1.
Via della Chiesetta si era svegliata nella tranquilla
placidità di una mattina di agosto. Il caldo non si era ancora fatto sentire e
il Troglodita era già andato via, ad aprire l'edicola del suocero, per buona
pace di Holly e Benji, due splendidi bambini chiamati così da un genitore
interessato soltanto al calcio e ai cartoni animati. Non era mai riuscito in
niente, neanche nel record paesano di farsi bocciare alle Medie oltre il
raggiungimento della maggiore età, ma quei due figli gli erano venuti proprio bene.
Si impegnava quindi con particolare dedizione nella rovina sistematica della
loro infanzia. Non lo faceva con cattiveria premeditata, beninteso, ciò avrebbe
infatti comportato un eccessivo sforzo intellettivo e una durata nel tempo che
non poteva troppo giovarsi del principio di inerzia, a lui peraltro noto
soltanto nella pratica, no, era semplicemente l'espressione idiota di un
impulso genitoriale. Era in buona fede, si potrebbe pensare, se avesse avuto
una qualche forma di fede che non fosse quella nella sua squadra di calcio
preferita, che peraltro cambiava con una certa regolarità. La sua solerzia nel
torturare quelle creature era a dir poco sorprendente. È facile pensare alla
banalità del male, il suo non era neanche un male assoluto o un male generico,
no, era semplice assillo quotidiano, violenza più o meno sottile, più o meno
minacciata e attuata. Il nome era soltanto una delle tante angherie perpetrate
nei confronti dei due piccoletti, che proprio piccoletti non erano. Almeno non
Holly, il maschietto più grande, già più alto della madre, della nonna, del
nonno. Forse tra poco sarebbe riuscito anche a superare lo zio. Benji è
piccolina, minuta, un concentrato di energia repressa, di cattiverie stipate,
messe a distillare in una sua personale dispensa, veleno pregiato da usare
all'occorrenza tra sorrisini e moine ammaliatrici. Per anni il Troglodita era
rimasto senza lavoro, prima dell'ora di pranzo non si alzava dal divano o dal
letto e se per caso Holly e Benji erano in casa dovevano rimanere con le
finestre tappate tra miasmi irrespirabili. Un misto di puzze animalesche,
frutto di escrementi mal puliti di un bestiario esotico i cui accoppiamenti il
Troglodita pensava di sfruttare per acquistare fumo o erba, mozziconi di canne,
dolciumi, che per arrotondare il misero salario di cassiera la moglie si alzava
ad orari improbabili per preparare in occasione di festicciole o ricorrenze
religiose, secrezioni ascellari e altri odori indistinguibili frutto di una
mancanza assoluta di igiene personale. Una volta, ancora lo ricordava con
terrore, Holly verso mezzogiorno cercò di aprire la porta per sgattaiolare in
cortile a giocare con gli amichetti della strada e venne aggredito da una
valanga di bestemmie, improperi e parolacce che a riferirle qui non si potrebbe
davvero. Da quando il suocero lo aveva costretto ad andare a lavorare
all'edicola, Holly e Benji vivevano il turno della mattina con la stessa
felicità e sollievo dei primi giorni di vacanza. Forse un po' di più, sembrava
una di quelle giornate in cui nevica all'improvviso, tu hai il compito in
classe di matematica ma non hai studiato e arriva la mamma a svegliarti per
dirti di guardare fuori, guarda come cade la neve. E quando nevica così
all'improvviso vuol dire solo una cosa: le scuole sono chiuse e si
sta fuori a giocare tutto il giorno fino a tardi. Niente compito di matematica.
Solo divertimento e gioco. Questo era il senso di sollievo del turno di mattina
del Troglodita. La possibilità che il suocero, nonché nonno redento, potesse in
qualche modo rovinare quel piacere era molto recondita e comunque finora non si
era mai verificata.
2.
L'unico rumore molesto nella strada era stata la bestemmia
mattutina di Pallade, all'apertura non più rumorosissima da anni, da quando ciò
il genero, quella specie di ficcanaso, non si era fatto venire il ghiribizzo
dell'apertura elettrica della saracinesca, non fosse altro che per non sentire
la tiritera quotidiana di insulti e bestemmie tra lui e il Troglodita proprio
quando rincasava dal turno notturno e stava per addormentarsi. Pure il sonno
leggero teneva! E lui che gli aveva dato anche un piano di casa costruito con
le sue mani, col sudore della sua fronte per quella bellezza della figlia, che
proprio una barbie non era ma che ci vuoi fare doveva magari maritarsi qualche
volta e quella volta era capitato proprio 'sto pezzo di baccalà. Caso volle che
il Pezzo-di-baccalà parlasse anche un linguaggio similare a Pallade, era
infatti assai arduo distinguere il blasfemo rosario dell'uno da quello dell'altro
senza cadere nella confusione tra i due salmodianti. Gli abitanti di Via della
Chiesetta avevano però molto apprezzato la miglioria della saracinesca a
motore, che aveva garantito una decente qualità del sonno almeno fino
all'orario in fascia protetta e aveva fermato la petizione per l'acquisto di un
defibrillatore pubblico da utilizzare in loco per i deboli di cuore. Non che ce
ne fossero molti da quelle parti ma, sia mai, magari qualche forestiero poco
avvezzo agli usi e costumi locali fosse capitato da quelle parti, chi poteva
garantire che non gli venisse un infarto sul colpo a sentire alzare la serranda
nel pieno della notte, o meglio in quell'orario in cui si dorme alla
perfezione, tra le 4 e le 5 della mattina, con conseguente scambio di improperi
da una parte all'altra della strada? Sai com'è il dovere d'ospitalità è sacro.
