EQUINOZIO
Mas
aitan plus vuoill li digas, messatges,
qu'en
trop d'orguoill ant grand dan maintas gens.
Ma
vo' che gli dica, mio messaggero,
che
troppo orgoglio molto danno reca.
Dona de Toloza
Quella mattina il freddo era talmente
intenso che i raggi del sole non riuscivano neanche a sciogliere le stalattiti
di ghiaccio formatesi nottetempo sui rami gelati degli alberi, i crochi si
ergevano orgogliosi facendo prevedere la fine dell’inverno col prezioso
carico di zafferano e gli uccellini del bosco cercavano di svegliare la
nostra stella con un soave e melodioso canto. Nel borgo i comignoli
tossivano un fumo denso le cui particelle quasi si cristallizzavano nell’azzurro pieno dell’aria limpida e tersa. Mentre gli orsi erano immersi nel
loro letargo gli animali selvatici cominciavano ad uscire dalle tane. Che le giornate si fossero allungate era più che
evidente e infatti quello era proprio il giorno in cui l’oscurità e la luce si
alternavano in un equilibrio perfettamente bilanciato. Non altrettanto
equilibrati sembravano, però, gli umori nel villaggio e soprattutto nella casa dove
abitava la giovane e bellissima Mirabai. Ella non era originaria della valle,
essendo stata lasciata lì in tenera età da una coloratissima carovana che poco
somigliava a quelle di gitani e zingari d’ogni dove e la cui origine era
rimasta avvolta nel mistero più fitto, gelosamente custodito dagli abitanti del
borgo. Non c’era stato molto altro da fare quando il piccolo batuffolo frignante
era comparso sulla piazza se non affidarlo alle amorevoli coccole di
Ot e Bieris, cui si era invano rigonfiato il ventre per poi sgonfiarsi tra lacrime e
sangue molteNmolte volte. Non erano giovanissimi e avevano trovato nel profondo amore che li
univa la soddisfazione di una vita che si prospettava senza pargoli e
frugoletti in giro per l’umile seppur decorosa abitazione. Il borgo si era
rinchiuso nel più assoluto riserbo e nulla aveva fatto trapelare alle orecchie
di prete e perpetua, ai quali qualche dubbio era sorto ma aveva preferito far
finta di non accorgersi di niente, tanto più che la piccola Mirabai, di lei si
sapeva soltanto lo strano nome, ispirava in chi le si avvicinava un senso di
pace interiore e serenità che placava anche il più focoso tra i più rissosi del
borgo. Aveva occhi color del cielo nel tramonto d’inverno, la pelle morbida e
leggermente più scura di quelle di Ot e Bieris seppure non del colore di
Mori e Infedeli, morbidissimi capelli neri, un sorriso grazioso e un portamento
regale. Le ci era voluto un po’ prima di adeguarsi al clima rigido della valle,
sembrava fosse abituata a temperature molto più calde e le stoffe in cui era
avvolta erano tessuti preziosi degni di una principessa. Il carattere della
piccola Mirabai era tutto fuorché docile ma a Bieris e Ot divertiva vederla
impuntarsi su questioni che sembravano per lei di fondamentale importanza quali
la disposizione di fiori e bacche nelle coroncine festive. C’era qualcosa di
meraviglioso in lei che incuteva sempre un certo rispetto. Da quando era
arrivata nella loro vita Bieris e Ot avevano iniziato a decorare semplicemente
la loro abitazione a ricamare anziché soltanto rammendare le loro vesti e per
la ormai non troppo piccola Mirabai c’era sempre modo di trovare qualche filo
che lei sapientemente univa alle pietre raccolte accanto al ruscello creando
arzigogoli tanto belli che ricordavano quelli con cui erano ornati i panni che
l’avevano avvolta al suo arrivo nel villaggio, anche non le era mai stato
rivelato di esser giunta e non nata in quel luogo. Man mano che Mirabai
cresceva Ot e Bieris invece di invecchiare sembravano rimanere sempre giovani,
dal loro sguardo era sparita la rassegnazione e alla frustrazione si era
sostituita una vivace gioiosità che faceva bene allo spirito e al corpo. Cosa
poteva essere accaduto in quella mattina di marzo in cui il giorno e la notte
si alternavano con pari dignità da causare tutto quel trambusto nella casa che
sembrava benedetta dalla serenità e dalla pace? Mirabai più che una creatura angelica
pareva un’ossessa era arrivata persino a strillare e strepitare con la foga di
un giovane purosangue lanciato in una corsa furiosa. Ot e Bieris, superato il
momento iniziale di sbigottimento, stavano reagendo con veemenza e, se lui era
più accondiscendente, lei non voleva saperne di darle ragione. A quell’età
tutti quei capricci le sembravano davvero inopportuni, non li aveva fatti
quando era piccola doveva cominciare proprio ora che era divenuta signorina a
gridare a quel modo? Ma che maniere erano?
“Non voglio, non voglio, non voglio e
mai lo farò!” si sentiva risuonare selvaggiamente in tutto il villaggio mentre
Ot rimbrottava: “Ma che le abbiamo detto di male?” e Bieris berciava: “Che le
abbiamo detto? Di preparare il corredo le abbiamo detto e quando mai s’è
sentita tale ostinazione a non volersi né sposare né farsi monaca?”, era
talmente sorpresa che stava quasi per rivelarle il segreto che per tanti anni era rimasto celato all’ombra delle montagne, nella tranquilla valle in cui gli
abitanti del borgo e gli abitanti del bosco vivevano felicemente e senza troppi
scossoni da così tanto tempo che oramai s’era persa la memoria della prima
volta in cui s’erano parlati per giungere ad un accordo di pacifica convivenza.
