domenica 16 ottobre 2016

Senatori 2. Ferruccio Parri. Il senso garibaldino e resistente dello Stato. (bozza)

Ferruccio Parri. Il senso garibaldino e resistente dello Stato.

Spinge ai monti questa idea, questo spirito, animatore di un movimento molto ampio; non una sommossa, non un sussulto estemporaneo di ribellione, di pochi individui; è un vero movimento di liberazione, superiore a quella che potrebbe definirsi una normale guerra di liberazione patriottica, è un movimento che contiene come movente una necessità politica e morale più ampia: liberare il Paese e dare ad esso un altro stato, un altro reggimento, altre visuali, altre prospettive, altri ideali.

La Costituzione è ancora portata da questa onda, e presenta veramente la fisionomia e la natura di un ultimo grande CLN, in cui la rappresentanza politica non è in ragione della forza numerica, ma in ragione della rappresentanza di un settore di idee, e la Costituzione non è né monolitica né si regge su compromessi, ma su mediazioni, i cui termini essa riprende dalla lotta e ripete, come legge dello Stato, come linguaggio comune per tutti noi
Senatore Ferruccio Parri, 27 aprile 1965 [1]

L’Ufficiale di Stato Maggiore Ferruccio Parri quel giorno si chiese a cosa fosse servita la sua laurea in Lettere, cosa avrebbe potuto e dovuto insegnare ai suoi allievi e perché quelle tre ferite di guerra avessero improvvisamente deciso di dolergli in quel modo atroce. Non voleva ammettere che quei vigliacchi in camicia nera lo avevano colpito proprio sulle cicatrici che gli rammentavano ogni giorno, come se ce ne fosse stato bisogno, che l’Italia è la sua Patria e che la Patria non è uno scherzo, è qualcosa che si difende anche con le baionette e i cannoni, se necessario, e nel 1915-1918 era stato necessario. Le sue innumerevoli medaglie al valore non avevano attutito il dolore dei colpi inferti paradossalmente più al suo spirito che al suo corpo. Durante la Grande Guerra aveva trovato un modo per non sentire il dolore, lo aveva messo a punto dopo la prima volta che era stato ferito in battaglia e lo aveva perfezionato la seconda e quindi la terza. Concentrava il respiro sul punto che più gli faceva male e pensava a Sandokan, agli eroi raccontati da Emilio Salgari, che allietavano le sue fantasie, immaginava il rumore del mare e gli sembrava di poter sentire il vento tra i filari delle viti e sulla neve fresca che aveva il sapore della giovinezza. Ne aveva messi in riga parecchi, lui, di facinorosi arroganti e attaccabrighe. Non si aspettava, o forse non fino in fondo, che sarebbero giunti a picchiare un militare pluridecorato del suo rango e invece gli arditi avevano subito mostrato la loro codardia e più leggevano fierezza nei suoi occhi allenati al sacrificio stoico dalla guerra e dalla cultura più si incarognivano nella loro vigliaccheria che sembrava ingigantirsi sempre più di fronte al suo coraggio e alla sua forza d’animo e fisica. Erano stati talmente ignobili da cercare quelle ferite per colpire proprio lì dove più delicata era la sua pelle, più dolorosi i colpi, più faticosa la capacità di sopportazione. Non aveva parlato, non aveva emesso un gemito che fosse uno, non avrebbe dato a quella feccia criminale il minimo spunto per vantarsi. Un italiano, un piemontese, ha più forza e amor di Patria di dieci eserciti messi insieme, figurarsi di una squadraccia di ignobili vili senza ideali, senza rispetto e senza scrupoli, avidi di abusi e niente più. Ciò che lo aveva ferito, e questo doveva proprio ammetterlo, era lo svilimento dello Stato, ma questo lo aveva già subodorato, anni prima, quando nel 1925 aveva dovuto allontanarsi, nonostante le richieste del direttore Luigi Albertini, dalla prestigiosissima redazione del Corriere della Sera per discordanze ideologiche. Insieme ai maltrattamenti gli comunicavano che gli avevano tolto anche il posto di insegnante per non aver preso la tessera del partito ma l’umiliazione di essere malmenato come il più infimo delinquente da un branco di criminali gli bruciava più di quanto volesse ammettere. Gli avrebbe fornito anche la motivazione, beninteso, per guidare la Resistenza, per sopportare le violenze e le ingiustizie delle SS, per tollerare l’orrore del campo di concentramento di Bolzano e per riprendere a combattere contro i nemici dello Stato e di quell’Italia che egli aveva contribuito a creare e difendere. Gli sgherri in camicia nera erano e sono rimaste nullità. Ferruccio Parri, Padre della Patria, non ha mai lasciato che qualche bravaccio gli togliesse la dignità di essere fieramente italiano.
Quello era un avvertimento che lui interpretò in modo diametralmente opposto a come avrebbero voluto i suoi poco fantasiosi aguzzini. Nel 1926 aiutò Filippo Turati, insieme a Carlo Rosselli, Lorenzo De Bova e Sandro Pertini, a fuggire verso la Francia con una rocambolesca traversata del Mar Ligure in motoscafo e per questo lo arrestarono.
“Vostro Onore – arringò il suo avvocato Vittorio Luzzati – nel giudicare questo caso, che accusa il mio assistito di svolgere intensa attività socialista, di essere collaboratore di giornali antifascisti italiani e stranieri, nonché di aver favorito l'espatrio di Filippo Turati, vorrei ricordare che l’imputato è stato insignito di ben tre medaglie d’argento al valor militare, coraggiosamente guadagnate in battaglia durante la Guerra…”
“Se considero l’Italia attuale – lo interruppe Ferruccio Parri – io mi vergogno delle mie decorazioni!”
Di fronte ad un tribunale ingiusto e iniquo un’affermazione del genere ebbe l’effetto di una condanna a dieci mesi di carcere e cinque anni di confino a Ustica, Lipari e Vallo della Lucania, che ovviamente non piegarono lo spirito guerresco e testardo dell’Ufficiale di Stato Maggiore Parri.
Molti anni trascorsero da quel primo agguato vigliacco e vile, parecchie di quelle camicie nere passarono poi dall’altra parte della barricata strillando contro i loro stessi camerati, altre vennero uccise nel motto ‘se vedi un punto nero spara a vista, o è un prete o è un fascista’, molti morirono nella vergogna di aver svilito lo Stato e moltissimi altri non compresero la gravità delle loro azioni. Svilire il senso dello Stato, attuare un sovvertimento di principi fondamentali di giustizia e libertà su cui si fonda, per noncuranza, menefreghismo o peggio ancora per ‘moda’ è gravissimo e il Professor Ferruccio Parri non smise mai di ripeterlo ai suoi giovani allievi o ai non giovanissimi senatori e deputati italiani cui non poche volte dovette ‘tirare le orecchie’, in qualità di Presidente del Consiglio o di Presidente del Senato, e ricordare che sedere su uno scranno parlamentare è un onere e un onore e non un privilegio da conquistare con la corruzione e mediante favoreggiamenti di quelle associazioni a delinque di stampo mafioso che egli combatté con la medesima foga con cui si lanciò contro i criminali in camicia nera.

