bellissima e coloratissima fiera
danzante anche se degli esuli ebrei tormentati per picca, per ripicca e per puntiglio
non v’è più memoria se non nei balli tradizionali e nella musica che li
accompagna.
[1] Traduzione francese di Aryeh Graboïs dal testo ebraico
originale, in Graboïs 1966, p. 24-25, da Wikipedia nota 3 alla voce Ermengarda
di Narbona
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