Come se non fossero bastate le urla anche il placido cane Boj s’era messo ad
ululare mentre i gatti s’erano ben guardati dal rimanere oltre in quel luogo
disarmonico, almeno fino a che non fosse stata ristabilita un po’ di domestica
serenità come si conviene ad un’abitazione popolata anche da felini i quali,
come è noto, amano accovacciarsi vicino alla stufa e sonnecchiare ronfando
senza eccessivi disturbi o leggere un bel libro illustrato anche se a quel
tempo i libri illustrati erano cosa rara e preziosa ed erano custoditi nei
monasteri o nelle splendide biblioteche nobiliari, ma questa è un’altra storia.
Il trambusto si placò soltanto quando giunsero Brizeida e Azalais recanti un
pandolce caldo e profumato di anice preparato da Calduc. Ot e Bieris
impallidirono, temendo che fosse giunto il momento di rivelare ciò che avevano
riposto in fondo alla memoria e che ora sembrava più irreale della neve
d’agosto. Si sedettero intorno ad un tavolo e venne servito latte caldo in
zuppiere dove intingere il pandolce, la cui fragranza sciolse la morsa di
tensione che aggrovigliava gli stomaci di Ot e Bieris. Azalais iniziò, calma, a
parlare.
“Oggi vorremmo andare nel bosco, la
giornata è così bella da non poter essere sprecata e vorremmo riempire il
nostro cestino per non avere fame durante il tragitto”. Bieris comprese
all’istante e Ot la lasciò agire, visto e considerato che sembrava proprio che
sapesse cosa fare anche se lì per lì non si era proprio avveduto di quelle
‘cose da donne’. Si alzò rischiando di far cadere il latte e il pandolce di Calduc,
rovistò in un ripostiglio segreto e ne trasse un bellissimo nastro, piccolo
seppur riccamente ricamato, lo avvolse in un pezzo di tela che aveva tessuto
con le sue mani e lo mise nel cestino. Ot capì, uscì a prendere uno splendido
legno che aveva intarsiato magistralmente con le sue mani per tutto l’inverno e
che avrebbe dovuto servire come decorazione per la festa d’estate, lo mise nel
cestino coprendolo con un po’ di paglia. Mirabai li guardava torva e sembrò
placarsi soltanto quando Brizeida le chiese se per caso non volesse
accompagnarle ché loro sentivano di non aver più l’età per avventurarsi da sole
nel bosco. Era palesemente soltanto una scusa ma la giovane sembrò non
avvedersene. Bieris e Ot non si sarebbero opposti e questo era, a suo modo di
vedere, un punto a suo favore, così indossò la pesante mantella e uscì insieme alle due sagge donne con la benedizione silenziosa di Ot e Bieris. Brizeida e
Azalais le strinsero rispettivamente la mano destra e la sinistra e si
incamminarono verso il bosco. La giovane non ne aveva la minima idea ma stava
per scoprire qualcosa di tanto importante da non poter essere raccontato.
Nonostante la stretta delle mani le infondesse fiducia è impossibile descrivere
quale fu la sua meraviglia quando sentì Azalais e Brizeida parlare con gli
abitanti del bosco, di cui invero aveva sempre sospettato l’esistenza e quindi
non si era più di tanto stupita vedendoli comparire da un cespuglio che in
effetti si muoveva un po’ troppo. Le donne percorsero un tratto di sentiero e
poi si trovarono in una radura verdeggiante dove neve e ghiaccio non avevano
trovato alloggio, al centro crepitava un grande fuoco e intorno ferveva una
sonora attività musicale di cui fino ad un passo prima di mettere piede sul verde
manto non si era udita una sola nota. Poggiarono il cestino su una pietra con
delle strane e arcaiche incisioni, si scrollarono dalle spalle la pesante
coperta invernale e intonarono un canto atavico da cui si diffondevano dense
sonorità. Mirabai, senza capire cosa stesse facendo e perché, si tolse i
calzari invernali restando scalza sulla soffice terra, il suo corpo fu percorso
da un brivido e da quei graziosissimi piedi partì un movimento armonioso perfettamente sincronizzato. Dovunque i suoi passi si dirigessero spuntavano
fiori coloratissimi e d’improvviso quei fiori si trasformarono in uomini e
donne riccamente abbigliati con veli policromi che si scatenarono in una danza
di indescrivibile bellezza la cui forza evocava luoghi lontani, posti da cui
provenivano spezie sconosciute e profumi mai annusati. Gli uomini e le donne si
intrecciarono tra loro come ruscelli impetuosi e fiammeggianti ciliegi mentre
Mirabai si esprimeva in una danza che mai s’era veduta in tutta la valle, un
ballo vorticoso e formalistico al contempo, fino a che cadde addormentata
avvolta dai suoi capelli per risvegliarsi nel suo giaciglio allo spuntare del
primo giorno di primavera mentre il gatto ronfava accanto al camino acceso,
Bieris preparava una tazza di latte caldo e Ot sistemava la porta che aveva
cigolato per tutto l’inverno.
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