Lettera
a mia figlia finalmente nata (bozza)
Il titolo di questa lettera è
volutamente ispirato a quello di un libro di Oriana Fallaci in cui la
grandissima giornalista toscana parla ad un figlio mai nato. Ebbene tu,
carissima Giulia, sei nata nel momento in cui io e tuo padre, Claudio, avevamo
perso le speranze di poter avere un figlio. Ci eravamo rincontrati ‘da grandi’,
dopo un fidanzamento di un anno in tenera età con tanto di solenne giuramento
di eterno amore di fronte al ‘Monumento’ garibaldino. Io avevo tredici anni e
lui sedici ed eravamo innamorati, pienamente, per quanto si possa essere
innamorati e ‘fidanzati’ a quell’età. Poi ci siamo separati per
un’incomprensione su qualcosa che avevamo preso nel verso sbagliato. Mia nonna,
la tua bisnonna, Augusta ha sempre detto che tutto ha un verso, come le stoffe,
anche le persone… Per qualche bizzarra ragione del destino e dopo esserci
fondamentalmente cercati per oltre vent’anni in ogni angolo di strada percorsa,
nei momenti di solitudine e allegrezza, nei volti di persone che abbiamo
incontrato nel corso degli anni, con la caparbietà e l’orgoglio, quanto è
stupido l’orgoglio amore mio!, di chi non vuole ammettere i propri errori, ci
siamo incontrati di nuovo e dopo ben due anni abbiamo deciso di uscire insieme.
Già dal primo giorno abbiamo capito che l’amore travalica qualunque confine, di
spazio e di tempo, e chi ha la fortuna di incontrare la persona giusta deve
ricacciare in gola l’orgoglio e vivere appieno la propria felicità. Eravamo già
grandicelli e all’inizio non pensavamo a procreare, poi ci abbiamo provato più
e più volte ma qualcosa andava sempre per il verso sbagliato. Non era ancora il
tuo momento, amore mio, eri tu la stella che avrebbe illuminato la nostra vita
e dovevamo aspettare. Quando hai deciso di nascere avevamo perso le speranze di
avere un figlio, così come quando ci eravamo rincontrati avevamo perso la
speranza di costruire una famiglia con la persona che amavamo davvero. Giulia
mia bellissima, se c’è qualcosa che puoi imparare da noi è avere fiducia nella
vita, ma questo è forse l’insegnamento che tu darai a noi, crescendo.
Sei stata concepita in un autunno colmo
di terremoti, la terra ha tremato, le case hanno vacillato, i muri hanno
oscillato e abbiamo avuto tutti quanti tanta paura. Il sisma ha fatto
moltissimi danni nelle zone dell’epicentro ma qui a Mentana ci siamo soltanto
spaventati. Io e tuo padre stavamo attraversando un momento di inquietudine,
c’era stato un aborto spontaneo e la sensazione di qualcosa andato storto non
per nostra volontà ci stava amareggiando, i movimenti tellurici hanno scosso la
nostra individualità, ci siamo guardati di nuovo, come se ci fossimo ritrovati
per l’ennesima volta e abbiamo riso della gran fortuna che ci aveva nuovamente
fatto stare l’uno accanto all’altra. Hai portato armonia nella nostra famiglia
ancor prima del tuo concepimento naturale. Per qualche ragione, un po’ forse
anche perché non volevamo illuderci di tanta gioia, ci siamo accorti che io ero
incinta un po’ tardi. Le mestruazioni saltavano ogni qual volta c’era una
scossa ma io mi sentivo allegra e molto equilibrata, i miei alti picchi e
profonde vallate sembravano essersi placate in una calma che mai scorderò. Ero
allegra e spensierata nei primi mesi, seppur sempre raffreddata per mancanza di
ferro, carenza che mi avrebbe accompagnata per tutta la gravidanza e che
avremmo risolto con un’intesa tra il macellaio argentino Oscar e tuo padre che
aumentavano di giorno in giorno la quantità di manzo che mi propinavano
quotidianamente, nonché con una bella integrazione di ferro in pastiglie.
I primi quattro mesi sono stati la base
del rapporto tra te, me e tuo padre. Una specie di complicità cresceva tra noi
insieme alla pancia che non ne voleva più sapere di entrare nei pantaloni,
altro che qualche chiletto in più per lo stress da terremoto, c’eri tu, amore
mio, nel mio utero che scalpitavi per nascere e vivere.
