EQUINOZIO Fatima
Una splendida giornata settembrina di
pieno sole scaldava l’aria tiepida e fresca al contempo in un clima
perfettamente bilanciato come la durata del giorno e della notte che si erano
alternati con equivalente galanteria. Nel borgo ferveva l’attività di vendemmia, un odore dolcemente acre si spandeva nell’aere. Grappoli dorati e succulenti
riempivano le ceste chiare e scure in base alla qualità dell’uva. I grandi tini
erano stati posizionati, come di consuetudine, al centro del borgo e già dal
primo mattino le donne avevano cominciato a pigiare il prezioso nettare. Dalle
cantine un profumo di mosto, zolfo e fumo di legna avvolgeva le narici
predisponendole all’allegria che l’occasione portava con sé. L’unica persona
che sembrava totalmente aliena alla felicità dilagante era la giovane Fatima,
splendida ragazza dalla pelle ambrata, occhi e capelli nerissimi giunta al
villaggio con la carovana di un mercante genovese di ritorno da Frassineto che
per qualche ragione aveva deciso di rimanere nella valle. All’inizio nessuno
capiva il suo strano modo di parlare e nonostante qualche perplessità iniziale
non s’era dato troppo peso al fatto che una donna sola giunta con la carovana
di un mercante di un grande stato in compagnia di un gatto e un falco che le
ubbidiva con docilità e per di più con un baule carico di preziosissimi libri
avesse cercato alloggio nei pressi del borgo perché era arrivata in un momento
in cui c’era un gran daffare e non c’era stato fisicamente il tempo di badarle.
Quando finalmente era stato possibile ragionare sulla opportunità della sua
presenza non ce n’era stato più il bisogno perché nessuno si ricordava
esattamente cosa ci fosse di strano nella presenza di una persona che sapeva
annodare semplici fili facendoli diventare decorazioni di incredibile bellezza
e preparare dolciumi prelibati con il miele e poco più. Il saggio del villaggio
un giorno si era recato da lei, aveva bussato alla porta della sua abitazione,
non senza aver prima sbirciato all’interno, e aveva, per così dire, cercato di
capire se ella fosse un pericolo per il borgo oppure no. Fatima lo aveva
invitato ad entrare lasciando di proposito la porta aperta cosicché chiunque
potesse vederli e gli aveva offerto una bevanda calda e aromatica di cui nella
valle non s’era mai sentito neanche parlare. Cercarono di comunicare in uno
strano ghibberish poi trovarono un linguaggio tutto loro e chiacchierarono a lungo.
Lei raccontò la sua storia, comprendendo che quello era l’unico modo per
ottenere la fiducia del saggio del villaggio, descrisse le lontane terre da cui
proveniva e che aveva dovuto lasciare, nonostante fosse una donna molto ricca e
rispettata, per le gelosie di un parente. Senza soffermarsi narrò il suo lungo
viaggio per mari, monti e deserti, l’incontro programmato con il mercante
genovese, l’arrivo in una città che credeva porto sicuro e che invece si era
rivelata covo d’insidie e la decisione di fermarsi in un luogo sconosciuto,
lontano dagli interessi di commercianti, pirati, abati e conquistatori. Il
saggio del villaggio le chiese perché una dama di tale lignaggio anziché
portare con sé vestiti e gioielli avesse preferito trascinarsi dietro un baule
pieno di pesanti, seppur preziosissimi, libri. Fatima rispose senza indugio,
spiegando che avrebbe voluto costruire una biblioteca se avesse avuto modo di
tornare nelle sue terre. Il saggio volle sapere se c’era il rischio per il
borgo di essere messo a ferro e fuoco da chi la cercava e lei affermò,
rassicurante, che non v’era pericolo perché il mercante, grande amico di suo
padre, avrebbe dichiarato ciò che anche lui sapeva, ossia che lei era in un
convento. Egli, che non l’aveva mai vista, era infatti convinto di aver
lasciato nel borgo una donna cristiana, in realtà fuggita con lei dal terribile
mercato el-andaluso almeriense, e di aver affidato Fatima, redenta e
convertita, all’abate Maiolo in un convento distante almeno dieci giorni di
cavalcata veloce da lì. Per quanto riguardava il prete, ella non avrebbe
destato sospetti, e si sarebbe recata regolarmente in chiesa pur continuando a
pregare la sua religione. Il saggio pensò che quella donna era molto scaltra, non avrebbe nociuto alla gente del borgo e a quella del bosco. Ritenne opportuno, comunque, per maggiore sicurezza, consultare la Sibilla. Salutata la donna chiese dunque ad Azalais e Brizeida di condurla con
loro nel bosco: la decisione non era semplice. Calduc non ne volle sapere di cucinare un pandolce mentre era occupata col mosto, le marmellate, le conserve
