“Se ti prendono prega Dio che ti
ammazzino subito, sei una donna e sei pure giovane e bella” quelle parole erano
scolpite nella sua mente, non riusciva a dimenticarle, si inframmezzavano alle
preghiere con cui snocciolava il suo Rosario, fisicamente o mentalmente per
darsi il ritmo mentre pedalava lungo le strade ghiacciate del Veneto, tra file
di radicchi e insidie da ogni dove. Pregava, pregava, e cos’altro poteva fare?
era certa che il suo compito era importante e sapeva che era pericoloso,
pericolosissimo ma necessario. La Divina Provvidenza avrebbe espresso il volere
del Signore e avrebbe saputo giudicare se era giusto o no. Mentire ai genitori
non era una cosa buona ma se li avesse informati li avrebbe messi in pericolo,
questo le avevano insegnato in Brigata, nessuno doveva conoscere le sue azioni
e lei non doveva conoscere quelle degli altri, ne andava della vita e della dignità
personale. Il sangue le si gelava nelle vene mentre la forza di giovane donna
spingeva i pedali della pesante bicicletta oppure quando si doveva fermare per
aggiustare i copertoni. Quelli erano momenti in cui riusciva a muovere le mani
soltanto pregando nella sua testa che in quel momento non passasse un reparto
di fascisti. Se le camicie nere avessero trovato il prezioso contenuto della
sua borsa la sua unica speranza sarebbe stata un bel colpo secco di pistola e
sinceramente amava talmente la sua vita da non poter accettare un tale abominio
verso sé stessa e verso l’Onnipotente che, è ben noto, ai suicidi preferisce i
martiri. Nella chiesa nascosta tra le mura fortificate di Castelfranco Veneto,
il suo paese, c’erano le immagini di martiri e non le piaceva pensare che il suo
bel corpo sodo e generoso avrebbe dovuto subire lo strazio delle torture, cui
si sarebbero aggiunte quelle dedicate all’umiliazione sistematica delle donne. Un
giorno le preghiere si erano interrotte nella sua mente, la circolazione
sanguigna si era fermata e i bei rossi sul suo viso avevano lasciato il posto
ad un bianco più terreo di quello di un defunto. Due giovani l’avevano fermata,
avevano preso il manubrio della sua bici e il suo corpo aveva smesso di reagire
per un istante che le sembrò infinito. “Devi cambiare i copertoni, Gabriella”.
Il sangue le riaffiorò dalla punta degli alluci a quella di capelli ormai ritti
sulla testa come spini d’istrice. Una gioia pura le attraversò lo sguardo per
l’ultima volta nella sua vita, da quel giorno i suoi occhi sarebbero stati
perle di ossidiana, taglienti e imperscrutabili e la sua bocca soda e carnosa
si sarebbe trasformata in una fessura da cui non far uscire neanche una sillaba
che non fosse più che voluta. Lo spavento che aveva provato in quel momento era
stato qualcosa di indicibile che le aveva fatto capire che non sarebbe mai e
poi mai dovuta cadere nelle grinfie delle camicie nere.
Quel giorno di molti anni dopo, quando
un cronista[2]
le si avvicinò credendo di coglierla con le mani nel sacco a trasportare fuori
dal Parlamento i documenti riservatissimi della Commissione Parlamentare d’Inchiesta
sulla Loggia massonica P2 e si trovò con in mano qualche cipolla e la carne per
preparare i tortelli come si deve, ché a Roma non hanno ancora capito come si
preparino, ebbe la sensazione che il futuro non ha memoria.