A partire dal quarto mese abbiamo
ammesso a noi stessi che forse il momento tanto atteso era arrivato anche per
noi, abbiamo quindi cercato strutture sanitarie adatte a farti nascere nel modo
più armonioso possibile e ginecologi non invadenti. La nostra scelta,
rivelatasi ottima, si è orientata verso l’ospedale pubblico di Orvieto e
abbiamo trovato uno studio dove effettuare la prima ecografia, volevamo che
fosse in 3D per vederti nel pieno della tua bellezza. Cercando cercando abbiamo
trovato uno studio e abbiamo preso appuntamento, chi ha fatto l’ecografia è
stata anche la ginecologa che ha seguito la gravidanza. Durante questa prima
visita ti abbiamo vista in tutto il tuo splendore, Giulia mia, abbiamo saputo,
con immensa gioia, che sei femmina e che nel mio utero stavi benissimo. È vero
che le coincidenze sono qualcosa che assembliamo nella nostra mente ma ce ne
sono alcune che voglio raccontarti più che altro per farti conoscere una parte
delle tue origini. La tua bisnonna Antonina si era salvata dal terribile sisma
che aveva raso al suolo Avezzano scavando con le sue piccole manine e tu sei
stata concepita durante un periodo di grandi terremoti, da lei hai ripreso una
parte della forma delle tempie e la capacità di non perdere mai la speranza e
di ridarla a chi l’aveva smarrita, come noi. Antonina aveva una figlia, docente
di matematica e scienze in una scuola femminile che mai si sposò né ebbe figli,
tua Prozia Egle, nome non molto comune attualmente, che amava dipingere quadri
raffiguranti donne oppure fiori. Nella sala d’aspetto della dottoressa Patrizia
De Luca, la ginecologa nonché, avremmo scoperto in seguito, moglie del primario
del reparto di ostetricia e ginecologia di Orvieto, il dottor Angelozzi,
c’erano alcune piante molto rigogliose, tra cui una kenzia, particolarmente
amata da tua nonna Lucilla, e alcuni acquerelli raffiguranti delle donne con
fiori tra le mani, firmati semplicemente Egle, con una grafia molto simile a
quella della tua prozia, vederli ci ha messo di buon umore.
Niente, ovviamente, a confronto con
l’emozione di sentire per la prima volta il battito del tuo cuore e vederti
muovere con la scucchietta di tuo padre quando era ragazzino, il visetto dispettoso
e sereno, le gambe lunghe, le mani piccole e bellissime, gli organi
perfettamente funzionanti, dallo schermo che proiettava le immagini raccolte
dall’ecografo posizionato sul mio ventre. Ho pianto di gioia, una felicità che
pensavo di non avere la fortuna di provare in tutta la mia vita.
Tuo padre fortunatamente era seduto,
altrimenti probabilmente, per la prima volta, sarebbe svenuto per la
contentezza.
A quel punto abbiamo potuto comunicare
ai tuoi nonni che saresti nata in piena estate, verso la fine di luglio, e che
non avrebbero dovuto dire niente a nessuno fino alla tua nascita. Nonno Pietro
è riuscito a mantenere la promessa addirittura con i suoi parenti più stretti,
nonno Giancarlo quasi, non altrettanto hanno fatto le tue nonne Lucilla e Enza,
la cui voce strabordava felicità.
Uncinetti e ferri hanno cominciato a
confezionarti, nonostante le mie proteste per fare tutto dopo la tua nascita,
un primo corredino e mentre le copertine, i maglioncini e le scarpette
prendevano forma, si concretizzavano nelle nostre menti anche le tue esigenze
concrete. Ci siamo accorti che non avevamo pensato neanche all’acquisto della
culla o dell’ovetto necessario a percorrere la strada da Orvieto a Mentana e i
nostri ritmi, le nostre conversazioni, ricerche, energie hanno cominciato ad
avventurarsi nel variegato e complessissimo mondo della puericultura e del
prémaman.
Dal quinto mese in poi, insieme ai libri
di Mazzini e Sciascia, che hanno caratterizzato la prima parte della
gravidanza, hanno cominciato a comparire analisi cliniche, ecografie, cataloghi
di passeggini, vestitini, moduli di richiesta di tessere sconto, punti e
fedeltà nei vari negozi e megastore per la prima infanzia, la gravidanza e
l’allattamento.
