ESTATE
«e val trop mais qi zo qe diz aten,
qe qi en als son coratge cambia.»
«e vale molto più chi mantiene ciò che
dice
che non colui che il suo intento muta.»
Guilleuma de Rosers
La temperatura era decisamente calda,
muoversi significava inevitabilmente inzupparsi di sudore ma rimanere nelle
abitazioni adatte a tenere lontano il freddo e mantenere il tepore all’interno
era impensabile per qualunque persona con un po’ di senno. Il sole arroventava
i metalli e rendeva densa l’aria afosa della valle, gli abitanti del borgo non
erano davvero abituati a quelle temperature. Sembrava che i Saraceni avessero
portato fin lì il clima che, si diceva, caratterizzava le terre degl’Infedeli. Non
se n’erano mai visti, lì, di Mori e Saraceni ma se ne diceva un gran male. Il
prete raccontava di luoghi lontani in cui uomini tutti neri e vestiti nelle
fogge più strane bestemmiavano il primo comandamento, vivevano nel peccato,
erano cattivi e volevano uccidere tutti i cattolici e i buoni cristiani. Pertanto
era importante che le popolazioni delle valli, con cristiano spirito di
sacrificio, accettassero le gabelle imposte per foraggiare le Sante Guerre
contro i perfidi el-andalusi. Non soltanto arabi erano i nemici, ben si
capisce, lo erano anche i catari che non accettavano l’autorità religiosa e i precetti
di Santa Madre Chiesa. Era dunque evidente che le popolazioni delle valli, per l’incolumità
dello spirito e della carne, dovessero accettare senza protestare le
gabelle imposte per foraggiare le Sante Guerre contro i perfidi cristiani
eretici. Gli abitanti del borgo e quelli del bosco non davano mai troppo
ascolto alle parole del prete e cercavano di tener lontano lui e la perpetua da
tutte le decisioni importanti. Andavano in chiesa, facevano tutto ciò che si
conveniva ad un buon cristiano fingendo ottusa stupidità e poi si arrangiavano
tra loro. Quella era una di quelle giornate in cui si erano dovuti organizzare
da sé e avevano deciso di andare tutti quanti al ruscello nel bosco per
rinfrescarsi un poco, certo in qualche modo avrebbero dovuto avvertire
sacerdote e perpetua altrimenti chissà che avrebbero pensato, magari che si
fossero convertiti al catarismo o che qualche Saraceno li avesse portati nelle
terre assolate d’Arabia e di Spagna. Come fare? Daude il maniscalco, abituato
al caldo della forgia ma non a quello del solleone, propose di chiedere un
battesimo collettivo al fiume per scacciare gli spiriti catari e saraceni che
sembravano portati dalla gran calura. Il saggio del villaggio ritenne la
soluzione proposta molto interessante e cercò il modo migliore per parlare col
sacerdote cui si rivolse pressappoco così:
“Abbiamo udito che i malvagi Saraceni e
i perfidi eretici Catari minacciano il nostro villaggio”
“Le nostre anime, certo ma bisogna avere
fede e confidare nella Misericordia”
“Sì ma le donne, sa, sono
impressionabili e noi siamo povera gente, non come voi che avete studiato”
“Certo e dovete sempre recitare le
vostre preghiere”
“Si ma”
“Cosa?”
“Noi vorremmo”
“Vorreste?”
“Vorremmo chiedervi”
“Cosa?”
“Di essere battezzati tutti insieme come
un unico corpo per scacciare via gli spiriti Saraceni che sembrano giunti fin
qui con le lingue di fuoco di satanassi e demoni”
“Oh buon uomo ma come si fa? Siete già
tutti battezzati”
“Sì ma vorremmo essere proprio certi e
vorremmo avere la benedizione”
“Ma come si può? Come si può?”
“Pensavamo che forse si potrebbe andare
al torrente nel bosco e lì fare come è scritto nel Vangelo che ci avete detto”
Il prete fu talmente sorpreso da tale
ardore religioso e così felice che gli venisse tributata tanta importanza
dai sempliciotti del borgo che ebbe un fremito vanesio di improvvisa vocazione
e assecondò il volere del borgo.
Grande fu il sollievo quando videro il
prete avvicinarsi, tutti si segnarono e vi fu anche chi si inginocchiò
implorante dinanzi alla croce del rosario.
Pregando e salmodiando si avventurarono
dunque nella radura dove gli abitanti del bosco ridacchiavano nella frondosa
freschezza boschiva.
Quando tutti quanti furono giunti al
ruscello si diede inizio alla cerimonia che però, essendo celebrata in un luogo
ben diverso dal solito, presto si trasformò in un rito che sembrava
piuttosto pagano. Si presero per mano, cantando le preghiere in una lingua a
metà strada tra il latino e l’occitano, poi ondeggiarono spostando un piede
davanti all’altro e poi di lato e incrociando, si formò un cerchio perfetto all’interno
del quale si lanciò a danzare e cantare inni una persona per volta fino a che
il ballo divenne frenesia tarantolata, movimento ritmato e caldo del Sud e la
celebrazione di quell’insolita messa si tramutò in un momento di profonda
liberazione dalle paure e dalle preoccupazioni. Danzarono senza fermarsi fino a
notte fonda, si destarono nei loro giacigli senza sapere se quello che era
accaduto nel bosco fosse stato sogno o realtà. Nessuno raccontò nulla ma da
quel giorno sembrò quasi che prete e perpetua avessero cominciato a capire qualcosa
di quella valle in cui le guerre non arrivavano mai se non in forma di
racconto.
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