Il povero Pallade, rubizzo, cattivo, violento e facile alla lite, soprattutto
familiare, in virtù di un presunto diritto maschile sulle donne, concetto che
la figlia, ingrata, gli aveva fatto cambiare rompendogli per ben due volte uno
stagionatissimo mattarello sulla schiena in una furia animalesca a difesa della
prole, aveva ormai ben poco da fare per divertirsi. Poteva giusto alzare la
saracinesca elettrica, tirare giù un paio di bestemmie tanto per dire che c'era,
accendere e spegnere la motosega, ma su quello il maresciallo era stato chiaro,
o la accendeva dopo le otto di mattina, e che gusto c'è?, oppure poteva provare
ad usarla per scopi personali che però non gli sembravano consoni alla sua
natura e che qui non è il caso di riportare anche per rispetto all'Arma, aprire
l'ombrellone cercando di emettere il numero più alto di rumori molesti e
mettersi ciondoloni seduto su una quantità imprecisata di sedie di plastica
bianca impilate, che fa più effetto, agitando ritmicamente i piedi nell'aria,
poco oltre la sua pancia. La pancia di Pallade era riuscita a far vergognare
oltremodo una cuginetta della prole della figlia ingrata, visto che con la
suddetta prole non ci doveva neanche provare pena conseguenti scontri corporali
con l'ingrata medesima. La piccola aveva chiesto, dopo la morte improvvisa di
una Prozia cui era particolarmente affezionata, di rimanere a dormire con i
cuginetti per qualche giorno, sperando così di ritrovare la perduta serenità,
totalmente ignara degli agguati inattesi di Pallade. Le maestre erano state
avvisate e lo scuolabus un bel giorno la depositò proprio davanti alla casa dei
cuginetti, non c'era nessuno a quell'ora e Pallade si era offerto di farle
attraversare la strada, cosa mai poteva succedere? Niente, se non che si era
presentato con una corda di traverso a trattenere inadeguatamente calzoni blu
all'altezza del malleolo in cui si infilava un sudicio, di grasso di motosega,
maglione rosso. La diafana e addolorata bambina di rosa vestita si era
trasformata in men che non si dica in una rossastra palla di fuoco con l'unico
desiderio di non tornare mai più in Via della Chiesetta, cosa che peraltro non
fece per molti anni.
3.
Da qualche tempo c'erano stati tanti cambiamenti in quella
strada. Prima cosa erano arrivati i cinesi. Si erano stabiliti proprio accanto
a Pallade, quasi di fronte al Troglodita. Zitti zitti come soltanto gli
asiatici sanno essere, avevano acquistato una palazzina di due piani con ampio
terrazzo che prima avevano riempito di strani oggetti e poi avevano trasformato
in una sorta di orto urbano pensile, tanto per restare in tema con l'adiacente pollaio aereo del loro vicino, figlio di Pallade nonché fratello dell'ingrata. Sembrava che avessero studiato i movimenti
degli abitanti di Via della Chiesetta per prendere alcune abitudini e scartarne
altre. Alla fine avevano optato per un'anarchica autarchia. In un
piano c'era la figlia, sempre ben vestita, ordinata, studiosa, non si vedeva e
non si sentiva. Ogni tanto appariva tra le finestre con abiti bianchi anni '50
riadattati nella foggia attuale, i capelli raccolti in una coda di cavallo,
immacolata davanti ad una quantità di computer, tablet, telefonini e altri
oggetti per studiare e restare in contatto con parenti dispersi nella diaspora
orientale. Una brava ragazza, senza grilli per la testa, si sarebbe detto.
Sembrava aliena a tutto il trambusto che la circondava. La madre e la zia
dotate di gran senso pratico si erano adattate alle usanze locali aggiungendo
un po' di colore. Non era inusuale sentirle chiacchierare
sguaiatamente in idiomi stranieri, francese, inglese o cinese, fino a tardi
sedute sul terrazzo nella vana ricerca di un po' di frescura a gambe divaricate
abbigliate con logore tute di cotone usate per casa. Il padre cercava di darsi
un tono ma si capiva che moriva dalla voglia di duettare con Pallade e il
Troglodita, mentre annaffiava le piante con un tubo per gonfiare le ruote delle
automobili raccattato chissà dove e ordinatamente riposto in concentrici cerchi
arancioni. La violenta veemenza con cui scaricava la potenza della pompa a
schizzo sulle palmette chicas nei rari momenti di quiete della strada era un
segnale evidente che quella famiglia non avrebbe impiegato molto ad integrarsi
nel tessuto sociale. La vera capostipite della famiglia era però la
nonna, arzilla vecchietta con il lungo viso segnato da un misto ben disordinato
di orrori e felicità, la cui creatività si manifestava nel terrazzo. Luogo
arcano in cui inizialmente pensava di agire non vista e poi, accortasi che dai
terrazzi tutta la via la stava osservando, nido di propaganda delle sue
bislacche idee. La sua prima richiesta alla comunità fu evidentemente una
piscina pubblica. Si manifestò nella forma di bacinelle di dimensioni piuttosto
impressionanti, dove le avrà trovate così grandi?, giustapposte a formare uno
specchio d'acqua per far rinfrescare dalla calura estiva quelle povere creature
dei nipotini che in questo Paese, l'Italia, vengono lasciate fuori dalla scuola
per oltre due mesi con una perdita palese di produttività nelle capacità di
apprendimento che nel Paese di Mezzo non sarebbe neanche minimamente tollerata.
