martedì 20 settembre 2016

PRIMAVERA Gli ebrei erranti

PRIMAVERA Gli ebrei erranti

Era quella la stagione in cui tutto sembrava risvegliarsi, gli animali andavano in amore, i fiorellini sbocciavano sugli alberi profumando l’aria con i pollini raccolti dalle api bottinatrici, e il prete vigilava con solerzia sulla tranquillità del borgo, sia mai la troppa allegrezza si fosse trasformata in libera espressione di gioia, peccato contro le divine e sacre scritture. Di tutta evidenza era anche quel tempo in cui chi ama non riamato immalinconisce ma quell’anno non vi fu tempo di tramutare la malinconia in tristezza, il morbo dell’animo tanto temuto, perché giunse al villaggio un gruppo di esuli ebrei in fuga dalla città di Narbona dove infuriava una battaglia per la successione e quindi i primi contro cui si erano scagliate le fazioni rivali erano stati proprio loro, colpevoli di aver fatto crocifiggere Gesù e quindi perseguitati per principio, per picca, per ripicca e per puntiglio nella infinita diaspora del popolo di Abramo.
Avevano così narrato la loro storia chiedendo asilo per il tempo necessario a spostarsi verso più miti e favorevoli luoghi: «I giorni di Rabbi Todros […] furono tempi di grande calamità per la città, poiché il signore di Narbona, Don Aymeric, venne ucciso nel corso della battaglia di Fraga, senza lasciare eredi [che gli sopravvivessero], e il governo della città venne lasciato nelle mani di Donna Esmeineras [Ermengarda], ancora minorenne, terza [dei suoi tre figli]. E i grandi paesi ambivano alla sua eredità, in quanto [la viscontea] è grande e ricca, e la persuasero dunque con tutte le loro forze a sposare il signore di Tolosa, Don Alfonso. Ma il conte di Barcellona, Raimondo Berengario, nemico di questi e parente di Donna Esmeineras persuaderà costei a rifiutarne la mano, consigliandole di sposare Don Bernardo d’Anduze. Si scatena così una guerra che vede la città divisa in due fazioni: una metà appoggia la viscontessa e i suoi consiglieri, mentre l'altra si schiererà con il conte di Tolosa, Don Alfonso. Ora, prima [di questi avvenimenti], vi era a Narbona una grande comunità ebraica di circa duemila unità, tra cui grandi [personaggi] e studiosi di fama mondiale. A causa di queste lotte, essi si disperdettero nel territorio di Anjou, di Poitou e in Francia. Durante questa guerra un pesante tributo fu imposto alla comunità [ebraica]»[1]
Il saggio del villaggio, di comune accordo con gli abitanti del borgo e del bosco, aveva pensato che non sarebbe stato possibile celare agli occhi indiscreti di prete e perpetua un’intera carovana di ebrei i quali, dal canto loro, non avrebbero acconsentito a sentir messa turandosi le orecchie con la cera come avrebbero dovuto sopportare più tardi durante le prediche romane facendo finta di essere cattolici. D’altronde non avrebbero costituito per il borgo un gran pericolo. Si decise di andare dal prete e, con un’abilità che ottenne l’ammirazione incondizionata del rabbi e finanche delle più manipolatrici madri di quegli ebrei erranti, il saggio del villaggio parlò.
“Oh Signur, oh Signur!”
“Che c’è? Perché invochi l’Altissimo senza un motivo?”
“Oh Signur, ooooooh Signur!”
“Buon uomo, cosa c’è? Lo vedi che qui c’è un gran daffare vuoi dirmi che cosa succede?”
“Ma come posso? Come? Oh Signur, Signur, Signur”
“Vuoi venire in confessionale? Con me puoi aprire il tuo cuore, hai premura per la salvezza della tua anima?”
“Ah!”
“Che è stato?”
“L’anima, l’anima, l’anima, oh Signur, Signur, Signur”
“Cosa avrai mai fatto di tanto grave da aver paura per la tua anima?”
“Voi dovete avere pietà di me, io sono soltanto un sempliciotto, non le capisco le cose che vossia sa su tutto ciò che è giusto e sbagliato e io ora… oh Signur, Signur”
“E sempre sia lodato. Buon uomo cosa è accaduto? Parlate vi dico!”
“Oooooh, cosa cosa cosa, perché perché perché ma io volevo soltanto..."
“Cosa buon uomo, cosa?”
“Dar da bere agli assetati e da mangiare agli affamati”
“Giusto e invece?”
“E invece ho dato da bere agli assetati e da mangiare agli affamati”
“E hai fatto bene, bravo”
“Oh Signur, voi dite?”
“Ma certo buon uomo, hai fatto una buona azione, così è nelle Sacre Scritture”
“Aaaaah”
“Cosa?”
“Io volevo soltanto...”
“Dar da bere agli assetati e da mangiare agli affamati e hai fatto bene quindi ora lasciami alle mie faccende… ma… un momento… chi erano questi assetati e affamati? Forse lebbrosi? Eretici? Saraceni?”
“Ahhhh, lo vedete che io, me miserrimo, non capisco cosa c’è scritto e poi faccio confusione?”
“Parlate mi state snervando”
“Ho dato...”
“Da bere agli assetati e da mangiare agli affamati, questo l’ho capito ma a chi????”
“A….. LORO!” gridò nel pianto indicando con gesto teatrale il gruppo che si fece avanti con aria mesta, dignitosa, seguito a poca distanza da tutta la popolazione del borgo che aveva assunto, per l’occasione, un’aria trita, contrita, triste e preoccupata che avrebbe ispirato un moto di sincera pena a chiunque avesse avuto un cuore, seppur celato dietro un abito talare.
Di fronte a questo magistrale coup de théâtre il prete non poté far altro che accoglierli, come le regole del giusto vivere impongono e le parole delle Sacre Scritture insegnano, nella chiesa, acconsentendo a che venissero ospitati alla meglio nel borgo, dietro lauto compenso e regalie di vario genere, tra cui un pesce conservato e spezie d’India, merce rarissima in quella valle abbracciata dalle montagne. Com’è uso tra le genti ebraiche essi ringraziarono l’Altissimo intonando un canto litaniante e melodioso e danzando un ballo atavico che scatenò gli istinti risvegliati dalla stagione floreale. L’arrivo degli erranti divenne una grande festa che si protrasse per due notti e tre giorni. Rimase impressa nella memoria al punto che ancor oggi nella valle si celebra la primavera con una bellissima e coloratissima fiera danzante anche se degli esuli ebrei tormentati per picca, per ripicca e per puntiglio non v’è più memoria se non nei balli tradizionali e nella musica che li accompagna.




[1] Traduzione francese di Aryeh Graboïs dal testo ebraico originale, in Graboïs 1966, p. 24-25, da Wikipedia nota 3 alla voce Ermengarda di Narbona

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