“Non c’è niente che ci può salvare
quando si tradisce la storia”, disse a quella camicia nera di rosso bardata, il
suo sguardo d’ossidiana fece vacillare quell’uomo che si era permesso di
perquisire la borsa alla prima Ministro donna della storia italiana, alla
Presidente della Commissione Parlamentare che stava indagando con un prezioso
senso del dovere tra le carte necessarie a dimostrare l’esistenza di una loggia
deviata della Massoneria che avrebbe portato ad un probabile sovvertimento
antidemocratico della Repubblica italiana, di quella Nazione, di quello Stato
per cui lei aveva rischiato, pagando il prezzo altissimo di una giovinezza non
spensierata ma colma di paure, per la cui salvezza ella aveva trattato coi
nazisti in gran segreto di abbandonare il Veneto senza rappresaglie se volevano
raggiungere vivi il confine verso la loro patria. Il cronista per un momento,
unico e solo nella sua lunga carriera, ebbe la sensazione che il suo ruolo,
quello di giornalista, era di informare e conoscere, che forse non ci sarebbe
stato bisogno di istituire una Commissione Parlamentare se egli e i suoi
colleghi avessero agito in piena coscienza, se si fossero accorti delle strane
coincidenze tra nomi e amicizie, se avesse fatto semplicemente e onestamente il
proprio dovere. È noto che se tutti quanti agiscono in un modo, si finisce per
pensare che quel modo sia normale, che sia giusto perché è socialmente
accettabile. Tina ‘Gabriella’ Anselmi si era accorta subito che tra ciò che è
giusto e ciò che è socialmente accettabile c’è una gran bella differenza e
aveva agito, rischiando, pagando un prezzo molto alto, unendosi alle Brigate
Partigiane, combattendo “per difendere la pace” e poi tutelando i diritti di
donne, lavoratrici, insegnanti, bambine, perché è nelle famiglie e nella scuola
che si apprende il lessico della libertà e della democrazia o dell’oppressione.
“Bisogna non dimenticare – affermava
continuamente – ma fare della memoria l’arma pacifica per non ripetere gli
errori che hanno portato al fascismo”.
Errori, di valutazione o di azione, come
quello delle camicie nere che la costrinsero, lei ancora bambina insieme alle
sue compagne di scuola, ad assistere all’impiccagione ingiusta di un gruppo di
giovani per rappresaglia, senza che avessero preso parte a qualche azione di
guerriglia o di guerra, così, per sfregio, per affermare la loro schifosa
viltà, la loro infame codardia. Tina aveva tratto da quell’esperienza
l’insegnamento più importante di tutta la sua carriera scolastica, con tutto
che poi, finita la guerra, si laureò in Lettere alla Cattolica di Milano per
insegnare alle bambine le parole della pace. Aveva compreso che il bene e il
male non hanno molto a che fare con il socialmente accettato, seppure non si
possa dire di lei ch’ella fosse una rivoluzionaria sessantottina o altro.
Piuttosto, una donna con chiaro in testa il concetto di bene e male, con un
senso del dovere e una coerenza inflessibili.
C’era tutto questo e molto di più nello
sguardo privo di luce e gioia con cui trafisse il cronista che invece di fare
il suo mestiere, invece di pretendere che il lavoro giornalistico venisse
riconosciuto nella sua importante funzione di garante della democrazia e del
rispetto del volere popolare le aveva chiesto di aprire la borsa, le aveva
frugato tra cipolle e pezzi di carne con l’aria furbetta da gerarca di
second’ordine in camicia nera ritinta di rosso sperando di trovare qualcosa che
potesse far gridare per l’ennesima volta alla congiura, al ‘complotto
giudaico-massonico’ che vorrebbe rovesciare l’ordine mondiale per la creazione
di un nuovo ordine mondiale, senza ricordare che le stesse parole erano state
diffuse con stridula voce stentorea durante un buio ventennio della storia
italiana cui Tina ‘Gabriella’ Anselmi si era opposta pedalando per oltre cento
chilometri al giorno nelle gelide campagne della Marca Trevigiana, rischiando
la vita, l’onore, la famiglia e la sua giovinezza.
Mentre il cronista vacillava, per un
istante che mai più si sarebbe ripetuto nella sua ottusa e cieca obbedienza a
qualunque sistema, a qualsivoglia parola d’ordine, ella cercò di fargli capire
che c’è “bisogno che la cultura sia al servizio della verità, una verità che
vede ancora [tentativi] di contrabbandare qualcosa che non è parte del nostro
patrimonio”.
