Impressioni di Ortigia
1.
Elena.
Elena esce dal bar con la sicumera
intrigante di una donna che cerca la sua preda. Sorride tra labbra gonfie di
silicone scuotendo cosce racchiuse in uno sgargiante pantacollant da cui si
distinguono le linee delle natiche sode e generose.
Capelli nero corvino, sorriso luminoso,
la cattiveria allegra di chi conosce i meandri più reconditi della selva oscura
del porto di Ortigia.
Il mercato mattutino è per lei momento
di gioia colorata, non sguaiata.
Individua l'oggetto del suo piacere e
pensa a quel marinaio che l'ha fatta innamorare, novello Odisseo di una
Penelope moderna che inganna l’attesa con i maschi del porto.
Non si offende quando le offrono del
denaro e si muove con l'agilità serpentina di una Salomè, il nero che lampeggia
tra le ciglia truccate sembra promettere che il fuoco dell'Etna in confronto
alla sua passione sembrerà acqua tiepida.
Ammalia e si gira all'istante, certa che
degli occhi si punteranno sul suo corpo sinuoso e, forse, se vorrà, se l'invito
sarà abbastanza convincente, accogliente come un'alcova tropicale.
Il trucco è deciso, volgarmente sensuale
e pudico, rosso lacca, nero kajal e unghie intarsiate, finta trasandatezza
casuale, viene voglia di sedersi con lei a raccontare pettegolezzi inventati
pur di chiacchierare tra le spire della sua voluttuosità, musa ispiratrice di
pittori di ogni tempo e ogni dove, sembra uscita da un quadro di Botero e
quando parla la voce profonda, calda, bassa e baritonale di un uomo grasso che
ama prendersi beffe del conformismo ridendo forte le scuote le membra.
2.
Osvaldo
La giornata si presenta indaffarata sin
dai primi rumori che affollano la via, una folla antica che ripete riti e gesti
da millenni.
Un bacio a Eleuteria, pronta col caffè e
già occupatissima in cucina, le figlie arriveranno tra qualche ora, sfaticate e
belle, con quei cretini di mariti che si sono scelte.
Per carità, persone a modo, educati,
ossequiosi perfino, gente che ha studiato, che sa e non capisce un bel niente
di niente.
Parlare con loro è una perdita di tempo
cui non è possibile esimersi, almeno nei giorni di festa.
Beninteso, se non si presentassero la
delusione sarebbe tale e tanta da increspare il volto in una smorfia senza
tempo, parlarne male è il suo modo di dimostrare affetto, li considera, non gli
sono affatto indifferenti come vorrebbe, ormai ci si è affezionato pure se sono
cretini - e su questo non ci piove.
Prima di incontrarli si accinge con
solennità ai riti mattutini del dì di festa.
Dopo il caffè e il bacio a Eleuteria,
una bella doccia, comodità moderna che quando lui era picciotto non se ne
parlava proprio di avere l'acqua dentro le case sempre calda alla bisogna,
decide il vestito indugiando sui possibili abbinamenti, si profuma con la
colonia di zagara che preparano certe suorine della Val di Noto, sorride malizioso
e sornione allo specchio storcendo un po' le labbra.
Appena varcata la soglia di casa, che
affaccia sul porto di Ortigia, si incammina con incedere svelto e solenne verso
il barbiere, dove gli uomini possono tirar giù la maschera e chiacchierare di
tutto, svelando la loro capacità di pettegolezzo arricchito da un muro di
durezza imposta mentre un velo di bianca schiuma nasconde i loro volti.
Le battute diventano sguaiate, volgari,
si scoprono intrecci che soltanto le donne conoscono, o forse nemmeno loro, e
tacciono.
Baffetti sottili, capelli lunghi e
profumati, vestito perfettamente stirato, pantaloni color senape, camicia
bianco azzurrato, giacca giallo ocra e scarpe stringate, Osvaldo si incammina
per la passeggiatina sul lungomare verso la pasticceria dove è tradizione che
acquisti una cartata di cannoli e cassatine per alleviare lo strazio della
conversazione coi generi, che saranno pure moderni ma a lui sembrano soltanto
cretini.
Un gabbiano volteggia giocherellando con
i riflessi luminosi sulle onde, si guardano, si riconoscono, e Osvaldo si
trasforma in cormorano, le paste rimangono ferme, tenute insieme dalla carta
decorata sul vestito spezzato.
L'incombenza della conversazione coi
generi si allontana tra la brezza marina di una mattina di Pasqua nell'Isola di
Ortigia.
3.
Katiuscia
Katiuscia si sveglia nel caldo sole
della Sicilia meridionale, guarda il blu del mare che digrada nell'azzurro
concreto, pieno e solido del cielo, un tumulto di luci e onde.
Il profumo di zagare e gelsomino riempie
il suo spazio olfattivo, un cormorano e un gabbiano volteggiano liberi e felici
nell'aria densa di pollini.
Il cuscino di Carmelo è vuoto, lui è già
fuori da un pezzo, c'è da badare alla terra, da caricare il camioncino.
La giornata in campagna è cominciata da
un po'.
Sul comodino una tazzina di caffè ormai
tiepido.