A me, vecchio compagno vostro, che conosce la storia del Senato ed anche la storia d'Italia, sarebbe difficile non sentire in questo momento che cosa voi rappresentate e quale è e sarà il nostro compito. Questo sarà certamente difficile, ma difficile nel senso che esigerà degli sforzi, delle visioni d'insieme delle misure della capacità globale del popolo italiano, che vi permetterà di lasciare nella storia il ricordo grande di questa nuova unione delle forze nazionali. È questa la speranza, è questo il desiderio di quest'ora: che il Senato sappia interpretare le necessità delle masse, le necessità di chi ha bisogno, sappia interpretare la sete, la volontà di giustizia che anima il popolo italiano, che esige questa stessa mentalità, questo spirito in chi ne regge il governo, che vuole questa capacità di superare le posizioni e le resistenze dei singoli ed anche dei singoli partiti, che sa che occorre uno spirito nuovo per creare una fase nuova anche della storia del Senato, e perché  questa rimanga come un momento felice di intuizioni nuove e di consenso.” [2]



[1] Ferruccio Parri, IV Legislatura, Resoconto Stenografico 282ma Seduta Pubblica, 27 aprile 1965, Senato della Repubblica http://www.senatoperiragazzi.it/media/Documenti/italiani/fascicolo_parri_torino_web.pdf
[2] Ferruccio Parri, Discorso del Presidente Provvisorio del Senato, VII Legislatura, Resoconto Stenografico, 5 luglio 1976 http://www.senatoperiragazzi.it/media/Documenti/italiani/fascicolo_parri_torino_web.pdf

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