sabato 24 settembre 2016

EQUINOZIO Fatima

EQUINOZIO Fatima


Una splendida giornata settembrina di pieno sole scaldava l’aria tiepida e fresca al contempo in un clima perfettamente bilanciato come la durata del giorno e della notte che si erano alternati con equivalente galanteria. Nel borgo ferveva l’attività di vendemmia, un odore dolcemente acre si spandeva nell’aere. Grappoli dorati e succulenti riempivano le ceste chiare e scure in base alla qualità dell’uva. I grandi tini erano stati posizionati, come di consuetudine, al centro del borgo e già dal primo mattino le donne avevano cominciato a pigiare il prezioso nettare. Dalle cantine un profumo di mosto, zolfo e fumo di legna avvolgeva le narici predisponendole all’allegria che l’occasione portava con sé. L’unica persona che sembrava totalmente aliena alla felicità dilagante era la giovane Fatima, splendida ragazza dalla pelle ambrata, occhi e capelli nerissimi giunta al villaggio con la carovana di un mercante genovese di ritorno da Frassineto che per qualche ragione aveva deciso di rimanere nella valle. All’inizio nessuno capiva il suo strano modo di parlare e nonostante qualche perplessità iniziale non s’era dato troppo peso al fatto che una donna sola giunta con la carovana di un mercante di un grande stato in compagnia di un gatto e un falco che le ubbidiva con docilità e per di più con un baule carico di preziosissimi libri avesse cercato alloggio nei pressi del borgo perché era arrivata in un momento in cui c’era un gran daffare e non c’era stato fisicamente il tempo di badarle. Quando finalmente era stato possibile ragionare sulla opportunità della sua presenza non ce n’era stato più il bisogno perché nessuno si ricordava esattamente cosa ci fosse di strano nella presenza di una persona che sapeva annodare semplici fili facendoli diventare decorazioni di incredibile bellezza e preparare dolciumi prelibati con il miele e poco più. Il saggio del villaggio un giorno si era recato da lei, aveva bussato alla porta della sua abitazione, non senza aver prima sbirciato all’interno, e aveva, per così dire, cercato di capire se ella fosse un pericolo per il borgo oppure no. Fatima lo aveva invitato ad entrare lasciando di proposito la porta aperta cosicché chiunque potesse vederli e gli aveva offerto una bevanda calda e aromatica di cui nella valle non s’era mai sentito neanche parlare. Cercarono di comunicare in uno strano ghibberish poi trovarono un linguaggio tutto loro e chiacchierarono a lungo. Lei raccontò la sua storia, comprendendo che quello era l’unico modo per ottenere la fiducia del saggio del villaggio, descrisse le lontane terre da cui proveniva e che aveva dovuto lasciare, nonostante fosse una donna molto ricca e rispettata, per le gelosie di un parente. Senza soffermarsi narrò il suo lungo viaggio per mari, monti e deserti, l’incontro programmato con il mercante genovese, l’arrivo in una città che credeva porto sicuro e che invece si era rivelata covo d’insidie e la decisione di fermarsi in un luogo sconosciuto, lontano dagli interessi di commercianti, pirati, abati e conquistatori. Il saggio del villaggio le chiese perché una dama di tale lignaggio anziché portare con sé vestiti e gioielli avesse preferito trascinarsi dietro un baule pieno di pesanti, seppur preziosissimi, libri. Fatima rispose senza indugio, spiegando che avrebbe voluto costruire una biblioteca se avesse avuto modo di tornare nelle sue terre. Il saggio volle sapere se c’era il rischio per il borgo di essere messo a ferro e fuoco da chi la cercava e lei affermò, rassicurante, che non v’era pericolo perché il mercante, grande amico di suo padre, avrebbe dichiarato ciò che anche lui sapeva, ossia che lei era in un convento. Egli, che non l’aveva mai vista, era infatti convinto di aver lasciato nel borgo una donna cristiana, in realtà fuggita con lei dal terribile mercato el-andaluso almeriense, e di aver affidato Fatima, redenta e convertita, all’abate Maiolo in un convento distante almeno dieci giorni di cavalcata veloce da lì. Per quanto riguardava il prete, ella non avrebbe destato sospetti, e si sarebbe recata regolarmente in chiesa pur continuando a pregare la sua religione. Il saggio pensò che quella donna era molto scaltra, non avrebbe nociuto alla gente del borgo e a quella del bosco. Ritenne opportuno, comunque, per maggiore sicurezza, consultare la Sibilla. Salutata la donna chiese dunque ad Azalais e Brizeida di condurla con loro nel bosco: la decisione non era semplice. Calduc non ne volle sapere di cucinare un pandolce mentre era occupata col mosto, le marmellate, le