lunedì 19 settembre 2016

Equinozio. Mirabai.

EQUINOZIO

Mas aitan plus vuoill li digas, messatges,
qu'en trop d'orguoill ant grand dan maintas gens.

Ma vo' che gli dica, mio messaggero,
che troppo orgoglio molto danno reca.
Dona de Toloza


Quella mattina il freddo era talmente intenso che i raggi del sole non riuscivano neanche a sciogliere le stalattiti di ghiaccio formatesi nottetempo sui rami gelati degli alberi, i crochi si ergevano orgogliosi facendo prevedere la fine dell’inverno col prezioso carico di zafferano e gli uccellini del bosco cercavano di svegliare la nostra stella con un soave e melodioso canto. Nel borgo i comignoli tossivano un fumo denso le cui particelle quasi  si cristallizzavano nell’azzurro pieno dell’aria limpida e tersa. Mentre gli orsi erano immersi nel loro letargo gli animali selvatici cominciavano ad uscire dalle tane. Che le giornate si fossero allungate era più che evidente e infatti quello era proprio il giorno in cui l’oscurità e la luce si alternavano in un equilibrio perfettamente bilanciato. Non altrettanto equilibrati sembravano, però, gli umori nel villaggio e soprattutto nella casa dove abitava la giovane e bellissima Mirabai. Ella non era originaria della valle, essendo stata lasciata lì in tenera età da una coloratissima carovana che poco somigliava a quelle di gitani e zingari d’ogni dove e la cui origine era rimasta avvolta nel mistero più fitto, gelosamente custodito dagli abitanti del borgo. Non c’era stato molto altro da fare quando il piccolo batuffolo frignante era comparso sulla piazza se non affidarlo alle amorevoli coccole di Ot e Bieris, cui si era invano rigonfiato il ventre per poi sgonfiarsi tra lacrime e sangue molteNmolte volte. Non erano giovanissimi e avevano trovato nel profondo amore che li univa la soddisfazione di una vita che si prospettava senza pargoli e frugoletti in giro per l’umile seppur decorosa abitazione. Il borgo si era rinchiuso nel più assoluto riserbo e nulla aveva fatto trapelare alle orecchie di prete e perpetua, ai quali qualche dubbio era sorto ma aveva preferito far finta di non accorgersi di niente, tanto più che la piccola Mirabai, di lei si sapeva soltanto lo strano nome, ispirava in chi le si avvicinava un senso di pace interiore e serenità che placava anche il più focoso tra i più rissosi del borgo. Aveva occhi color del cielo nel tramonto d’inverno, la pelle morbida e leggermente più scura di quelle di Ot e Bieris seppure non del colore di Mori e Infedeli, morbidissimi capelli neri, un sorriso grazioso e un portamento regale. Le ci era voluto un po’ prima di adeguarsi al clima rigido della valle, sembrava fosse abituata a temperature molto più calde e le stoffe in cui era avvolta erano tessuti preziosi degni di una principessa. Il carattere della piccola Mirabai era tutto fuorché docile ma a Bieris e Ot divertiva vederla impuntarsi su questioni che sembravano per lei di fondamentale importanza quali la disposizione di fiori e bacche nelle coroncine festive. C’era qualcosa di meraviglioso in lei che incuteva sempre un certo rispetto. Da quando era arrivata nella loro vita Bieris e Ot avevano iniziato a decorare semplicemente la loro abitazione a ricamare anziché soltanto rammendare le loro vesti e per la ormai non troppo piccola Mirabai c’era sempre modo di trovare qualche filo che lei sapientemente univa alle pietre raccolte accanto al ruscello creando arzigogoli tanto belli che ricordavano quelli con cui erano ornati i panni che l’avevano avvolta al suo arrivo nel villaggio, anche non le era mai stato rivelato di esser giunta e non nata in quel luogo. Man mano che Mirabai cresceva Ot e Bieris invece di invecchiare sembravano rimanere sempre giovani, dal loro sguardo era sparita la rassegnazione e alla frustrazione si era sostituita una vivace gioiosità che faceva bene allo spirito e al corpo. Cosa poteva essere accaduto in quella mattina di marzo in cui il giorno e la notte si alternavano con pari dignità da causare tutto quel trambusto nella casa che sembrava benedetta dalla serenità e dalla pace? Mirabai più che una creatura angelica pareva un’ossessa era arrivata persino a strillare e strepitare con la foga di un giovane purosangue lanciato in una corsa furiosa. Ot e Bieris, superato il momento iniziale di sbigottimento, stavano reagendo con veemenza e, se lui era più accondiscendente, lei non voleva saperne di darle ragione. A quell’età tutti quei capricci le sembravano davvero inopportuni, non li aveva fatti quando era piccola doveva cominciare proprio ora che era divenuta signorina a gridare a quel modo? Ma che maniere erano?
“Non voglio, non voglio, non voglio e mai lo farò!” si sentiva risuonare selvaggiamente in tutto il villaggio mentre Ot rimbrottava: “Ma che le abbiamo detto di male?” e Bieris berciava: “Che le abbiamo detto? Di preparare il corredo le abbiamo detto e quando mai s’è sentita tale ostinazione a non volersi né sposare né farsi monaca?”, era talmente sorpresa che stava quasi per rivelarle il segreto che per tanti anni era rimasto celato all’ombra delle montagne, nella tranquilla valle in cui gli abitanti del borgo e gli abitanti del bosco vivevano felicemente e senza troppi scossoni da così tanto tempo che oramai s’era persa la memoria della prima volta in cui s’erano parlati per giungere ad un accordo di pacifica convivenza. Come se non fossero bastate le urla anche il placido cane Boj s’era messo ad ululare mentre i gatti s’erano ben guardati dal rimanere oltre in quel luogo disarmonico, almeno fino a che non fosse stata ristabilita un po’ di domestica serenità come si conviene ad un’abitazione popolata anche da felini i quali, come è noto, amano accovacciarsi vicino alla stufa e sonnecchiare ronfando senza eccessivi disturbi o leggere un bel libro illustrato anche se a quel tempo i libri illustrati erano cosa rara e preziosa ed erano custoditi nei monasteri o nelle splendide biblioteche nobiliari, ma questa è un’altra storia. Il trambusto si placò soltanto quando giunsero Brizeida e Azalais recanti un pandolce caldo e profumato di anice preparato da Calduc. Ot e Bieris impallidirono, temendo che fosse giunto il momento di rivelare ciò che avevano riposto in fondo alla memoria e che ora sembrava più irreale della neve d’agosto. Si sedettero intorno ad un tavolo e venne servito latte caldo in zuppiere dove intingere il pandolce, la cui fragranza sciolse la morsa di tensione che aggrovigliava gli stomaci di Ot e Bieris. Azalais iniziò, calma, a parlare.

