martedì 11 maggio 2021

Ötzi e la cacciatrice

 

C'era una volta, oltre cinquemila anni fa, durante l'età del rame, dopo il paleolitico, era della pietra antica, il mesolitico, età della pietra di mezzo, e il neolitico, era della pietra levigata, un villaggio nella Val Senales, Alpi Venoste, dove viveva Ötzi.

 

Un giorno Ötzi venne chiamato mentre era nel bosco in cerca di legna e fungo esca per accendere il fuoco.

 

“Ötzi vieni, corri!”

“Che succede? Non vedi che sta raccogliendo la legna?”

“Sì ma al villaggio ti cercano tutti”

“Perché?”

“Quante storie! Vieni ti dico”

Ötzi di fronte a tanta insistenza non poté far altro che tornare al villaggio.

 

Un fulmine era caduto a poca distanza dalle abitazioni, capanne di legno, paglia, pelli e altri elementi. Non c’erano stati danni a cose o persone ma Laun, la guaritrice, si era presa un tale spavento da non riuscire più a curare nessuno e, soprattutto, ad aiutare nelle nascite, il che costituiva un grave problema anche per i villaggi vicini.

“E io che ci posso fare?”, chiese Ötzi confuso.

“Dovrai andare sui monti a raccogliere tepali di croco delle nevi”, gli spiegò un vecchio saggio.

“Tepali? Ma non si dice ‘petali’?”, domandò Ötzi perplesso.

“No: ci sono i sepali, i petali e i tepali”, gli spiegò Simi, che in fatto di piante sapeva tutto.

“E come si distinguono?”, spiò Ötzi

“I tepali sono sepali che sembrano petali e viceversa”, rispose Simi candidamente.

“”Ahh, chiarissimo!”, ironizzò Ötzi che non aveva capito un bel niente.

“Sai riconoscere un croco delle nevi?”, tagliò corto il veggio saggio.

“Sì ma…”

“Niente ma. Va’ e porta con te pirite e un buon panino”, intimò il saggio

“Va bene, va bene, vado!”

“Ricorda che chi lassa pane e cappa…” lo avvertì il saggio

“Non po’ sape’ ‘ndo ‘ncappa”, concluse Ötzi canzonandolo

“Beh, forse si dirà tra qualche anno ma… ci siamo intesi”, concluse il saggio.

 

Ötzi a malincuore riempì di paglia ben essiccata le sue babbucce-scarponi, il suo borsello di pelle di cinghiale e indossò i pantaloni di pelle sulla tunica. Scelse buone frecce, caricò l’arco in spalla e si incamminò.

 

Non era certo una brutta giornata: gli uccellini cinguettavano CIP CIP CIP, qualche daino faceva capolino ignaro del rischio di finire in forno, gli scoiattoli zompettavano BOMP BOMP.

Ötzi cacciò un bel capriolo, lo caricò in spalla e bussò alla porta…

 

… TOC TOC no, la porta vera e propria non c’era… al muro… TOC TOC non c’era neanche quello… al legno della capanna di suoi amici carissimi.

TOC TOC “Chi è?”, indagò una voce dall’interno della capanna

TOC TOC “Ötzi ma sei tu! Che bella sorpresa!”, esclamò Quaira scostando le pelli che proteggevano l’uscio dal freddo.

“Ciao, passavo di qua e…” balbettò Ötzi tenendo il capriolo con le mani

“Cos’hai sulle spalle?”, sorrise Quaira

“Vi ho portato un pensierino”, si schernì Ötzi porgendole il capriolo appena cacciato. All’epoca non c’erano le pasticcerie.

 

“Ma che gentile, grazie, non dovevi disturbarti”, disse Quaira invitandolo ad entrare

“Oh niente, è un gran piacere rivedervi, state tutti bene?”, si schernì Ötzi

“Sì, grazie, entra! Stiamo affumicando la carne di cervo, lo spezzatino è in pentola e il pane è nel forno”, disse Quaira.