conserve e tutto ciò che notoriamente si deve preparare nel giorno dell’equinozio, tra l’altro quell’anno cadeva anche in pieno plenilunio quindi era impensabile che si mettesse a cuocere pandolci, se avessero proprio avuto necessità avrebbe potuto dar loro un barattolo di marmellata appena fatta. Azalais e Brizeida ringraziarono sbuffando le loro lamentele rimaste inascoltate e si diressero verso l’abitazione di Fatima con il cestino carico di marmellata, composte di frutta, utensili di legno intarsiati da Ot, di ferro forgiati da Daude, stoffe ricamate da Mirabai e un pane appena sfornato ripieno di erbe selvatiche e aromi di montagna. Quando giunsero da Fatima ella era intenta nella preparazione di una specialità a base di miele e noci, assaggiatolo Azalais e Brizeida convennero che era una vera delizia e per quel giorno, eccezionalmente, avrebbe potuto costituire una potenziale alternativa allo squisito pandolce di Calduc. La donna originaria della lontana Kairouan accolse l’idea di una passeggiata nel bosco con allegra titubanza, non era avvezza alla preparazione del vino ma aveva visto che tutto il villaggio era in fermento poi, ad uno sguardo sospirante delle due, capì che era proprio il momento adatto per andare nel bosco senza che nessuno si accorgesse della loro assenza e che prete e perpetua si impicciassero delle loro faccende. Non capì a cosa servisse il cestino ma comprese che era qualcosa di importante per cui decise di aggiungervi una manciata di uva passita dai chicchi grandi e succosi come non se n’era mai veduta prima nella valle. Si coprì con un mantello di lieve stoffa e si incamminò verso il bosco con Azalais e Brizeida. Come previsto nessuno fece caso a loro, erano tutti quanti troppo affaccendati nelle proprie faccende e l’unica accortezza fu di dar l’impressione di andare di fretta da qualche parte quando incontravano qualcuno. Cammina cammina si trovarono vicino ad un ruscello alimentato da un’acqua odorosa che sembrava sgorgare dalle viscere della terra e che lasciava sul greto una patina biancastra. Quale fu la sua meraviglia quando, seguendo l’esempio delle due donne, si trovò coi piedi nudi immersa in un fiume in taluni punti gelido, come si conviene ad un rio che trae la sua linfa dalle nevi perenni, e in altri tanto caldo da far venire voglia di immergersi anche in pieno inverno. Azalais e Brizeida sorrisero della sua espressione stupita mentre gli abitanti del bosco osservavano le tre con curiosità, sapevano che il cestino ricolmo voleva dire che avrebbero voluto incontrare la Sibilla ma una delle tre era decisamente una sconosciuta. Ebbero la certezza che fosse necessario aspettare e far capire che erano lì proprio per incontrarla. Si sedettero dunque in una grotta, riparate da una cascata naturale odorosa e calda, ad aspettare. L’attesa si prevedeva lunga perché le due donne ben conoscevano la diffidenza degli abitanti del bosco. Crearono tre giacigli con foglie e arbusti quindi si sedettero. Visto che parlare non era cosa troppo semplice date le barriere linguistiche, le due donne del borgo intonarono un canto, soffiando in un tronco cavo perfettamente intarsiato dalle abili mani di Ot che produceva un suono magico, vellutato e acuto al contempo. Fatima non sapeva suonare ma aveva capito che quello era l’unico modo di raccontare la sua storia senza falsità e senza timori. Si alzò e cominciò ad ondeggiare replicando con il bacino il movimento lento e flessuoso di serpenti e anguille. Dal suo ventre partiva una danza atavica che ella accompagnava con volute degli arti che si giravano in direzioni opposte e contrarie. Il tempo trascorse senza tempo mentre il suono della voce si univa a quello prodotto dal legno cavo e dal movimento del corpo. Si lasciarono andare ad un’estasi mediterranea in cui le onde del mare dialogavano con le dune del deserto nel bel mezzo delle alte montagne che abbracciavano la valle, forse parteciparono anche gli abitanti del bosco e forse pure la Sibilla si unì a loro perché, quando si destarono nell’abitazione della misteriosa forestiera il cestino era vuoto delle prelibatezze del borgo ma pieno di un prezioso manoscritto avvolto in carta di papiro che emozionò Fatima fino alle lacrime, e di altri monili magici che Azalais e Brizeida sapevano come distribuire. Nessuno seppe mai cosa accadde ma da quel giorno Fatima arricchì il cestino di Brizeida e Azalais con leccornie preparate con le sue abili mani per gli abitanti del bosco e per la Sibilla la quale ricambiava con i preziosissimi fogli di papiro. 

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