La seconda richiesta pubblica, rivolta però a quello sciagurato di suo genero
che continuava a coltivare chicas anziché occuparsi della vitale produzione di
frutta e verdura fresca per il fabbisogno alimentare della sua famiglia, fu per
l'appunto quella di un orto. Se c'è rimedio perché prendersela, se non c'è
rimedio perché prendersela? Se non si può coltivare un orto nell'orto nulla
impedisce che si riesca a coltivare un orto nel terrazzo, in apposite bacinelle
colorate - aveva un debole per le bacinelle, in cui far crescere anche una
rigogliosissima vite puntellata al corrimano con un intricato disegno di fili
rossi e arancioni, tanto per non dimenticare mai la grande Patria da cui si
proviene. La terza richiesta pubblica della arzilla nonnetta fu quella della
diminuzione del costo delle sigarette, che si palesò con una coltivazione
abusiva di tabacco, le cui foglie venivano accuratamente stese su
stendibiancheria apribili. Era una famiglia molto impegnata, capitava spesso di
sentire conversazioni babeliche dal balcone prospiciente la strada,
ovviamente rispettando i differenti fusi orari, che solitamente coincidevano
con quelli del sonno profondo per gli abitanti di Via della Chiesetta. Avevano
un pallino per le pubbliche relazioni, coltivato sin dalla più tenera età:
quando il piccolo della nidiata aveva le colichette oppure un semplice bisogno
di comunicare il proprio dissenso al mondo intero, veniva regolarmente piazzato
all’angolo del balcone, moderna polena di una barca ormeggiata per un breve
periodo in Via della Chiesetta.
4.
In una casa dall’altra parte dell’incrocio, un luogo
lontano, quasi mitologico, abitava Compa’ Gino, un
omone di circa due quintali distribuiti su due metri di lunghezza dal
cuore gentile che gira sempre con un chihuahua toy in miniatura. Maria, che ha
una lontana cugina che ha sposato il cognato di una vicina della trisavola di
Compa’ Gino, afferma che lui aveva fatto i soldi andando a lavorare nei Palazzi
romani, quelli con la P maiuscola, non quelli dove le paesane arrivavano la
mattina presto per andare a fare le pulizie, dove c'erano le Signore coi
gioielli e le macchine che a quei tempi altro che macchine, d'estate manco le
scarpe per mandare le creature a scuola o nei campi ci stavano. Ma i tempi
cambiano e Compa’ Gino i soldi li aveva fatti, si era costruito un palazzo pure
lui, non sulla via, giusto un paio di metri discosto, con un davanzale che
pareva la rotonda di Ostia, le finestre centinate che costano assai, di due
piani. Una casa fantasma. Vuota. Con le luci che si accendono e si spengono
soltanto per mostrare la totale assenza di vita all'interno, le tende
a celare gli abitanti che vogliono si sappia che sono dentro ma non vogliono
farsi vedere da quella plebaglia da cui non sanno staccarsi. L'unico legame con
una realtà che non sia di becero servilismo. Ora il conto in banca l'hanno
bello grosso e sperano che nella via tutti si chiedano che ci faranno mai con
tutti quei soldi. Via della Chiesetta è però troppo impegnata nel suo tran-tran
quotidiano per porsi certe domande. E Compa’ Gino ci sforma e cerca di farsi
accettare nell'alta società del paese, che però non c'è. Eccettuato qualche
palazzinaro di periferia, qualche costruttore che ha saputo rimanere nel suo
ovile senza andare a pestare i piedi ai grossi affaristi capitolini, rimestando
nel torbido di lavori in nero, scambi di favori e di voti, obbedienze sordide
alle direttive dei partiti romani. L'alta società nel paese semplicemente non
c'è. Qualche paesano è scampato alla povertà e all'ignoranza con la
determinazione di chi vuole studiare, di chi ha voglia di riscatto sociale,
sapendo che non potrà ottenere molto più di quanto gli sarà concesso ottenere,
tenendo sempre la testa bassa, puntando i piedi soltanto per affermare la
propria dignità. Questi hanno formato i circoli intellettuali ma oltre a
pizzicarsi su chi abbia avuto per primo l'intuizione di scartabellare un certo
archivio piuttosto che un altro non sono mai riusciti a fare. E Compa’ Gino non
è tra loro, non è riuscito ad ottenere un riscatto sociale tramite il soldo
facile del costruttore scaltro e neanche quello sudato dell'intellettuale per
vocazione, per cui si è ritrovato nella sua lussuosa rotonda di cemento,
centinature e vetri in Via della Chiesetta senza ormai farne più parte. Eh sì
che avrebbe voglia, certe volte, di scendere nel cortile sterrato e minacciare
i ragazzini di bucargli il pallone ma ancor di più di mettersi a correre
insieme a loro, a gridare 'palo!' guardando un maglione per terra mentre una
palla rotola accanto ad una recinzione prima di finire sul muro della cantina
di Pennichella.
5.
Pennichella è il padre del Troglodita, nonché il nonno di
Holly e Benji. Trascorre la sua vita cercando una placidità che gli restituisca
una qualche forma di equilibrio. Sa per esperienza che qualunque cambiamento
significa disastro, tragedia, sconquasso, mettere a soqquadro esistenze se non
felici quantomeno normali. Pertanto ha sviluppato una risposta definitiva a
qualunque domanda: 'no'. Il 'no' è spesso sottovalutato nella sua perfezione.