In mezzo a tutto questo delirio da
shopping, un giorno in cui ero distesa sul divano cercando di sentire i tuoi
amorevoli calcetti, ho avuto la sensazione netta, assoluta della creazione
dell’universo, le parole di Margherita Hack ‘siamo composti della stessa
materia di cui sono composte le stelle’, si sono concretizzate nel mio ventre,
nel mio corpo, e ho avuto l’impressione di star creando, insieme a te, tutto
l’universo, in un attimo in cui il presente, il passato e il futuro mi sono
sembrati compresenti, contestualmente all’azzeramento di qualunque limite e
confine spazio-temporale. Inutile dirti che è stato un momento di pura estasi
meditativa in cui tutto ha avuto senso assoluto e in divenire.
Tuo padre, dal canto suo, ha imparato a
conoscerti e, dopo i primi approcci un po’ timidi, ha deciso di abbandonare la
vergogna e cominciare a parlarti, a farti ascoltare la musica, a coccolarti
attraverso il pancione, per cui ha trascorso ore a chiacchierare con te,
seppure all’apparenza poteva sembrare che stesse dialogando con il mio ventre.
Dal settimo mese è iniziato il caldo e
con esso i disagi tipici della gravidanza, abbiamo completato gli acquisti
necessari per le tue prime settimane e mesi e, meraviglia delle meraviglie, i
tuoi amorevoli calcetti sono diventati calcioni che si distinguevano chiaramente
attraverso i tessuti. Celare il pancione sotto un poncho era ormai impossibile
per cui ho cominciato ad esibirlo con fierezza, soprattutto nel corso di
accompagnamento al parto, ovviamente svolto nell’ospedale di Orvieto.
L’incontro tra tante donne incinte è
stato molto divertente e abbiamo avuto la netta sensazione che comunicaste
attraverso le nostre pance.
Gli ultimi mesi sono state settimane al
cardiopalma in cui l’attesa era scandita dal ritmo dell’orologio, quando papà
Claudio vedeva il mio numero sul display del suo telefonino rispondeva con
l’apprensione nella voce, che puntualmente deludevo. Le settimane passavano, le
contrazioni non arrivavano, era l’ora di iniziare con i monitoraggi in
ospedale, anche se non sapevamo bene cosa fossero. La ginecologa ci aveva
congedati con un abbraccio dicendo che quella era l’ultima ecografia, a quel
punto da fare rimaneva il parto.
Le amiche del corso di accompagnamento
al parto avevano partorito quasi tutte e ci sentivamo un po’ così.
I sogni si affastellavano tra
inquietudini e felicità, qualche doloretto e vari disagi. Nonni Lucilla e
Pietro in un momento di comprensione genitoriale sono arrivati con una
splendida valigia Samsonite rossa: l’idea di andare in ospedale per il viaggio
più importante della mia vita senza una valigia come si deve mi stava mettendo
ansia, d’altronde gli ormoni in gravidanza sono decuplicati e le emozioni
amplificate in modo esponenziale, quasi incontrollabile.
Io e tuo padre ci siamo sentiti un po’
smarriti quando la dottoressa ci ha comunicato che quello era l’ultimo
appuntamento pre-parto. Quando siamo andati in ospedale per le visite di rito
non sapevamo bene cosa aspettarci, c’era qualcosa di strano, di insolito.
Dopo la prima visita abbiamo iniziato
con i famosi monitoraggi e… che emozione, Giulia mia, quando ho sentito il tuo
cuore che batteva fortissimo! Altro che meditazioni, mantra, yoga, mi è
sembrato di volare e di entrare in un contatto totale con te, è stato
semplicemente meraviglioso.
I giorni passavano, anche le altre
amiche mamme partorivano e a me le contrazioni non arrivavano. In ospedale
hanno dunque deciso di indurre il parto e ci hanno dato appuntamento per il
ricovero il 31 luglio, sì, proprio il giorno del tuo compleanno e infatti quel
giorno sei nata, grazie all’ostetrica che ha il nome della mamma biologica di
papà Claudio, Chiara, al chirurgo Fabrizio, ad altre persone e al coraggio di
tuo padre.
La felicità che ho provato quando ho
sentito i tuoi vagiti e hai risposto al richiamo della mia voce, quando ti
hanno appoggiata sul mio petto è indescrivibile perché è assoluta e totale.
Immediatamente dopo, però, mi hanno portata in sala operatoria e lì ricordo
poco o niente, papà Claudio ne sa molto più di me ma era certo che tutto
sarebbe andato bene, non ha perso la speranza e ha avuto ragione: dopo qualche
ora di terapia intensiva ti riabbracciavo ma stavolta per non lasciarti mai più
e dopo una settimanella eravamo nuovamente a Mentana.
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