Meccanicamente Katiuscia toglie il
coperchietto di ceramica e sorbisce il nero liquido, gesto d'amore e
d'attenzione senza troppi fronzoli.
Si alza, guarda il suo volto colorito e
rilassato, il suo corpo sereno e tranquillo, i capelli folti, scarmigliati, la
camicia da notte di lino bianco ricamata a mano, ricordo d'Abruzzo, la sua
terra.
Si vede felice, calma.
Ha trovato la sua dimensione, l'amore,
la Sicilia l'ha accolta nei più segreti anfratti della sua bellezza e lei
rimane lì, a guardarsi le mani irrobustite dal lavoro e col pensiero ritrova le
sue montagne, il freddo pungente delle mattine, le camminate solitarie sul
lungomare e le sale una gran nostalgia.
Carmelo se n'era accorto dal primo
momento in cui gli aveva detto sì, il richiamo della sua terra era più forte di
qualunque amore, passione e razionalità.
La coccolava e la guardava, temendo che
ogni giorno fosse quello in cui gli avrebbe voltato le spalle per tornare a
casa.
Per questo aveva trovato un posticino a
Ortigia, nel centro, dove avrebbero potuto vendere i loro prodotti ai turisti,
certo, e ampliare l'attività così da poter poi viaggiare, sai, andare via,
girare il mondo, insieme.
Sapevano che era un'illusione ma la
felicità, a volte, si trova nel vivere appieno le illusioni facendo finta che
siano sogni.
4.
Carmelo
Una vita a Ortigia ti tempra il
carattere.
Adesso l'isola è bella e piena di
turisti, tirata a lucido per le grandi occasioni, ma fino a qualche anno fa non
era inusuale sentire gli spari per le strade.
Carmine sa tutte le viuzze, anche le più
piccole, Ortigia non ha segreti per lui, la conosce meglio di un gatto, meglio
di un topo e meglio di un gabbiano che gioca con un cormorano.
Ha imparato ad ascoltare il rumore
dell'aria e i sussurri dentro le mura.
Licia l'ha sposato, ha cercato di
trasportarlo fuori da lì ma alla fine è stata lei ad abituarsi alle viuzze
strette dove si conoscono anche le gocce dell'umidità mattutina.
Si è trovata nel gorgo pieno di vita,
suoni, odori e colori della città più antica che c'è, dove passato e presente
si intrecciano col futuro, tutto si conosce e tutto si dimentica.
Donna forte e diffidente, capelli e
occhi nerissimi su un incarnato bianco di una persona che non ha tempo di
perdersi tra sogni e fantasie in passeggiate sfaticate sul lungomare, osserva,
scruta e all'improvviso sul suo viso duro si apre un riso forte, caldo e
magmatico.
5.
Babila
Babila guarda la piazzetta brulicante di
bambini che giocano a palla, alza gli occhi al cielo, con un gesto istintivo
rassetta la nera sottana svolazzante nella calda primavera siracusana.
Oggi sarà una buona giornata.
Con le festività sembra che vi sia un
generale risveglio, i vicoli si animano e accorrono alla sua porta ornata di
fiori sensuali e sgargianti, profumata con essenze orientali che invitano ad
entrare per assaporare appieno i piaceri estatici che i corpi avviluppati
dipinti sui muri promettono senza tema di smentita, a meno di non essere
proprio privi perfino di un briciolo di amore e sentimento.
Chiede ai suoi fedelissimi, e ve ne
sono, di aprirsi alla gioia, finanche di emozionarsi, e poco importa se alla
fine vuole un obolo, non si offende nel ricevere denaro, in fondo la sua è
stata più che una scelta, un'accettazione senza possibilità di ripensamento di
una proposta a cui non si poteva proprio dire no.
Babila non ha rinunciato al suo sogno
d'amore, ha deciso di amare chiunque e ciascuno varcherà la sua soglia.
Un raggio di sole penetra nel vico,
quasi un lampo da uno specchietto che lancia un segnale di malizia sorniona, si
guarda intorno, sospira, a testa alta si gira con una piroetta che dice tutto e
con umile fierezza si accinge a dir messa nella Chiesa di San Filippo.
6.
Gandolfo
Ortigia è un ventre materno che non
vuole lasciare andare chi la abita, è un luogo dello spirito e dell'arte in cui
i tempi e la storia di popoli e genti si incontrano con la vita quotidiana del
gioco e della fantasia.
Le voci si rincorrono tra i vicoli e le
piazzette, arrivano al mare e rimbalzano come i raggi del sole trasportati
dalle onde, tornano verso gli edifici di bianco marmo scaldati dall'alba e
ballano con gli abitanti e i turisti in un eterno gorgo di schietta vivacità.
Con la bella stagione i forestieri
affollano le viuzze fino a stordirsi nel misticismo del tempio greco
trasformato in chiesa dedicata alla luce e tra le note dei colori.
Gandolfo si siede sul suo sgabello, posa
i piedi sui pedali, attende che un numero sufficiente di persone si raduni
intorno al sagrato e accelera il movimento delle dita sulla fisarmonica mentre
una turista di nero vestita non resiste alla tentazione di danzare la sua gioia
nella piazza bianca adornata di colori, luminescenze e bellezza.
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