Prima cosa ricorda il nome di Noè che salvò tutto il Creato dal Diluvio
Universale e quindi è già qualcosa di buono, poi non include alcuna forma di
cambiamento e questo è per sua stessa natura sano, saggio e giusto. Il 'no' non
è da ignavi che, come gli hanno insegnato alle scuole serali fanno una brutta
fine nell'Inferno di Dante, è una risposta prudente che presuppone una
valutazione del problema, che se è tale già è meglio risolverlo allontanandolo
con un bel 'no' altrimenti ne porta chissà quanti altri con sé. È una risposta
pratica ed efficace, a volte può sembrare un po' strana per cui bisogna
dosarla, non è che se uno ti chiede come stai gli devi rispondere no, però puoi
sempre rispondere 'non male', che implica una negazione di potenziali ed
insinuanti malefici che potrebbero essere insiti nella domanda stessa. Certo se
uno ti chiede 'posso fare questo?' la risposta 'no' è sempre e comunque un
ottimo modo per evitare grane e discussioni, se uno ti chiede perché gli puoi
rispondere 'perché no' e di solito si chiude il discorso dopo al massimo un
altro paio di 'no' e se uno si fa male facendo quello che tu gli hai detto di
non fare puoi sempre dire 'e ma io t'avevo detto di no'. D'altronde se uno ti
chiede di fare qualcosa vuol dire comunque che sta cercando di cambiare lo
stato delle cose in cui si trova in quel momento e se in quel momento non gli
sta succedendo niente ed effettua un cambiamento nella propria vita, di quel
momento preciso o in generale, comunque andrà incontro a difficoltà,
catastrofe, crisi, diluvi universali, terremoti, assalti di cavallette,
invasioni aliene e chissà cos'altro che non possiamo neanche immaginare. E se
lo chiede vuol dire che lo sa che la sua azione potrebbe comportare una tale
drammatica reazione da parte dell'Universo Creato, del Creatore e di tutte le
forze che governano questa nostra umile vita timorata di Dio. Quindi un bel
'no' è onesto, saggio, utile. A volte al 'no' può essere anche aggiunta qualche
altra negazione. Ad esempio. Se i bambini stanno giocando con la palla mentre
Pennichella sta guardando una partita in televisione in cantina e non gli fanno
sentire il commento, alzare il volume non è una buona idea, presuppone un
cambiamento e questo è già di per sé male, per cui alzarsi, uscire dalla
cantina girare l'angolo e strillare a bassa voce che no, non devono giocare a
palla contro il muro ha una duplice funzione protettiva. Con ogni probabilità
anche il Troglodita avrà sentito la pallonata e se nel tempo in cui realizza
che il rumore che lo ha svegliato dal tossico torpore pomeridiano è stato
causato dai bambini che giocano, stai sicuro che gli buca il pallone e poi a
lui tocca ricomprarlo perché vanno bene i 'no' però poi quando Holly e Benji
vanno a fare la lagna dalla Nonna tanto vale andargli a comprare il pallone che
stare a sentire un coro di occhi supplichevoli per un paio d'ore buone, poi se
la pallonata è arrivata fino al muro della cantina vuol dire che è andata
troppo vicina al cancello e quindi alla strada, dove passano le macchine, è
vero che c'è il semaforo a pochi metri ma è pericoloso. Il 'no' ha un suo peso
specifico, lo ha imparato bene lui in tanti anni di disgrazie familiari.
6.
Quella mattina non c'erano disgrazie in programma e Via della Chiesetta si stava cominciando ad animare placidamente.
Gli uomini, quelli rimasti nella calura estiva, erano già quasi tutti fuori e la strada, come tutte le mattine, era dominio incontrastato delle donne.
La moglie di Pallade era uscita nella sua tunichetta blu a buttare la spazzatura sulle gambe arcuate scendendo verso i secchioni della differenziata come un tacchino in cerca di vermetti da beccare.
Il fatto che non vi fosse un alito di vento in tutto il vicinato era un dettaglio puramente irrilevante, il suo alito sbuffava dalle narici come il vapore del cementificio dalle alte ciminiere, quando era ancora in funzione, prima della crisi economica.
Insieme all'immondizia sembrava voler gettare tutta l'insoddisfazione di una vita, le umiliazioni di essere nata donna e di essere stata data in sposa a Pallade, ultima tirannia di quel vigliacco di suo padre, pace all'anima sua, che ora riposa in Cielo, che il Signore l'abbia nella Sua infinita Gloria magari dopo un piccolo passaggio all'Inferno o almeno al Purgatorio, Amen.
Quella mattina non faceva eccezioni e Liala, soprannome che le era stato appiccicato da bambina per la sua passione per la lettura, dalla serranda del garage in cui vendeva a giorni alterni frutta, verdura, vino e olio pensò bene di non dirle altro che 'Buongiorno', senza aggiungere 'tutto bene?', o 'come stai?'.
Hai visto mai poi magari comincia a raccontare di qualche zozzeria che ha combinato Pallade e i potenziali clienti della mattina sono belli e fritti. Mica per qualcosa, è che ti metti a chiacchierare, una parola, un commento lo devi pur dire, e che poi mica riesci a dare ascolto a tutti quelli che passano, poi magari in quel momento preciso arriva qualcuno che ti chiede quanto costa e stai con la testa tra le nuvole senza capire, senza sapere perché e ti confondi pure.
7.
'Buongiorno Liala, tutto bene? Visto che 'stamattina si
riesce a respirare un po'?'.
Buon segno, ha salutato lei per prima.
'Buongiorno Lisetta, che dici?'.
'Tutto bene, stanno tutti in vacanza e qua si sta tranquilli. Ti lascio preparare il banchetto che vado a fare qualcosa di leggero da mangiare prima che viene il caldo'.
'Infatti 'sti giorni giusto la mattina presto, oggi ho impastato i maccheroni e poi li condisco con il sughetto fresco e tu che prepari?'
