Ferruccio
Parri. Il senso garibaldino e resistente dello Stato.
Spinge
ai monti questa idea, questo spirito, animatore di un movimento molto ampio;
non una sommossa, non un sussulto estemporaneo di ribellione, di pochi
individui; è un vero movimento di liberazione, superiore a quella che potrebbe
definirsi una normale guerra di liberazione patriottica, è un movimento che
contiene come movente una necessità politica e morale più ampia: liberare il
Paese e dare ad esso un altro stato, un altro reggimento, altre visuali, altre
prospettive, altri ideali.
La
Costituzione è ancora portata da questa onda, e presenta veramente la
fisionomia e la natura di un ultimo grande CLN, in cui la rappresentanza
politica non è in ragione della forza numerica, ma in ragione della
rappresentanza di un settore di idee, e la Costituzione non è né monolitica né
si regge su compromessi, ma su mediazioni, i cui termini essa riprende dalla
lotta e ripete, come legge dello Stato, come linguaggio comune per tutti noi
Senatore
Ferruccio Parri, 27 aprile 1965 [1]
L’Ufficiale di Stato Maggiore Ferruccio
Parri quel giorno si chiese a cosa fosse servita la sua laurea in Lettere, cosa
avrebbe potuto e dovuto insegnare ai suoi allievi e perché quelle tre ferite di
guerra avessero improvvisamente deciso di dolergli in quel modo atroce. Non voleva
ammettere che quei vigliacchi in camicia nera lo avevano colpito proprio sulle
cicatrici che gli rammentavano ogni giorno, come se ce ne fosse stato bisogno,
che l’Italia è la sua Patria e che la Patria non è uno scherzo, è qualcosa che
si difende anche con le baionette e i cannoni, se necessario, e nel 1915-1918 era
stato necessario. Le sue innumerevoli medaglie al valore non avevano attutito
il dolore dei colpi inferti paradossalmente più al suo spirito che al suo
corpo. Durante la Grande Guerra aveva trovato un modo per non sentire il
dolore, lo aveva messo a punto dopo la prima volta che era stato ferito in
battaglia e lo aveva perfezionato la seconda e quindi la terza. Concentrava il
respiro sul punto che più gli faceva male e pensava a Sandokan, agli eroi
raccontati da Emilio Salgari, che allietavano le sue fantasie, immaginava il
rumore del mare e gli sembrava di poter sentire il vento tra i filari delle
viti e sulla neve fresca che aveva il sapore della giovinezza. Ne aveva messi
in riga parecchi, lui, di facinorosi arroganti e attaccabrighe. Non si
aspettava, o forse non fino in fondo, che sarebbero giunti a picchiare un
militare pluridecorato del suo rango e invece gli arditi avevano subito
mostrato la loro codardia e più leggevano fierezza nei suoi occhi allenati al sacrificio
stoico dalla guerra e dalla cultura più si incarognivano nella loro
vigliaccheria che sembrava ingigantirsi sempre più di fronte al suo coraggio e
alla sua forza d’animo e fisica. Erano stati talmente ignobili da cercare
quelle ferite per colpire proprio lì dove più delicata era la sua pelle, più
dolorosi i colpi, più faticosa la capacità di sopportazione. Non aveva parlato,
non aveva emesso un gemito che fosse uno, non avrebbe dato a quella feccia
criminale il minimo spunto per vantarsi. Un italiano, un piemontese, ha più
forza e amor di Patria di dieci eserciti messi insieme, figurarsi di una
squadraccia di ignobili vili senza ideali, senza rispetto e senza scrupoli,
avidi di abusi e niente più. Ciò che lo aveva ferito, e questo doveva proprio
ammetterlo, era lo svilimento dello Stato, ma questo lo aveva già subodorato,
anni prima, quando nel 1925 aveva dovuto allontanarsi, nonostante le richieste
del direttore Luigi Albertini, dalla prestigiosissima redazione del Corriere
della Sera per discordanze ideologiche. Insieme ai maltrattamenti gli comunicavano
che gli avevano tolto anche il posto di insegnante per non aver preso la
tessera del partito ma l’umiliazione di essere malmenato come il più infimo
delinquente da un branco di criminali gli bruciava più di quanto volesse
ammettere. Gli avrebbe fornito anche la motivazione, beninteso, per guidare la
Resistenza, per sopportare le violenze e le ingiustizie delle SS, per tollerare
l’orrore del campo di concentramento di Bolzano e per riprendere a combattere
contro i nemici dello Stato e di quell’Italia che egli aveva contribuito a
creare e difendere. Gli sgherri in camicia nera erano e sono rimaste nullità.