La staffetta Tina ‘Gabriella’ Anselmi,
classe d’acciaio temperato 1927, proseguì la sua strada, a piedi, con la borsa
piena di cipolle e di quel pezzo di carne che s’era fatta tagliare apposta da
Feroci, a due passi da lì, per fare quei tortelli che le ricordavano il sapore
della libertà e le davano il coraggio di andare avanti, nonostante le lettere
minatorie, nonostante lo sconforto che le assaliva gli zigomi forti e duri
tutte le volte che vedeva sfilare in Commissione tutti coloro che erano
espressione di quel potere mercenario che non ha idealità, menefreghista e
fascista che si era insidiato fin nei gangli più vitali dello Stato. Lo faceva
con spirito di abnegazione pur sapendo in cuor suo che chi le aveva affidato
l’incarico, Giulio Andreotti, forse non lo aveva fatto senza un preciso calcolo
opportunistico. Non avrebbe saputo indovinare se egli lo avesse fatto in piena
coscienza, quando i due si guardavano era più che altro una raffinatissima
espressione armigera di fioretto. Parlavano poco, più che altro incrociavano
qualche lama che fuoriusciva dalle loro labbra sigillate e sottili. Lei non si
curò di sapere quale fosse l’intenzione di Andreotti, guardò, le carte, con
molta attenzione e passò, all’azione concreta nella stesura di pesantissimi
atti della Commissione Parlamentare che ancor oggi sono macigni irrisolti di
una delle più oscure pagine della recente storia italiana.
“Vai avanti, sei una partigiana” le
dicevano, mentre le giungevano minacce ‘dall’alto’, le persone nella strada, il
popolo che lei si è sempre fregiata di rappresentare con un altissimo senso
dello Stato che però non le è mai valso la carica di Presidente della
Repubblica Italiana, forse perché una donna capo supremo dello Stato è un tabù
che ancora non si riesce ad infrangere.
[1] I riferimenti e le
citazioni riguardanti Tina Anselmi sono liberamente tratti da, in ordine
sparso, ANPI.it [ http://www.anpi.it/donne-e-uomini/131/tina-anselmi ] Camera.it [ http://storia.camera.it/organi/commissione-parlamentare-d-inchiesta-sulla-loggia-massonica-p2-08 e http://www.camera.it/_dati/leg08/lavori/Bollet/19830503_00_01.pdf ], Enciclopedia delle
Donne [ http://www.enciclopediadelledonne.it/biografie/tina-anselmi/ ]Treccani.it [ http://www.treccani.it/enciclopedia/tina-anselmi/ ] Wikipedia [ https://it.wikipedia.org/wiki/Tina_Anselmi ], 9Colonne [ http://www.9colonne.it/adon.pl?act=doc&doc=28208#.WBxGI_nhDIU ], YouTube con estratti
da BluNotte [ https://www.youtube.com/watch?v=78RQYOpsMtA ], Il Sole 24 Ore [ http://www.alleyoop.ilsole24ore.com/2016/11/01/tina-anselimi-raccontata-da-tina-anselmi ], La Privata
Repubblica [ http://www.laprivatarepubblica.com/overruling/P2%20-%20Relazione%20Anselmi.pdf ]
[2]
NB. L’episodio è liberamente
ispirato ad un fatto realmente accaduto mentre il riferimento al cronista o
giornalista coinvolto in tale episodio, di cui peraltro non saprei neanche dire
il nome, è di pura fantasia e la sua descrizione negativa è meramente
funzionale al meccanismo narrativo per mettere in risalto l’onestà
intellettuale di Tina Anselmi, senza nulla togliere all’onestà intellettuale e
professionale del giornalista effettivamente coinvolto nell’episodio qui
romanzato che assolutamente nulla ha in comune con quello qui narrato, e per
tratteggiare, per mezzo del contrasto, la tesa e complessa situazione socio-politica
del tempo senza alcun riferimento a persone realmente esistite e fatti realmente accaduti
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