giovedì 22 aprile 2021

L’alveare

 

L’alveare

 

C’era una volta e c’è ancora un bellissimo orto tra le colline sabine, con spinosi carciofi, barbuti agretti e pelose fave in primavera; rossi pomodori, screziati fagioli, novelle patate, fiorite zucchine in estate; tonde zucche, amara cicoria in autunno; agli, cipolle, bieta, cavoli e broccoli in inverno. In questo orto un po’ originale vi sono alberi da frutto e da decorazione, per ombreggiarsi e per sfamarsi, per arricchire il panorama di tante forme e colori. Un bel giorno in quell’orto arrivò un calabrone calabrese che aveva perduto la via di casa. Volando di fiore in fiore si era smarrito, aveva attraversato il Parco del Pollino, il Vesuvio, monti e vallate, coste, città e pianure fino a giungere in quell’ameno luogo. Oh che bel posto! Aveva esclamato appollaiandosi dentro un accogliente fiore di zucca. Eppure pensò che gli mancava il calore della sua terra e i profumi che soltanto lì si possono assaporare. Decise comunque di costruire nei pressi un bel nido a spirale, di quelli che soltanto i calabroni più esperti sanno creare, denso, cordoso e circolare. Il calabrone fece amicizia in quelle terre e chiese aiuto ai suoi consimili per realizzare un intricato e resistente labirinto. Pezzetto a pezzetto si industriò per costruire un vero capolavoro di ingegneria animale, dapprima fece un piccolo cerchiolino, poi aggiunse un altro cerchio un po’ più grande e ancora un altro e un altro ancora fino a che riuscì ad occupare una superficie pari ad un’intera finestra. Il calabrone a cui mancava il profumo del mare chiamò a raccolta i suoi parenti, gli amici e i conoscenti. Ognuno di loro aggiungeva un pezzettino al grande alveare fino a che arrivò un umano che si chiese cosa ci facesse una corda appesa alla finestra e perché tanti calabroni vi si affaccendassero intorno. Gli esseri umani, è risaputo, sono un po’ permalosi e non accettano di buon grado la convivenza con altre specie animali e vegetali. Fu così che in pochi giorni il grande labirinto venne smantellato e al calabrone non restò altra scelta che tornare, passando di fiore in fiore, al paese da cui era venuto.

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