Ferruccio Parri, Padre della Patria, non ha mai lasciato che qualche bravaccio
gli togliesse la dignità di essere fieramente italiano.
Quello era un avvertimento che lui
interpretò in modo diametralmente opposto a come avrebbero voluto i suoi poco
fantasiosi aguzzini. Nel 1926 aiutò Filippo Turati, insieme a Carlo Rosselli,
Lorenzo De Bova e Sandro Pertini, a fuggire verso la Francia con una
rocambolesca traversata del Mar Ligure in motoscafo e per questo lo arrestarono.
“Vostro Onore – arringò il suo avvocato
Vittorio Luzzati – nel giudicare questo caso, che accusa il mio assistito di svolgere
intensa attività socialista, di essere collaboratore di giornali antifascisti
italiani e stranieri, nonché di aver favorito l'espatrio di Filippo Turati,
vorrei ricordare che l’imputato è stato insignito di ben tre medaglie d’argento
al valor militare, coraggiosamente guadagnate in battaglia durante la Guerra…”
“Se considero l’Italia attuale – lo interruppe
Ferruccio Parri – io mi vergogno delle mie decorazioni!”
Di fronte ad un tribunale ingiusto e
iniquo un’affermazione del genere ebbe l’effetto di una condanna a dieci mesi
di carcere e cinque anni di confino a Ustica, Lipari e Vallo della Lucania, che
ovviamente non piegarono lo spirito guerresco e testardo dell’Ufficiale di
Stato Maggiore Parri.
Molti anni trascorsero da quel primo agguato
vigliacco e vile, parecchie di quelle camicie nere passarono poi dall’altra
parte della barricata strillando contro i loro stessi camerati, altre vennero
uccise nel motto ‘se vedi un punto nero spara a vista, o è un prete o è un
fascista’, molti morirono nella vergogna di aver svilito lo Stato e moltissimi
altri non compresero la gravità delle loro azioni. Svilire il senso dello
Stato, attuare un sovvertimento di principi fondamentali di giustizia e libertà
su cui si fonda, per noncuranza, menefreghismo o peggio ancora per ‘moda’ è
gravissimo e il Professor Ferruccio Parri non smise mai di ripeterlo ai suoi
giovani allievi o ai non giovanissimi senatori e deputati italiani cui non
poche volte dovette ‘tirare le orecchie’, in qualità di Presidente del
Consiglio o di Presidente del Senato, e ricordare che sedere su uno scranno
parlamentare è un onere e un onore e non un privilegio da conquistare con la
corruzione e mediante favoreggiamenti di quelle associazioni a delinque di
stampo mafioso che egli combatté con la medesima foga con cui si lanciò contro
i criminali in camicia nera.
“A me, vecchio compagno vostro, che
conosce la storia del Senato ed anche la storia d'Italia, sarebbe difficile non
sentire in questo momento che cosa voi rappresentate e quale è e sarà il nostro
compito. Questo sarà certamente difficile, ma difficile nel senso che esigerà
degli sforzi, delle visioni d'insieme delle misure della capacità globale del
popolo italiano, che vi permetterà di lasciare nella storia il ricordo grande
di questa nuova unione delle forze nazionali. È questa la speranza, è questo il
desiderio di quest'ora: che il Senato sappia interpretare le necessità delle
masse, le necessità di chi ha bisogno, sappia interpretare la sete, la volontà
di giustizia che anima il popolo italiano, che esige questa stessa mentalità,
questo spirito in chi ne regge il governo, che vuole questa capacità di
superare le posizioni e le resistenze dei singoli ed anche dei singoli partiti,
che sa che occorre uno spirito nuovo per creare una fase nuova anche della
storia del Senato, e perché questa
rimanga come un momento felice di intuizioni nuove e di consenso.” [2]
[1] Ferruccio Parri, IV
Legislatura, Resoconto Stenografico 282ma Seduta Pubblica, 27 aprile 1965, Senato
della Repubblica http://www.senatoperiragazzi.it/media/Documenti/italiani/fascicolo_parri_torino_web.pdf
[2] Ferruccio Parri,
Discorso del Presidente Provvisorio del Senato, VII Legislatura, Resoconto
Stenografico, 5 luglio 1976 http://www.senatoperiragazzi.it/media/Documenti/italiani/fascicolo_parri_torino_web.pdf
Nessun commento:
Posta un commento