'Mio consuocero m'ha portato i peperoni da fare ripieni e Pedro m'ha detto che dopo mi faceva portare un po' di macinato buono, il forno 'sti giorni si accende giusto la mattina sennò non ce la fai neanche a stare in casa'
'Come ti va di accendere il forno? Io giusto la sera, quando andiamo in campagna che c'abbiamo il forno a legna. Ma com'è? tua figlia non è ancora tornata dal mare?'
'Eh no, lo sai, i ragazzi là stanno bene, si divertono e non vogliono tornare, poi sta sola, il marito sta qui che quest'anno gli hanno messo i turni d'agosto pure se ha fatto di tutto per farseli levare e lei figurati, tenerselo per casa tutto il giorno quando ricomincia la scuola sai che piacere!'
'Ma sì, chi glie lo fa fare a tornarsene al paese?'
'I tuoi che fanno?'
'Lavorano sempre, pare che non ci vogliano andare proprio in vacanza. Tanto a me basta che abbiamo fatto Ferragosto fuori tutti insieme al mare, a prendere il fresco, una mangiata che non ti dico! Tutta robetta leggera, eh, sai col caldo'
'Che scherzi? Siete andati a Ostia?'
'No, quest'anno a Maccarese. C'era la suocera di un amico di mio figlio che conosceva un ristorante e hanno prenotato tutto loro, ci siamo rilassati, abbiamo mangiato, abbiamo bevuto e poi ce ne siamo tornati'
'Si mangiava bene?'
'Benissimo, una cucina delicata. Ti dico, ci siamo seduti a mezzogiorno e non ci siamo alzati prima delle cinque. Fritti, antipasti all'italiana, coratella, tre primi di terra e di mare, la grigliata mista con l'abbacchio, le salsicce, la cipolla avvolta nella pancetta, poi trippa e coda alla vaccinara, verdura ripassata, peperoni, zucchine ripiene, la 'nsalata, dolci, aranciata, gassosa, vino e birra, caffè, ammazzacaffè, il sorbetto e il cocomero. T'ho detto: 'na cosa leggera niente di esagerato'
'Eh sì, dai. Poi il cocomero a Ferragosto è la morte sua.... fammi andare che sennò faccio tardi e poi non riesco ad accendere il forno, vedi che Malina sta tornando dalla macelleria, mi sa che mi porta il macinato. Buonagiornata'
'Buonagiornata a te'
Meno male, Lisetta era di umore buono, lo sbuffo da natante
a vapore era d'ordinanza, forse accentuato solo dal caldo. L'assenza di figlia
e nipoti la faceva sentire ancora la Regina della Casa e questa era l'unica
gioia, oltre ai bellissimi nipoti, che aveva avuto in tutta la sua vita.
L'unico ruolo cui avesse mai aspirato e che fosse mai
stato pensato per lei. O forse no, ma ci aveva fatto l'abitudine.
8.
Il '68 al paese non era mai trascorso. Gli anni '70 si
erano svolti al di là e al di fuori di Via della Chiesetta, anche se
nell'antico podere ecclesiale alcuni giovani avevano creato qualcosa, ma niente
che avesse a che fare con la strada. Semplicemente nessuna delle due aveva contemplato l'altra. La rivoluzione culturale non aveva
preso in considerazione il sottoproletariato urbano, figuriamoci se poteva
prendere in considerazione proletariato e sottoproletariato provinciale e
paesano, per cui il sottoproletariato urbano e ancor più il proletariato
provinciale e paesano non avevano preso in considerazione la rivoluzione culturale.
Questo atteggiamento di reciproca ignoranza era rimasto nei confronti della legge e delle istituzioni. Tranne un 41 bis, un mafioso per caso e non per scelta, non c'erano delinquenti in Via della Chiesetta, piuttosto persone che sbarcano il lunario, pure lavorando, anche tanto. Tutto sommato nella tranquilla strada del paesello abitavano soltanto brave persone, oneste. Questo non vuol dire che vi fosse un alto senso delle istituzioni, più che altro una opportunistica reciproca ignoranza e una consuetudine a risolvere le questioni in privato, tramite il buon senso, che tanto se aspetti lo Stato stai fresco o, peggio, vai al fresco.
Si andava a votare a Via della Chiesetta, un po' perché era un modo per esercitare una qualche forma di diritto acquisito da altri e poi comunque era un modo per incontrare parenti e amici al seggio elettorale. Certamente non per fiducia nei confronti degli eletti o dei candidati, i quali si guardavano bene dal farsi vedere da quelle parti, tanto si sapeva chi erano, a meno che non servisse qualche cosa: è più facile che un politico abbia bisogno del popolo, piuttosto che il contrario. La saggezza popolare aveva insegnato che i politici quando servono non ci sono mai e non fanno mai niente per la popolazione, che il più pulito ha la rogna e che parlare con loro è un po' come parlare con gli spaventapasseri, tanto stanno lì un po' e poi, chissà. Poi si fanno soltanto i fatti loro per cui meglio rivolgersi a chi, in qualche modo, riesce a comprendere, capire, un confratello, una consorella.
9.
Le donne di Via della Chiesetta erano moderatamente devote,
credevano ai Sacramenti e facevano tutto quello che è giusto secondo i dettami di
Santa Madre Chiesa ma i fatti loro ai preti non li andavano a raccontare, se non per coltivare pubbliche relazioni. Molte
frequentavano soltanto per battesimi, comunioni, cresime, matrimoni e
funerali. Altre neanche per quelli. Ma San Feliciano era un altro paio di maniche.
La Confraternita era una cosa seria, lo era stata sempre e avere la statua del Santo dentro casa era un vero onore.
