lunedì 17 ottobre 2016

Senatori 3. Benedetto Croce. Un Muso politico. (bozza)

Benedetto Croce. Un Muso politico.
«Il mio liberalismo è cosa che porto nel sangue, come figlio morale degli uomini che fecero il Risorgimento italiano, figlio di Francesco De Sanctis e degli altri che ho salutato sempre miei maestri di vita. La storia mi metterà tra i vincitori o mi getterà tra i vinti. Ciò non mi riguarda. Io sento che ho quel posto da difendere, che pel bene dell'Italia quel posto dev'essere difeso da qualcuno, e che tra i qualcuni sono chiamato anch'io a quell'ufficio. Ecco tutto.»
Benedetto Croce, Lettera a Vittorio Enzo Alfieri del 10 ottobre 1925[1]

Il Monzù Nicola e’ Tricase, al secolo Nicola Micera, aveva messo da parte i denari sufficienti per aprire, nel 1840, un ristorante tutto suo al Vomero. I suoi manicaretti erano ben noti alla nobiltà napoletana che aveva avuto modo di apprezzarli presso i Principi di Tricase dove egli aveva ottenuto l’ambitissimo appellativo di Monzù, capocuoco di corte si potrebbe tradurre, per cui non gli fu difficile attirare clientela facoltosa e quella che a Napoli tuttora si chiama ‘bella gente’. Il nome scelto per l’insegna fu il suo soprannome che, come da gloriosa tradizione italiana, si tramandò di padre in figlio fino a Vincenzo, chiamato Pallino ‘3’ per rispetto generazionale. Ogni Pallino ebbe un tipo di clientela che animava il locale e Pallino 3 si trovò a sfamare, dietro lauto compenso, i più importanti intellettuali del suo tempo, tra cui i Nove Musi che ‘al grato arrivo di Peppino Ceci […] diventaron Dieci’, solennemente riuniti in Società con tanto di statuto e regolamento per il pagamento dei salatissimi conti. Intorno alle squisitezze imbandite da Vincenzo nipote del Monzù Nicola e’ Tricase si era aggregato un vero e proprio circolo intellettuale che esprimeva appieno la cultura convivial-gastronomica del Mediterraneo e le idee più innovative del pensiero, anche politico, contemporaneo. Senza andare a svelare i nomi[2] basterà dire che intorno al tavolo non verde[3] ma imbandito Benedetto Croce chiedeva ad un editore analfabeta che da strillone era riuscito a diventare il più importante e prestigioso editore partenopeo e ad altri intellettuali di criticare la propria produzione letteraria, poco importava ch’egli fosse uno tra gli intellettuali più importanti del Diciannovesimo e Ventesimo secolo, davanti ad un bel piatto di bucatini con le vongole le differenze si livellavano con la forza di una risata e di una goliardata.





[1] Dalla voce Wikipedia su Benedetto Croce https://it.wikipedia.org/wiki/Benedetto_Croce
[2] I nomi e la storia del cenacolo è facilmente consultabile nella voce su Wikipedia https://it.wikipedia.org/wiki/Societ%C3%A0_dei_Nove_Musi oppure nell’interessante articolo di Massimo Gatta http://archivio.mensamagazine.it/articolo.asp?id=576
[3] Il Tavolo Verde è una coreografia del 1932 di Kurt Joos, considerato il manifesto del teatro-danza e del successivo tanz-theater tedesco di cui Pina Bausch è l’esponente più nota, prima dell’esilio forzato dell’artista nel Regno Unito. Joos mette in scena un distillato di formalismo ed espressionismo tedesco in cui ridicolizza l’abitudine di politicanti d’ogni nazione di decidere i destini degli Stati in un balletto di vanità intorno ad un tavolo da gioco con una modalità stilistica che anticipa di circa otto anni il meravigliosamente orrido balletto di Charlie Chaplin ne Il Grande Dittatore. Nel Grune Tisch jossiano, coreografia di un’attualità sconcertante, i danzatori, tutti maschi, cosa abbastanza rara per quel periodo, indossano eleganti abiti neri, guanti, ghette e maschera bianchi. https://www.youtube.com/watch?v=t5BUkCd2Hfw  

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