“Uhm che profumino”, esclamò contento e affamato Ötzi.

“Siediti e raccontaci cosa ti porta da queste parti”, lo esortò Quaira.

Ötzi si sedette e raccontò davanti ad una bella tazza di brodo fumante cosa era accaduto a Laun.

 

“E ora eccomi qui ma io non so riconoscere un sepalo da un tepalo da un petalo”, concluse Ötzi sconsolato.

 

“Non ti preoccupare, andrà tutto bene”, lo rassicurarono i suoi amici. “Vedrai un raggio di sole coi colori dell’arcobaleno e saprai qual è il giusto tepalo”, lo rassicurò Grawand che fino a quel momento non aveva profferito parola.

 

Ötzi si rifocillò, si scaldò e si riposò, dunque salutò i suoi amici invitandoli al villaggio in estate, che non era poi così lontana visto che erano in primavera, la stagione perfetta per il fungo esca, necessario ad accendere il fuoco.

Si incamminò sulla montagna scrutando il cielo in cerca di qualche arcobaleno che potesse indicargli la via o di qualunque altro segnale che potesse aiutarlo.

Come ben sanno i montanari, la montagna va rispettata e mai sottovalutata.

 

Ötzi camminava cercando di memorizzare bene il percorso: non c’erano i segnali del C.A.I. ad indicargli il sentiero, non esisteva la bussola, non c’era l’atlante e neanche le carte topografiche, cioè del luogo, non c’erano cartelli, né internet e neanche il cannocchiale con cui Galileo Galilei aveva meravigliato il suo amico Federico Cesi, non c’era il soccorso alpino…

 

Cammina cammina, un passo dopo l’altro, trovò il luogo giusto e il croco illuminato da un raggio arcobaleno ma calò una nebbia fitta, fittissima, così densa che non si vedeva ad un palmo dal naso.

 

Nei dintorni una cacciatrice era in agguato: voleva portare al suo villaggio qualcosa di buono da mangiare. Udì un rumore, lo scricchiolio di un rametto forse, caricò l’arco e scoccò la sua freccia. THUMP “Dev’essere una preda bella grossa – pensò soddisfatta – forse un orso”.

 

Non era un orso ma Ötzi in carne e ossa! Che dispiacere. Pianse ma capì che ormai non c’era più niente da fare: non avrebbe potuto mai salvarlo, se non a costo della sua stessa vita. Si asciugò le lacrime e si avviò verso il villaggio, ripromettendosi di tornare per seppellirlo.

 

La cacciatrice giunse al suo villaggio giusto in tempo prima che si scatenasse una furiosa tempesta di neve. Una valanga sommerse Ötzi e non vi fu modo di ritrovarlo fino al 19/9/1991, cioè moltissimi anni dopo, dagli escursionisti Erika e Helmut Simon nel ghiacciaio del Similaun.

 

Mentre scalavano videro qualcosa…

“È un uomo!” “Chiamiamo il soccorso alpino!” “Presto correte!” dissero.

I soccorsi arrivarono ma si accorsero ben presto che non era questione da medici e infermieri.

“Questa è una mummia…” esclamarono sorpresi.

“Bisognerà chiamare gli archeologi”, conclusero.

 

Quando gli archeologi e le archeologhe sopraggiunsero furono più che felici: era una scoperta sensazionale.

Subito dopo, però, iniziarono a litigare:

“Ötzi è italiano”

“Ötzi è austriaco!”

“È nostro!”

“No, è nostro!”

E così dicendo si presero a palle di neve.

 

Per risolvere la diatriba scartabellarono mappe, carte, libri, consultarono codici e atti fino al Milleseicento, più o meno l’epoca dei Lanzichenecchi, di Caravaggio, di Renzo e Lucia, della Pucciarella e di Galileo Galilei.

 

Ötzi è italiano. Non gli diedero un passaporto o una carta d’identità ma gli costruirono una sepoltura più che degna seppur lontana dal canto degli uccellini nel Museo archeologico dell’Alto Adige a Bolzano.

 

 

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