Anche un onere, a dire il vero perché bisognava rimettere a nuovo tutta la casa, anche con penuria di pecunia ma San Feliciano è un Santo e in banca il prestito per rimettere a nuovo la casa per accoglierlo era sempre arrivato, senza tante storie e se poi San Feliciano in quel momento fosse distratto da grandi incombenze e non avesse per caso modo di far scivolare accanto alla sua statua i denari per ripagare il prestito, qualche anima pia cui interessava una collana o un anello s'era sempre trovata.
A Via della Chiesetta San Feliciano aveva fatto la grazia per due anni di seguito, una volta ai vicini di Pallade e Lisetta, che avevano rifatto tutta la facciata, decorato la palazzina con statue di cigni e angeli di gesso bianco, una bellezza, e poi dentro avevano dovuto ridipingere tutte le stanze ché qualunque confratello può chiedere di vedere il Santo qualunque giorno, a qualunque ora e ci si sentiva onorati quando ciò accadeva.
10.
A volte accadeva anche che i confratelli andassero la sera tardi
nelle case, carichi di scatole con beni di prima necessità per le famiglie in
difficoltà e che si vergognavano di chiedere al Comune o alla Caritas. Perché
chiedere è vergogna e lo Stato tanto non sa, non vede, non sente, non parla. I
preti dipende, di solito no. Qualche volta però è diverso.
Come nel caso di Don Giusto, un prete che più che un prete era un cristiano, una di quelle rare persone che convinte di poter trovare la Vera Via negli insegnamenti di Cristo, con un carattere forte e determinato. Un prete di strada genovese diceva sempre che 'cristiano moderato' era un ossimoro. 'Cristo non è morto di raffreddore', affermava ridendo di un sorriso luminoso. Forse Don Giusto morirà di raffreddore nel suo letto, tra tantissimi anni, questo gli augura tutto il paese. Perché senza di lui ci sarebbe un motivo in meno per credere nei Vangeli.
Pochi capelli ribelli sulla testa dura di uomo del Sud circondavano di un'aura rabbiosa occhi capaci di dolcezza sincera, vera. Il suo sguardo profondo scrutava, sapeva, con nettezza labbra sottili e parche esprimevano poche necessarie parole. Non che non sapesse fare un sermone o tenere messa, anzi. Per celebrare un matrimonio, un battesimo, una cresima, un funerale o un anniversario particolare si era sempre chiesto a lui col suo bel modo di incantare con esempi dai Vangeli anche quando i soldi per pagare le funzioni proprio non c'erano e le preghiere, a Via della Chiesetta lo sapevano bene, costano. Poi Don Giusto quando diceva una cosa la metteva in pratica. Agiva, non imbambolava. E poi aveva sempre celebrato i funerali anche ai suicidi, ai morti di morte violenta, agli ultimi. Pecunia non olet e in seminario o al Vescovado ne aveva viste tante! Gesù Cristo non si sarebbe offeso per una benedizione a qualche rubagalline disperato.
11.
Persino la prima suocera di Pennichella aveva avuto una prova tangibile della giustezza di Don Giusto.
Minuta, arzilla, una vita a servizio dai signoroni romani, se l'era sempre cavata da sola senza chiedere niente a nessuno. Indurita dal lavoro e dalla fatica, a oltre novant'anni non chiedeva neanche di portarle la legna in casa a quel fetente del figlio che le abitava sopra, o meglio che si era appropriato dell'appartamento sopra casa, facendosela intestare con un inganno, in combutta con la sorella. A discapito di suo nipote, bravo ragazzo, un po' eccentrico, nato dalla prima moglie di Pennichella, angelica donna volata in Cielo troppo presto, senza aver neanche avuto il tempo di annoiarsi o di veder crescere quel figlio così diverso dal padre, dal fratello e da tutta la sua famiglia. Una vita trascorsa ad adattarsi per trovare un suo spazio, senza mai pesare sulle spalle degli altri, con forza e determinazione, prendendo tra le mani fragili e forti il suo destino di donna attempata sposata ad un vedovo con tre figli da crescere e poca voglia di costruire qualcosa di solido insieme. Era riuscita a mettere su una casa, una famiglia, a dare un tetto dove dormire ai figli, più del marito che suoi ma sai com'è alla fine quando li vedi crescere ti ci affezioni, poi crescono e l'affetto può trasformarsi in amore o in disincantata disillusione.
Le avevano assicurato che avrebbe finito per affezionarsi anche al marito, che era meglio un vedovo con tre figli che sentirsi chiamare la zitella, che altrimenti chissà che avrebbe pensato la gente.
E così Rinella si era dovuta accomodare, o meglio accontentare, accantonare i suoi sogni, crescere figli non suoi, sopportare la vergogna e gli sguardi canzonatori sulla sua pancia piatta come una tavola da stiro.
Quando il marito le fece la cortesia di morire senza troppo penare però, oltre all'aridità di una vita trascorsa senza neanche un briciolo di amore, di passione, di dolcezza, le lasciò un vuoto, una mancanza, qualcosa che c'era e ora somigliava sempre più a quell'illusione, a quell'ideale che avrebbe voluto accanto e che non c'era, non c'era mai stato e ora proprio non c'era davvero più. I risparmi di una vita a servizio, di lavoretti fatti di notte, sgattaiolando fuori dal talamo nuziale impuzzolentito dal russare da ubriaco di quell'uomo che le aveva sempre, in fondo, suscitato ribrezzo e disgusto.
Gli occhi vispi di Don Giusto sapevano, Mimmo, il marito in seconde nozze di Rinella, era stato un buon cattolico, uno di quelli che vanno in chiesa a battersi il petto dopo aver peccato e in confessionale a piangere la loro indecente solitudine.