“Oggi vorremmo andare nel bosco, la giornata è così bella da non poter essere sprecata e vorremmo riempire il nostro cestino per non avere fame durante il tragitto”. Bieris comprese all’istante e Ot la lasciò agire, visto e considerato che sembrava proprio che sapesse cosa fare anche se lì per lì non si era proprio avveduto di quelle ‘cose da donne’. Si alzò rischiando di far cadere il latte e il pandolce di Calduc, rovistò in un ripostiglio segreto e ne trasse un bellissimo nastro, piccolo seppur riccamente ricamato, lo avvolse in un pezzo di tela che aveva tessuto con le sue mani e lo mise nel cestino. Ot capì, uscì a prendere uno splendido legno che aveva intarsiato magistralmente con le sue mani per tutto l’inverno e che avrebbe dovuto servire come decorazione per la festa d’estate, lo mise nel cestino coprendolo con un po’ di paglia. Mirabai li guardava torva e sembrò placarsi soltanto quando Brizeida le chiese se per caso non volesse accompagnarle ché loro sentivano di non aver più l’età per avventurarsi da sole nel bosco. Era palesemente soltanto una scusa ma la giovane sembrò non avvedersene. Bieris e Ot non si sarebbero opposti e questo era, a suo modo di vedere, un punto a suo favore, così indossò la pesante mantella e uscì insieme alle due sagge donne con la benedizione silenziosa di Ot e Bieris. Brizeida e Azalais le strinsero rispettivamente la mano destra e la sinistra e si incamminarono verso il bosco. La giovane non ne aveva la minima idea ma stava per scoprire qualcosa di tanto importante da non poter essere raccontato. Nonostante la stretta delle mani le infondesse fiducia è impossibile descrivere quale fu la sua meraviglia quando sentì Azalais e Brizeida parlare con gli abitanti del bosco, di cui invero aveva sempre sospettato l’esistenza e quindi non si era più di tanto stupita vedendoli comparire da un cespuglio che in effetti si muoveva un po’ troppo. Le donne percorsero un tratto di sentiero e poi si trovarono in una radura verdeggiante dove neve e ghiaccio non avevano trovato alloggio, al centro crepitava un grande fuoco e intorno ferveva una sonora attività musicale di cui fino ad un passo prima di mettere piede sul verde manto non si era udita una sola nota. Poggiarono il cestino su una pietra con delle strane e arcaiche incisioni, si scrollarono dalle spalle la pesante coperta invernale e intonarono un canto atavico da cui si diffondevano dense sonorità. Mirabai, senza capire cosa stesse facendo e perché, si tolse i calzari invernali restando scalza sulla soffice terra, il suo corpo fu percorso da un brivido e da quei graziosissimi piedi partì un movimento armonioso perfettamente sincronizzato. Dovunque i suoi passi si dirigessero spuntavano fiori coloratissimi e d’improvviso quei fiori si trasformarono in uomini e donne riccamente abbigliati con veli policromi che si scatenarono in una danza di indescrivibile bellezza la cui forza evocava luoghi lontani, posti da cui provenivano spezie sconosciute e profumi mai annusati. Gli uomini e le donne si intrecciarono tra loro come ruscelli impetuosi e fiammeggianti ciliegi mentre Mirabai si esprimeva in una danza che mai s’era veduta in tutta la valle, un ballo vorticoso e formalistico al contempo, fino a che cadde addormentata avvolta dai suoi capelli per risvegliarsi nel suo giaciglio allo spuntare del primo giorno di primavera mentre il gatto ronfava accanto al camino acceso, Bieris preparava una tazza di latte caldo e Ot sistemava la porta che aveva cigolato per tutto l’inverno.  

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