e tutto ciò che notoriamente si deve preparare nel giorno dell’equinozio, tra
l’altro quell’anno cadeva anche in pieno plenilunio quindi era impensabile che
si mettesse a cuocere pandolci, se avessero proprio avuto necessità avrebbe
potuto dar loro un barattolo di marmellata appena fatta. Azalais e Brizeida
ringraziarono sbuffando le loro lamentele rimaste inascoltate e si diressero
verso l’abitazione di Fatima con il cestino carico di marmellata, composte di
frutta, utensili di legno intarsiati da Ot, di ferro forgiati da Daude, stoffe
ricamate da Mirabai e un pane appena sfornato ripieno di erbe selvatiche e
aromi di montagna. Quando giunsero da Fatima ella era intenta nella
preparazione di una specialità a base di miele e noci, assaggiatolo Azalais e
Brizeida convennero che era una vera delizia e per quel giorno,
eccezionalmente, avrebbe potuto costituire una potenziale alternativa allo
squisito pandolce di Calduc. La donna originaria della lontana Kairouan accolse
l’idea di una passeggiata nel bosco con allegra titubanza, non era avvezza alla
preparazione del vino ma aveva visto che tutto il villaggio era in fermento
poi, ad uno sguardo sospirante delle due, capì che era proprio il momento
adatto per andare nel bosco senza che nessuno si accorgesse della loro assenza
e che prete e perpetua si impicciassero delle loro faccende. Non capì a cosa
servisse il cestino ma comprese che era qualcosa di importante per cui decise di
aggiungervi una manciata di uva passita dai chicchi grandi e succosi come non
se n’era mai veduta prima nella valle. Si coprì con un mantello di lieve stoffa
e si incamminò verso il bosco con Azalais e Brizeida. Come previsto nessuno
fece caso a loro, erano tutti quanti troppo affaccendati nelle proprie faccende
e l’unica accortezza fu di dar l’impressione di andare di fretta da qualche
parte quando incontravano qualcuno. Cammina cammina si trovarono vicino ad un
ruscello alimentato da un’acqua odorosa che sembrava sgorgare dalle viscere
della terra e che lasciava sul greto una patina biancastra. Quale fu la sua
meraviglia quando, seguendo l’esempio delle due donne, si trovò coi piedi nudi
immersa in un fiume in taluni punti gelido, come si conviene ad un rio che trae
la sua linfa dalle nevi perenni, e in altri tanto caldo da far venire voglia di
immergersi anche in pieno inverno. Azalais e Brizeida sorrisero della sua
espressione stupita mentre gli abitanti del bosco osservavano le tre con
curiosità, sapevano che il cestino ricolmo voleva dire che avrebbero voluto
incontrare la Sibilla ma una delle tre era decisamente una sconosciuta. Ebbero
la certezza che fosse necessario aspettare e far capire che erano lì proprio
per incontrarla. Si sedettero dunque in una grotta, riparate da una cascata
naturale odorosa e calda, ad aspettare. L’attesa si prevedeva lunga perché le
due donne ben conoscevano la diffidenza degli abitanti del bosco. Crearono tre
giacigli con foglie e arbusti quindi si sedettero. Visto che
parlare non era cosa troppo semplice date le barriere linguistiche, le due
donne del borgo intonarono un canto, soffiando in un tronco cavo perfettamente
intarsiato dalle abili mani di Ot che produceva un suono magico, vellutato e
acuto al contempo. Fatima non sapeva suonare ma aveva capito che quello era
l’unico modo di raccontare la sua storia senza falsità e senza timori. Si alzò
e cominciò ad ondeggiare replicando con il bacino il movimento lento e
flessuoso di serpenti e anguille. Dal suo ventre partiva una danza atavica che ella
accompagnava con volute degli arti che si giravano in direzioni opposte e
contrarie. Il tempo trascorse senza tempo mentre il suono della voce si univa a
quello prodotto dal legno cavo e dal movimento del corpo. Si lasciarono andare
ad un’estasi mediterranea in cui le onde del mare dialogavano con le dune del
deserto nel bel mezzo delle alte montagne che abbracciavano la valle, forse
parteciparono anche gli abitanti del bosco e forse pure la Sibilla si unì a
loro perché, quando si destarono nell’abitazione della misteriosa forestiera il
cestino era vuoto delle prelibatezze del borgo ma pieno di un prezioso
manoscritto avvolto in carta di papiro che emozionò Fatima fino alle lacrime, e
di altri monili magici che Azalais e Brizeida sapevano come distribuire.
Nessuno seppe mai cosa accadde ma da quel giorno Fatima arricchì il cestino di
Brizeida e Azalais con leccornie preparate con le sue abili mani per gli
abitanti del bosco e per la Sibilla la quale ricambiava con i preziosissimi
fogli di papiro.
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