'Nel vestito buono di tuo marito, quelli delle onoranze funebri, ho trovato questa busta."
'Una busta?'
'Sì, mi sono permesso di sottrarre soltanto quel che è servito per il funerale e un piccolo obolo per la Caritas. Spero che non ti dispiaccia. Vedi? Anche dall'Aldilà ti pensa', le aveva detto.
Nella busta i soldi della colletta delle offerte, quelli che era riuscito a racimolare, chissà quanti ne aveva sottratti a quella donna il caro e pio Mimmo? I denari per l'Oratorio si sarebbero trovati in un altro modo, la Divina Provvidenza.
Lo sguardo di lei si aprì per la prima volta in una speranza
ricambiata, il marito cui si era con tanta sofferenza affezionata per dovere coniugale l'aveva
davvero pensata, allora l'amava sul serio e non la voleva lasciare da sola in
un ultimo perfido dispetto! Aveva pure cercato di non farle pagare la successione, che galantuomo.
12.
Non tutte le donne di Via della Chiesetta erano cattoliche.
Da qualche anno, oltre ai cinesi e a Pedro che anche se parlava con un accento straniero era più italiano degli italiani, era arrivata anche una famiglia di rumeni, ortodossi avvezzi a festeggiare a modo loro, e qualche persona che a Messa non s'era mai vista, neanche nelle celebrazioni importanti.
Ad esempio la nuora, si fa per dire, di Pennichella, che tanto faceva penare chiunque con le sue teorie bislacche, degna compagna di quello strano figlio tanto diverso da tutti gli altri componenti della famiglia.
Persone serie e lavoratori per carità ma certe idee in testa che non ci si riusciva a ragionarci sulle cose normali.
In chiesa ci andava, sì, ma soltanto per vedere i quadri, gli affreschi, le opere d'arte, anzi! quando c'era una gita da qualche parte, invece di sedersi cristianamente ad un tavolo di ristorante a godersi quelle cinque, sei ore in compagnia davanti ad un piatto fumante, preferiva andare per boschi, sentieri e cattedrali o abbazie.
Mica quando c'era la gente, almeno ci sarebbe stato qualcosa di cui parlare, no, quando non c'era nessuno e che gusto c'è?
Col tempo si era capito che non avrebbe litigato con i vicini e con la famiglia.
D'altronde non prendeva mai parte nemmeno ai discorsi importanti, cioè i pettegolezzi, non ricordava i nomi e i gradi di parentela, i compleanni, le ricorrenze dei decessi, non guardava la televisione, si divertiva nei musei e nei teatri, insomma era proprio insopportabile.
Avevano tutti quanti perso la speranza che potesse in qualche modo diventare una persona normale e quando era arrivata al punto di regalare libri per le feste comandate si era capito che ogni sforzo di farla ragionare sarebbe stato vano, bisognava accettarla così com'era.
13.
A Via della Chiesetta nessuno, o quasi, si era mai posto il problema della religione, vista più come un dovere sociale che una vocazione spirituale o altro, nemmeno le donne e ad andare in chiesa tutti i giorni o tutte le domeniche non ci pensavano punto.
Tutte però, quando c'era qualcosa di serio, si recavano da Don Giusto, pure se il prete della loro parrocchia sarebbe stato Don Ciborio. Se gli si chiedeva qualcosa in merito lui negava con candida sincerità di essere mai intervenuto 'Prego per i miei parrocchiani ma niente di più', rispondeva, e cosa c'è di più prezioso di una preghiera?. Niente, per un cristiano. Non c'era menzogna nelle sue parole perché quello che rispondeva era assolutamente vero, fatta salva qualche innocente bugia a fin di bene. Così come era vero che 'Cristo è uomo al 100% e Cristo è Dio al 100%', lo diceva spesso, forse citando inconsciamente i 3/4 e 3/4 di Fontamara ma le sue parole non ammettevano dubbi o tutte le seicento ferite del corpo di Cristo sembravano inferte da quella incredula titubanza, tutte le sofferenze patite sulla Croce da Nostro Signore Gesù Cristo causate da quel tarlo di ragionamento che non lasciò in pace neanche la mente dei romani, forse anche loro, in fondo, lontani parenti. E allora, a cagione della malafede, le Sacre Spine della Sacra Corona si conficcavano nella Sacra Fronte del Sacro Figlio a confronto della pura e assoluta verità della tenerezza della Fede espressa candidamente dallo sguardo cristiano di Don Giusto. Il prete che doveva spesso ripercorrere tutte le tappe della Via Crucis per arrivare al bandolo di intricatissime matasse create da parole sussurrate nel confessionale con la grata troppo fitta da cui non si capivano bene le frasi. Cosa molto comoda peraltro durante le lunghe, interminabili confessioni del nulla più assoluto, dei peccatucci di solitudine, dei riassunti delle telenovele riadattati in modo fantasioso e cuciti addosso a qualche famiglia per puro gusto di pettegolezzo paesano. In quei casi Don Giusto aveva trovato una tecnica infallibile, riceveva dopopranzo e si appoggiava delicatamente alla parte interna. La grata spessa e l'età notevole delle più devote e dei più devoti peccatori mascheravano i ronfi della siesta post-prandiale che venivano attribuiti più che a sonore russate a salmodianti assoluzioni e commenti, anche se ogni tanto qualcuno si faceva venire il sospetto. Il lato positivo di questa soluzione aveva però un risvolto alquanto negativo quando il bisogno di capire situazioni ingarbugliate che rischiavano di mettere scompiglio tra le sue 'pecorelle', e soprattutto nel paese, diventava cogente. La situazione non gli era mai sfuggita di mano ed era sempre riuscito, per un motivo o per l'altro, a capire, ad intervenire, a placare gli animi, ad evitare il peggio. Anche quando era accaduto il fattaccio del dottorino. In quel caso c'erano andati di mezzo due poveracci dell'Est Europa, come da copione, a cui il Maresciallo aveva fatto finta di credere, prima di farsi trasferire altrove. Non prima di essersi lavato per bene la coscienza in confessionale. La sua liberazione personale non fu foriera di grandi rivelazioni per Don Giusto, il quale era a conoscenza da molto tempo di tutto ciò che il Maresciallo gli raccontava come fosse un segreto istruttorio. In realtà più che segreti istruttori sembravano segreti di Pulcinella, cose note e arcinote a tutto il paese o almeno a chi aveva curiosità di sapere ciò che accadeva intorno a sé, ma non valeva la pena togliere al Maresciallo la sensazione di aver potuto finalmente confidare ciò che aveva tenuto per sé durante tanti anni di onorato servizio.
14.
Non che vi fosse molto da fare nel paese, qualche
scaramuccia, qualche litigata un po' troppo nervosa tra coniugi esagitati,
qualche scandaletto, un paio di mafiosetti capitati per caso
da quelle parti quando vi fu l'assurda legge di spargere i mafiosi nei paesi
italiani così da permetter loro di aprire 'succursali' su tutto il territorio
nazionale, un po' di spaccio di droga, qualche famiglia disagiata, non era
certo il far west. A dire il vero non c'erano nemmeno i saloon, tutti i bar chiudevano prima delle dieci di
sera e in paese si dormiva tranquilli.
Il sonno del paese non veniva disturbato da rumori molesti fino ad orari più che decenti e da quando la serranda di Pallade era stata motorizzata, neanche in Via della Chiesetta, strada che intorno alle 11 diventava di dominio incontrastato delle donne, almeno fino alla mezza, all'ora di pranzo.
In un ritmo costante e ciclico, con qualunque condizione climatica, le persiane, le serrande, i vetri si aprivano e dalle finestre, dai balconi, dai terrazzini voci rimbalzavano i fatti del giorno da una parte all'altra della strada, in un campionato di sport nazionale o quantomeno paesano in cui la vincitrice è chi ha le informazioni più succulente.
Su cosa?
Sui dettagli della vita del paese, anche se a volte vi era anche qualche incursione nelle contrade confinanti.
Una regola sottaciuta era quella della non autoreferenzialità del pettegolezzo: non si parlava di Via della Chiesetta dai balconi, solamente delle vie limitrofe, degli altri cantoni, degli altri rioni: i fatti della strada si sussurravano negli androni, tra i cancelletti, non si sbandieravano dalla finestra.
L'ora delle donne si concludeva solitamente con la frase 'vabbè vado a far qualcosa', pronunciata a turno e in pochi minuti Via della Chiesetta si trasformava in una sala da concerto per una sinfonia di sfrigolii, bollori, sfumate, odori di pranzi da servire nei piatti di tutti i giorni, non in quelli buoni stipati nella credenza a vetri.
15.
All'ora di pranzo la strada si apriva per accogliere uomini, ragazzi e la popolazione in età scolare per chiudersi in una forma di domestica intimità solitamente esaurita dopo una sessantina di minuti.
Quindi gli uomini, quasi sempre loro, quasi mai le donne, tornavano a lavoro, per lo più officine, cantieri, ferrovie, mestieri faticosi, pagati quel tanto che basta per andare avanti e mettere qualche soldino da parte per i figli.
Qualche donna andava a lavorare, in un supermercato o tra le mura domestiche, piccoli lavoretti per arrotondare, bagatelle ma in generale almeno una per famiglia rimaneva tra le mura di casa, così i figli e i nipoti sapevano a chi chiedere e se i suoceri avevano una difficoltà sapevano su chi contare.
Poi c'erano quelle che avevano studiato e che si erano abituate al tran tran, 'se i lavori sono quelli che studi a fare?', caricavano lavatrici per stendere panni e sogni a fili sospesi tra finestre e sopra a balconi o lastricati con la speranza di poter sciogliere la matassa della delusione fino a diventare vecchine gentili con lo sguardo carico di comprensione velato irrimediabilmente dalle delusioni, capace di scrutarti l'animo quasi a dirti: 'non aver paura delle tue scelte, sii libera'.
Poi arrivava il pomeriggio, gli uomini tornavano stanchi, senza voglia di uscire o di far qualcosa, di andare ad un concerto o a vedere uno spettacolo, tanto in paese non c'è un cinema, un teatro, un centro ricreativo, oltre al centro anziani.
Una doccia, chiacchiere disordinate, cena e poi... buonanotte.
16.
Oggi Via della Chiesetta ha subito una gentrification, giovani famiglie modaiole, professionisti del cambiamento, attori e stakeholders del futuro che incombe si sono infiltrati nel tessuto urbano, sciamando suoni e parole, tecnologie avanguardistiche e innovativi stili di vita.
Le salmodianti imprecazioni blasfeme, le sonore bestemmie non riempiono più lo spazio sonoro, da una parte all'altra dei balconi rimbalzano bandiere, sculture, simboli del sapere essere nel giusto posto al momento giusto.
Adesso è tutto innovazione e forse tra qualche anno le vecchine avranno lo sguardo birichino di chi ha combinato l'ennesima marachella perdonata dall'essere parte integrante di quel Sistema tanto incompatibile con Pallade, Pennichella e gli altri abitanti di Via della Chiesetta.
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